UN CONFRONTO SUL PCI

Un confronto tra Antonio Bassolino, Alberto Benzoni, Massimo Cacciari, Luca Cafiero, Gianni Ferrara, Lucio Magri, Riccardo Terzi, Giuseppe Vacca

Il recente Comitato Centrale del PCI ha riproposto i temi della “questione comunista”. Non solo per la rinnovata richiesta di partecipazione del PCI al governo. Ma come un aspetto, certo non marginale, della crisi che attraversa l’intera sinistra. Per Vacca il filo che unisce tutta la discussione intorno alla questione comunista è quello della possibilità o meno di un ricambio di classi dirigenti alla guida del paese. La DC e il PSI continuano a porre il problema nel consueto ordine dei due tempi. Il PCI risponde confermando la richiesta di una partecipazione diretta al governo in tutto il suo valore immediato. Anche se la riproposizione dell’unità nazionale rischia di non essere riempita di contenuti. Gianni Ferrara, dal canto suo, sottolinea come il “caso italiano” non sia costituito solo dalla questione comunista, ma dall’esistenza di un PSI atipico rispetto alle altre forze socialiste dell’occidente. Questo dato viene oggi messo in discussione dalla politica di Craxi e dal tentativo di far omologare la situazione italiana a quella delle altre realtà europee. Il Comitato centrale comunista è stato deludente rispetto ad un’analisi della crisi che attraversa l’intera sinistra. Cafiero, come del resto aveva fatto Ferrara, contesta l’impostazione data da Vacca. E cioè se il tema della questione comunista possa essere letto solo come “ricambio” e non sostituzione di classi dirigenti. L’interesse per le posizioni espresse da Berlinguer sta nell’acquisizione che ci troviamo di fronte ad una fase nuova. Ma a questo ragionamento non segue nessuna conclusione rispetto a come sia possibile invertire la crisi delle strategie del PCI e del PSI. Questo disarma la stessa possibilità di lavorare sulle prevedibili contraddizioni che l’alternanza è destinata a produrre. Benzoni, invece, affronta i termini in cui la questione comunista è stata trattata storicamente dal PSI, prima sotto la direzione di De Martino e poi di Craxi. Il rapporto con i comunisti si allontana oggi perché vengono ritenuti non “moderni”, poco sensibili alle novità degli ultimi anni. Ma allora il rapporto, dice Benzoni, deve nascere proprio da qui: dall’analizzare la politica di Craxi come una delle possibili risposte ai problemi della crisi. L’elemento di dissenso, interviene Terzi, sta nel considerare la strategia dell’alternanza qualcosa di più di un’operazione tattica. Non si può dare per scontato, a suo parere, la scelta di rottura a sinistra. L’errore del passato è stato quello di sottovalutare un ruolo autonomo dei PCI. Oggi occorre evitare un arroccamento settario. È difficile discutere della crisi del sistema politico, dice Bassolino, fuori da una analisi del rapporto società-stato, società-partiti. Perché se non si riparte da qui il rischio è riproporre la vecchia impostazione dell’unità nazionale. Il triennio ‘76 ‘79 ha rappresentato sicuramente una sconfitta per il PCI, perché più di altri vi aveva creduto. Se non si riparte da questo dato non si comprendono nemmeno le linee da cui si dipana la nuova fase politica. Cacciari ritiene il poco soddisfacente la discussione nel CC. Ancora una volta, infatti, si sarebbe evitato di ridefinire una nuova prospettiva politica per avviare un lavoro di ricerca sui contenuti. La riproposizione dell’unità nazionale e del rapporto con il PSI oggi, così come esso è, aggira i motivi per cui si sono fin qui registrate delle sconfitte. Anche Magri ritiene largamente insufficiente il dibattito che si è registrato nel CC comunista. Infatti, dice, si sarebbe evitato un confronto sulle scelte più importanti fatte in questi mesi: l’opposizione ai decreti economici fino al sostegno dato alla lotta Fiat. Anche se su quella strada, non si sono fatti passi avanti. Oggi Berlinguer finisce per riproporre solo l’unità nazionale. Se il PCI non propone una sua gestione della crisi il rischio sarà una sconfitta di dimensioni storiche.

