UN PARTITO NUOVO, RIVOLUZIONARIO E LENINISTA

di Riccardo Terzi

Per molti di noi, giovani conquistati all’idea del comunismo negli anni del dopoguerra, è difficile comprendere come il nostro partito sia il frutto di una lunga battaglia politica.

Il partito che sorge a Livorno nel 1921, dietro l’impulso di un piccolo gruppo di avanguardia, è una realtà ancora limitata e si pone un obbiettivo ristretto: quello di rompere con la vecchia tradizione socialista, parolaia e inconcludente, e di dar vita ad una organizzazione disciplinata, rigorosa nella selezione dei militanti, preparata ad affrontare il momento decisivo dello scontro di classe. Ma si tratta di un nucleo ancora ristretto, saldo nella difesa della integrità dei principi, pronto a qualsiasi sacrificio personale, ma incapace di una vasta azione politica ed esposto, per la sua stessa natura, ai rischi del settarismo e dell’isolamento.

Sulla frazione comunista di Livorno esercitava un’influenza profonda l’esempio della rivoluzione d’ottobre, di quel grande rivolgimento storico che era stato possibile grazie alla fermezza e alla decisione del partito bolscevico. Di qui veniva uno slancio nuovo e si apriva la prospettiva della costruzione di un partito che fosse fino in fondo un partito leninista. Come utilizzare quell’impulso di volontà, come ricavarne una giusta linea politica?

È qui che cominciano le differenziazioni all’interno del gruppo dirigente comunista. L’ostacolo maggiore venne dalle posizioni di Bordiga.

La sostanza del bordighismo stava in una visione rigida e dogmatica del processo rivoluzionario: il capitalismo, spinto dalle sue contraddizioni, sarebbe piombato nella crisi generale, e questa crisi, per l’opera dei comunisti, avrebbe aperto la via della rivoluzione.

Ma intanto il partito non si adattava alla situazione in movimento, non allargava i suoi collegamenti di massa, ma si disponeva soltanto ad affrontare il momento della crisi rivoluzionaria.

Il partito di Bordiga si riassumeva tutto nella disciplina e nella difesa dei principi, era soltanto un insieme di idee e di programmi, era un partito di classe solo perché composto da militanti che hanno fatta propria la causa del proletariato, non perché posto in un rapporto reale con la classe.

Questi erano limiti gravi in un momento storico in cui la capacità di lavoro tra le masse era un fattore decisivo per contrastare l’avanzata del fascismo. Ed è Togliatti che mette in chiaro il rapporto fra il partito e la classe, ponendo le basi per futuri sviluppi della teoria del partito. L’elemento essenziale, che qualifica il partito rivoluzionario, è il rapporto con la classe operaia, un rapporto non solo ideologico, ma reale, fatto di organizzazione e di direzione.

Il rapporto fra l’avanguardia e le masse non deve mai essere interrotto, perché la classe operaia senza il partito è impotente, altrettanto impotente è il partito senza le masse.

Già in questo vi è il nocciolo della teoria del partito di massa: un partito cioè che si propone di essere in ogni momento lo strumento della lotta delle masse, non uno strumento qualsiasi, ma l’unico dotato di una teoria generale e capace quindi di unificare al massimo livello di coscienza i singoli momenti della lotta.

«Questa unità della “spontaneità” e della “direzione consapevole”, ossia della “disciplina”, è appunto l’azione politica reale delle classi subalterne, in quanto politica di massa, e non semplice avventura di gruppi che si richiamano alla massa». (Gramsci, Passato e presente)

Questa concezione chiarisce anche il problema della disciplina: il partito non si fonda sulla spontaneità della classe, ma entra in rapporto con la classe per dirigerla e per orientarla, e pertanto, nella sua organizzazione interna, deve salvaguardare la sua capacità dirigente, ovvero la capacità di darsi una linea politica teoricamente fondata.

