VALUTAZIONE SITUAZIONE POLITICO-SINDACALE E LINEE DI LAVORO

Comitato direttivo SPI CGIL Lombardia - Desenzano del Garda 16-17 dicembre 2003

Relazione (bozza) di Riccardo Terzi – Segretario generale SPI CGIL Lombardia

La grande manifestazione del 6 dicembre a Roma, alla quale lo SPI ha assicurato una forte partecipazione, segna un passaggio importante nell’esperienza del sindacalismo italiano. Dopo un periodo di aspre divisioni tra le confederazioni, di accordi separati e di iniziative della sola CGIL, si è ritrovato un linguaggio comune, ed è maturata la convinzione che la dura offensiva conservatrice lanciata dal governo può essere fronteggiata con qualche possibilità di successo solo con un fronte unitario. Credo che si tratti di una consapevolezza comune sufficientemente solida, non effimera, di una base su cui si può costruire. C’è dunque un rilevante mutamento nel clima delle relazioni sindacali, e ciò era chiarissimo nella manifestazione di Roma, nella presenza solidale dei diversi simboli di organizzazione, nell’assenza, finalmente, di ogni forma di settarismo e di intolleranza, il che testimonia di un processo di maturazione politica, che non riguarda solo i gruppi dirigenti, ma riguarda anche e soprattutto la base sociale che noi rappresentiamo, la quale esprime con chiarezza una domanda di unità. È un buon risultato, che ci incoraggia nell’azione di rilancio della prospettiva unitaria, che deve rappresentare, comunque, la bussola fondamentale su cui orientare i nostri comportamenti.

Nello stesso tempo, dobbiamo essere attenti e prudenti, nei nostri giudizi, perché l’unità è un processo lungo e faticoso, e ci possono ancora essere, anche a breve termine, momenti di difficoltà e di tensione. Le differenze, di analisi e di impostazione sindacale, non si sono improvvisamente volatilizzate, e possono quindi ripresentarsi in qualche prossimo passaggio tattico. L’importante è che ci sia la disponibilità a ricercare le convergenze possibili, a trovare il punto di mediazione. Il vero banco di prova della politica unitaria è nel momento in cui si tratta di governare le differenze. L’unità è facile, naturale, quando c’è una coincidenza delle valutazioni. È più complessa e impegnativa quando si tratta di contemperare esigenze diverse. Come dice Vittorio Foa, l’unità è la capacità di tenere conto delle differenze, di governarle, di ricondurle entro una linea di azione convergente. Ed è esattamente questo il problema che abbiamo oggi di fronte. Sotto questo profilo, mi sembra che la CGIL abbia fatto, in questa ultima fase, molti passi in avanti, anche grazie al senso di misura e di realismo di Guglielmo Epifani. Anche il nostro dibattito interno si è spostato su un terreno nuovo, più avanzato e costruttivo, e sembra essere ormai alle nostre spalle quel clima pericoloso di integralismo, nel quale i discorsi sull’unità erano percepiti come un attentato alla coerenza della CGIL.

Noi quindi dobbiamo considerare la manifestazione unitaria del 6 dicembre non come un punto di approdo, ma come l’inizio di una nuova fase di ricostruzione, una fase nella quale sperimentiamo le vie possibili dell’unità, sul terreno non delle affermazioni ideologiche e di principio, ma su quello della concretezza politica e del realismo nella valutazione delle forze in campo.

Vediamo allora di interpretare il contesto politico nel quale ci troviamo ad agire e le sue possibili linee evolutive. C’è una evidente situazione di sofferenza nella maggioranza di centro-destra, dovuta soprattutto al fatto che è stato clamorosamente fallito l’obiettivo di un nuovo “miracolo economico” e che il ruolo dell’Italia nella competizione globale è sempre più chiaramente messo in discussione. In questo senso abbiamo parlato di un rischio di “declino”, non per una retorica distruttiva, ma per un’analisi fredda dei dati di fatto, e alla medesima conclusione sono giunti tutti gli osservatori più qualificati dell’economia italiana, a partire dalla stessa Banca d’Italia. Come sempre avviene, una compagine governativa in affanno accentua le sue contraddizioni interne, e si apre una competizione politica proiettata sul futuro, per decidere dei rapporti di forza, e anche per preparare nuovi scenari, nuove possibili egemonie.