Se il partito è un “intellettuale collettivo” non può fare a meno di una severa disciplina intellettuale, affinché ogni militante sappia muoversi dal punto di vista delle esigenze generali del partito. L’esigenza della libertà non si pone in contraddizione con la disciplina che è anzi la disciplina è garanzia di una libertà che non sia, essa, arbitraria; tale esigenza pone invece il problema del modo di formazione della linea politica e del gruppo dirigente, richiedendo che ciò avvenga attraverso la più ampia partecipazione dei militanti, e con l’impiego di tutte le energie vive di cui il partito dispone. In questo sta la forza del partito comunista, che unisce libertà e disciplina, e sconfigge in partenza ogni velleità libertaria, ogni attentato alla compattezza dell’organizzazione e della teoria politica.

Togliatti denuncia, a varie riprese, l’opportunismo nelle questioni di organizzazione, che consiste nel rompere questo legame fra politica e organizzazione.

Quando si dice che prima ci si organizza e poi si svolge il lavoro politico, o quando si trascura l’importanza dei problemi dell’organizzazione del movimento, si indebolisce la forza del partito. «Il partito si organizza nel lavoro, nella lotta».

Tutta la sua attività deve essere in funzione della lotta delle masse, di cui rappresenta l’avanguardia organizzata.

Ma qualcosa va detto sulla nostra strategia politica, che dà un senso preciso a questi concetti. Ora, una strategia consiste essenzialmente di due elementi: l’analisi della collocazione delle forze sociali, del grado di sviluppo delle forze produttive, del tipo di organizzazione del potere, in breve la definizione del punto di partenza da cui muove l’azione del partito; in secondo luogo l’individuazione delle forze motrici della rivoluzione, del blocco di forze sociali che il partito deve costruire per rovesciare i rapporti di potere.

Uscito dalle secche del bordighismo, il partito comunista procede rapidamente in questa direzione, e ora veramente si emancipa dai limiti della tradizione socialista, che mancava di questo senso «della rottura del blocco storico dominante e della creazione rivoluzionaria di un blocco nuovo», mancava quindi di una strategia in senso proprio. Attraverso un’analisi concreta della storia italiana, dal fascismo a oggi, il nostro partito acquista una coscienza sempre più chiara della propria funzione dirigente e del rapporto che va stabilito con le varie forze sociali e politiche. Si tratta, in ogni momento, di segnare la frontiera della lotta di classe, di definire le forze reazionarie e le forze progressive, e di operare dunque perché il terreno dell’azione rivoluzionaria si allarghi e nessuna forza vada perduta.

Perché questo problema fosse affrontato in modo giusto, era necessario superare i limiti settari e guardare con maggior fiducia alla possibilità di un’azione unitaria. La scelta di Livorno era una scelta giusta, in quanto ricostituiva il partito su basi teoriche rinnovate, ma alla condizione che fosse seguita da una vasta azione politica tesa a recuperare determinate forze, a costruire un fronte unitario. L’alternativa non è fra politica unitaria e politica di isolamento, ma il problema è di sapere quale sia la forza dirigente del movimento unitario. Per questo era necessario togliere alla tradizione socialista la guida del movimento operaio, e battere le tendenze riformiste, per impostare poi secondo una prospettiva diversa la politica unitaria, con la presenza di un partito rivoluzionario e leninista.

È questo il partito che organizza la rete della lotta antifascista e guida il movimento di liberazione, realizzando una funzione dirigente nazionale. La sconfitta del fascismo modifica profondamente tutta la situazione: il partito della classe operaia, che ha diretto la lotta della Resistenza e ha suscitato nuova passione politica nelle masse, deve assumersi dei compiti nuovi, non più solo di denuncia e di propaganda, ma di costruzione del nuovo assetto sociale.

Questa costruzione è stata faticosa, e non tutte le premesse democratiche della Resistenza hanno avuto sviluppo, ma quella maturità raggiunta dal partito comunista è rimasta, e il partito nuovo si è inserito come un fattore decisivo nella vita politica nazionale.


Numero progressivo: G121
Busta: 7
Estremi cronologici: 1966, novembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “La nostra lotta”, novembre 1966