Tutti i partiti della coalizione di governo sono in movimento: i centristi che cercano di accreditarsi come gli eredi del moderatismo democristiano, la Lega che alza il livello dello scontro e torna a minacciare uno scenario di rottura e di secessione, Alleanza Nazionale che punta, con le recenti dichiarazioni di Fini, ad accreditarsi come un destra di governo affidabile, pienamente inserita nel quadro dei valori democratici dell’Europa. Intendiamoci: non siamo alla crisi, all’implosione dell’alleanza, ma ad uno stadio interno di forte competizione e di conflitto per l’egemonia. Ciò che a noi interessa è il fatto che il blocco sociale della destra è entrato in una fase di scomposizione. Che dunque è possibile aprire dei varchi, delle contraddizioni. Non siamo di fronte ad un blocco compatto, ma siamo in una situazione fluida, incerta, e l’azione sindacale, se è condotta con intelligenza, può determinare degli spostamenti anche sul terreno politico. È quindi il momento di giocare tutte le nostre carte in un rapporto aperto con il paese, con l’opinione pubblica, superando ogni logica ristretta, corporativa, e non cedendo alle sirene della radicalizzazione. Noi siamo forti nella misura in cui siamo recepiti dal paese come una forza che rappresenta l’interesse generale.

Per questo è stato un errore grave lo sciopero ad oltranza dei tranvieri di Milano, perché ha rotto il rapporto di fiducia e di lealtà con i cittadini, che a ragione si sono sentiti colpiti nei loro diritti, a partire dal diritto elementare di essere correttamente informati. Non c’è nessuna ragione, per quanto grave, che possa giustificare la lesione delle regole di correttezza nel rapporto con la cittadinanza.

È un episodio da non sottovalutare, le cui dinamiche dovranno essere più attentamente indagate, perché è in gioco anche il nostro prestigio e la nostra autorevolezza come sindacato confederale. Naturalmente, la condanna di forme di lotta che siano lesive dei diritti dei cittadini non deve in nessun modo occultare la sostanza dello scontro sociale che è aperto, con la violazione inammissibile delle scadenze e delle regole contrattuali. Vediamo qui, in un settore determinato, le gravi conseguenze sociali che sono prodotte dallo smantellamento della politica dei redditi e del modello contrattuale, che avevano trovato nel protocollo Ciampi una loro precisa definizione. L’abbandono della concertazione, perseguito dal governo e da alcuni importanti settori imprenditoriali, ha aperto nel paese un problema assai serio di difesa dei redditi reali, dei lavoratori e dei pensionati. Si è aperto, su questo terreno, un fronte di lotta che è per noi decisivo, perché ciò che si sta determinando è una colossale redistribuzione del reddito nazionale a vantaggio delle classi più agiate. Tutte le misure del governo, dai condoni alla politica fiscale, hanno un effetto moltiplicatore su questo processo sociale che allarga sempre più il ventaglio delle diseguaglianze. Il progetto del governo è sufficientemente chiaro: è la messa in discussione del modello sociale europeo, con il complesso delle sue istituzioni di protezione sociale, per passare ad un sistema competitivo, nel quale non ci sono diritti garantiti, ma tutto è affidato ai rapporti di forza e alla dinamica di un mercato senza regole. Ma proprio perché sono in gioco diritti fondamentali, interessi sociali diffusi, ed è quindi in discussione la stessa idea di giustizia sociale, il movimento sindacale può farsi interprete dell’interesse generale del paese, della sua coesione, dei diritti costituzionali, e può allargare il consenso di massa alla sua iniziativa. Allargare il consenso: questo deve essere oggi il nostro obbiettivo principale. Solo così mettiamo davvero in crisi le scelte politiche del centro­destra.

Per questo è necessario presentare al paese un quadro coerente di proposte. Il governo cerca di legittimarsi come l’unica vera forza riformatrice, mentre il sindacato sa solo dire dei no. Questa tesi va rovesciata, mettendo in campo un nostro progetto, una nostra piattaforma. È questo il lavoro urgente da fare dopo la manifestazione del 6 dicembre. L’incontro con il governo ha prodotto un primo risultato: una sospensione dei tempi di approvazione della delega e l’apertura di una fase di confronto. Non è ancora l’avvio di una vera e propria trattativa, ma è una fase interlocutoria nella quale possiamo mettere a punto le nostre proposte e i nostri obiettivi. Noi intendiamo partecipare a questa ricerca, in un confronto aperto con FNP e UILP. Sul tema delle pensioni, che ci coinvolge direttamente, dobbiamo anzitutto avanzare una rivendicazione precisa per la tutela del potere d’acquisto dei pensionati e per la protezione sociale delle fasce più deboli (centrale è, in questo senso, il problema della non autosufficienza). Ma se il problema è quello di un consenso sociale allargato, se vogliamo cioè rappresentare l’interesse generale del paese, diventa decisivo il nostro rapporto con le giovani generazioni, e quindi la capacità di prospettare delle soluzioni convincenti per tutta l’area del lavoro precario e discontinuo.

Sullo sfondo c’è il rischio di un conflitto generazionale, che noi dobbiamo assolutamente scongiurare. Dobbiamo definire un’architettura complessiva del sistema, che dia a tutti una prospettiva certa, non precaria, anche chiarendo ruolo e funzioni della previdenza integrativa, e che abbia in sé i due requisiti fondamentali dell’equità, con il superamento di tutte le forme di privilegio e con la piena armonizzazione del sistema, e della flessibilità, ovvero della capacità di adattamento alle diverse esigenze soggettive. Questa flessibilità è indispensabile per la determinazione dell’età pensionabile, distinguendo le diverse tipologie di lavoro e lasciando un ampio margine alla libera scelta individuale.

Mi limito, per ora, a porre, in termini generali, l’esigenza politica della costruzione di una piattaforma, rinviando ad un prossimo comitato direttivo una discussione di merito più approfondita e puntuale. Il tema è stato posto, male e con proposte inaccettabili, dal governo. Ma a questo tema non possiamo sottrarci, non possiamo attendere di avere un interlocutore politico diverso e più sensibile alle nostre ragioni. Dobbiamo agire ora, e cercare di ottenere dei risultati, e dare così uno sbocco al movimento di lotta che si è sviluppato nel paese. Dobbiamo perciò selezionare gli obiettivi, le priorità, decidere su che cosa puntiamo, per avviare un confronto, difficile ma praticabile e realistico. Presentare, quindi, una piattaforma e non un programma di legislatura. Il pericolo da evitare è l’attendismo, l’attesa di tempi migliori, l’idea cioè che, con questo governo e con questa maggioranza, non ci sia nulla da fare, e che dunque possiamo solo fare un po’ di propaganda e di agitazione. È una posizione da respingere, che ci condurrebbe in una situazione di inerzia e di impotenza, senza saper cogliere le contraddizioni politiche e sociali che attraversano la stessa maggioranza e nelle quali possiamo tentare di inserirci. Lo stesso discorso vale per la dimensione regionale e locale. Con la Regione abbiamo siglato un accordo che allarga l’area dell’esenzione dal pagamento dei ticket per la spesa farmaceutica (pensionati, lavoratori in mobilità e in cassa integrazione, fino a un reddito di 8263 euro, con successivi incrementi in ragione dei famigliari a carico, soggetti a trapianti di organo), ed estende inoltre l’esenzione per i servizi di pronto soccorso a partire dai 65 anni di età. È un accordo parziale che non chiude il confronto con la Regione sulla politica sanitaria. Ma è un primo risultato, certamente limitato ed insufficiente, che offre però una risposta ad alcune delle fasce sociali più deboli, e credo per questo che sia stata giusta la scelta della CGIL e dello SPI di aderire a questa intesa, riservandoci di riprendere a tutto campo il confronto con la Regione sulla spesa sanitaria e sui criteri di accesso ai servizi sociali.

Così, infine, dovremo riprendere tutto il confronto con gli enti locali per dare continuità ed estensione alla negoziazione sociale territoriale, sapendo che questo avverrà in un quadro di maggiore difficoltà finanziaria, per il taglio dei trasferimenti ai Comuni deciso dalla legge finanziaria. Dovremo valutare con realismo i termini possibili della negoziazione con gli enti locali, e fissare precise priorità, e nello stesso tempo va condotta una battaglia politica, insieme con i Comuni, contro il ritorno ad una logica di centralizzazione statale, che penalizza pesantemente il sistema delle autonomie. Dobbiamo dire con forza che la presenza della Lega al governo, nonostante tutta la demagogia a buon mercato sul federalismo e sulla devolution, ha significato un aumento del centralismo statale, un taglio delle risorse per le comunità locali e quindi per i servizi ai cittadini.

Il nostro lavoro, quindi, si dovrà concentrare nei prossimi mesi su tutte le politiche del welfare, dal livello nazionale a quello locale, combinando tre piani di azione: la negoziazione con le controparti istituzionali, la progettazione, la collaborazione con tutti gli altri soggetti che agiscono nella sfera delle politiche sociali. In questo senso stiamo definendo un piano di lavoro per la nostra dimensione regionale. Ma con questa relazione non intendo presentare, per ora, un piano di lavoro già strutturato per il prossimo anno, ma solo offrire qualche chiave di valutazione del contesto politico. Mi sono soffermato, prima, sugli elementi di difficoltà che stanno attraversando l’attuale maggioranza di governo. Ciò apre nuove potenzialità, le quali però non maturano spontaneamente, ma richiedono un lavoro in profondità. Non siamo ancora ad una vera svolta politica, ma siamo in un passaggio aperto a diversi possibili sbocchi. E molto dipende da quello che sapranno fare, in questa fase, i diversi soggetti politici e sociali.

Per quanto ci riguarda, dobbiamo vedere attentamente quali sono le dinamiche, politiche e culturali, che caratterizzano l’universo sociale degli anziani. In questo mondo, che è spesso un mondo di solitudine, di paura, di angoscia di fronte ai cambiamenti, di vita marginale, si possono sedimentare posizioni conservatrici, si può produrre cioè un movimento di reazione di fronte alle trasformazioni sociali, viste come minaccia alla propria sicurezza, al proprio tradizionale sistema di valori. Un esempio tipico è quello del rapporto con il fenomeno dell’immigrazione, con il nuovo paesaggio multietnico e multiculturale che caratterizza oggi le nostre città. Le reazioni di paura, di rifiuto, la percezione dell’immigrazione come un pericolo per la sicurezza, tutto ciò trova negli anziani un terreno più fertile, e qui agiscono, spesso con successo, i messaggi della destra: l’intolleranza per il diverso, o l’invocazione di politiche repressive. Si può così creare una base sociale di consenso per politiche conservatrici e autoritarie. È un tema che ci riguarda da vicino, e che dobbiamo affrontare. Il nostro obiettivo deve essere quello di liberare le persone anziane dalle paure e dalle insicurezze, di farle uscire dall’isolamento, e di immetterle nella vita sociale attiva. Si delinea qui un filone di attività, per lo SPI, che a me sembra di grande importanza.

Ci occuperemo quindi dell’invecchiamento, dei suoi risvolti filosofici, psicologici, sociali, delle strategie con cui deve essere affrontato, e pensiamo di organizzare una grande campagna politica sui temi dell’immigrazione e della sicurezza, con una inchiesta di massa e con un programma di iniziative nei punti di maggiore tensione e difficoltà. Questa dimensione, culturale ed esistenziale, non può essere estranea ad un grande sindacato di massa, perché la vita delle persone che noi rappresentiamo è attraversata da questi problemi, e il sindacato può essere il luogo di una socializzazione, di una ricchezza di relazioni, di una comunicazione attiva, che aiuta a vedere i problemi del nostro tempo e delle nostre società in termini razionali, superando l’impatto emotivo delle paure e delle insicurezze.

Infine, c’è tutto il quadro internazionale che continua ad essere in una condizione di forte instabilità. Noi abbiamo partecipato ad una straordinaria mobilitazione per la pace, contro la guerra preventiva in Iraq, decisa fuori da ogni legalità internazionale. Ora, gli effetti di quella decisione sono davanti ai nostri occhi. Il quadro è quello non di un ritorno alla normalità democratica, ma di una devastazione sociale, e di una esplosione virulenta del terrorismo e della violenza. Occorre al più presto una svolta, un passaggio di responsabilità nella gestione della situazione irachena, dalle forze occupanti all’Onu, e un processo di costruzione di una legittima autorità civile che rappresenti democraticamente la sovranità nazionale dell’Iraq. Solo in questo quadro, se si avvia questo processo, può giustificarsi una presenza italiana in quel paese. Ma tutto questo ordine di problemi è, evidentemente, al di là della nostra portata, anche se gli organismi sindacali internazionali potrebbero avere un peso, più di quanto non avvenga oggi. Dobbiamo allora vedere quale può essere il terreno più concreto e più praticabile, quali iniziative possiamo decidere nel campo della solidarietà, della cooperazione, del sostegno all’azione umanitaria, sia per l’Iraq, sia per le altre situazioni di crisi. In particolare, siamo impegnati in un progetto di solidarietà col popolo palestinese, e ciò assume ora un particolare significato politico, perché dalla soluzione della questione palestinese dipende gran parte dello scenario politico in tutta l’area mediorientale.

Per contrastare le tendenze ad una gestione unilaterale degli equilibri mondiali è essenziale la costruzione politica dell’Europa, portando a compimento sia l’allargamento dell’Unione, sia la riforma delle sue istituzioni sulla base di un nuovo trattato costituzionale. Alla nuova costituzione europea dedicheremo un’assemblea unitaria, di SPI FNP e UILP, nella giornata del 9 gennaio, nella convinzione che è necessario affrontare tutto il problema dei diritti sociali e del welfare in questa nuova e più larga dimensione politica. Alla costruzione dell’Europa politica e sociale dobbiamo attivamente partecipare, costruendo rapporti, relazioni, con le altre organizzazioni sindacali e dando forza e pieno riconoscimento istituzionale alla Ferpa, superando al più presto la battuta d’arresto che si è avuta nell’ultimo congresso della CES.

In conclusione, i grandi filoni del nostro lavoro per il prossimo futuro si possono articolare su tre piani: le politiche del welfare, la condizione sociale degli anziani, e la costruzione dell’Europa e di un nuovo equilibrio internazionale. Su ciascuno di questi temi torneremo più diffusamente nelle prossime riunioni del nostro organismo dirigente.

Dopo l’ultimo direttivo, che ha deciso un nuovo assetto di direzione dello SPI della Lombardia, stiamo lavorando per creare tutte le condizioni di una gestione unitaria che sia capace di valorizzare tutti gli apporti e tutto il pluralismo della nostra organizzazione. Credo di poter dire che qualche passo positivo è già oggi visibile. Al termine della nostra riunione darò un’informazione più precisa sulle decisioni fin qui assunte per quanto riguarda il funzionamento della segreteria e gli assetti organizzativi della struttura regionale.



Numero progressivo: D31
Busta: 4
Estremi cronologici: 2003, 16-17 dicembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - SPI -