 

Pace e guerra «Né il dibattito del comitato centrale di novembre del PCI, né del resto quello che nell’intera sinistra si è aperto sulla “questione comunista”, ci pare abbiano colto la dimensione dei problema. Perché innanzitutto non e vero che la crisi che vive il PCI possa esser ricondotta a un semplice scontro fra chi è più duro e chi meno nei confronti dell’attuale politica del PSI; e nemmeno, in definitiva, fra chi è pro e chi e contro l’ipotesi di unità nazionale. La crisi che vive il PCI e di più grande momento, nel senso che nel PCI si addensano, per ciò che è stato ed e, insieme la crisi delle ipotesi della terza internazionale e quelle delle socialdemocrazie. Per questo il dibattito sul e nei PCI coinvolge tutta la sinistra, in quanto emblematico di una più generale difficoltà che tutti ci riguarda. E per questo, anche, tale dibattito non può svolgersi solo all’interno di questo partito: non solo perché i suoi modi di funzionamento interno finiscono per eludere un approfondimento, ma perché una soluzione, vale a dire una nuova strategia, non può esser trovata che con il concorso di tutti. Di qui, e non dunque per immischiarsi in una vicenda interna, l’interesse di Pace e guerra per l’ultima riunione del massimo organo dirigente del PCI. E allora vorremmo proporvi alcuni temi di riflessione: è stato giusto o meno come in certa misura ha fatto Berlinguer cogliere la novità della fase attuale e del carattere dell’operazione che Craxi sta conducendo, come tentativo di liquidare “l’anomalia italiana”, e perciò la “questione comunista”? E, ancora, se così è, da quali problemi reali, su quali spinte della società, prende le mosse tale operazione? Un’analisi che, se non si compie, induce ad una risposta puramente propagandistico ideologica. E, infine, che significato ha, in questo contesto, la riproposizione della parola d’ordine dell’unita nazionale, tenuto conto dell’evoluzione subita dalla DC e dal PSI? Vale a dire è questo, o piuttosto un altro, il terreno su cui costruire una risposta adeguata ai problemi che a suo modo la linea di Craxi ha sollevato?»

 

Vacca «Vorrei cominciare da un tema che a me pare rimanga centrale nonostante la concatenazione di fatti succedutisi dopo la formazione del governo Forlani e l’inizio del nuovo dialogo tra Craxi e Longo: “la questione comunista”, la difficoltà, perdurante, di consentire al Paese un ricambio delle classi dirigenti”. E vorrei capire come questo problema viene posto dalla DC ovvero dal PSI e dal PCI. La questione comunista infatti sta dentro questo processo che non trova sbocchi. La DC, nonostante i rimescolamenti che ci sono stati nello schieramento preambolare, continua a pensare a questo tema nella logica dei due tempi. Cioè nei termini di un dialogo – emarginazione con il PCI, tentando di ricostruire uno schieramento che assicuri la continuità del proprio sistema di potere. Suo primo obiettivo è dunque quello di ridurre l’incidenza del PCI. Il ruolo di Piccoli nel tentare la ricomposizione della DC ruota intorno a questa idea che continua a prevalere sebbene si dichiari che verso il PCI non ci sono più pregiudiziali di tipo ideologico. La base di questo tentativo poggia sulla ricerca di una ristrutturazione del proprio sistema di potere che si adegui alle grandi ristrutturazioni del mercato mondiale. Un “riaggiornamento”, quindi, della vecchia politica di discriminazione anticomunista.

Per quanto riguarda il PSI, credo che su questo tema emerga la contraddizione maggiore della politica di Craxi. Questo perché, almeno negli enunciati, si dice che la strategia socialista intende farsi carico del ruolo di governo di tutta la sinistra, ma poi nella pratica si finisce per eludere questo stesso obiettivo. E qui c’è ancora una volta una scomposizione in due tempi nell’affrontare la questione comunista. L’obiettivo dell’alternanza è andato via via sfumandosi rispetto a quello della centralità socialista e della governabilità. Infatti, mentre dopo il congresso di Torino e nella fase immediatamente successiva, la politica socialista teneva insieme, in qualche modo, il tema dell’alternanza con quello dei rapporto con il PCI, essa ha finito poi per accettare il sistema di mediazioni della DC e porre il rapporto con il PCI prevalentemente in termini di concorrenza.

Questa scomposizione in due tempi della politica del PSI, alimenta la crisi della sinistra perché la priorità non diventa più l’unita tra i due partiti del movimento operaio, ma una sorta di concorrenza per stabilire un dialogo preferenziale con la DC.

Il PCI, da parte sua, risponde a queste tendenze tenendo ferma la questione della partecipazione comunista al governo, facendone il centro della propria iniziativa e sottolineando i rischi di sfascio. In quest’ultimo CC, Berlinguer ha riproposto la politica di unità nazionale in modo formalmente corretto, ma insufficiente nell’indicazione di obiettivi, priorità, alleanze, forme dell’unità a sinistra, proposte programmatiche. Più che una contraddizione rispetto al tentativo di favorire un ricambio di classi dirigenti, questa impostazione finisce per costituire un punto di debolezza nella possibilità di unificare un blocco sociale.

Qui emerge soprattutto un’inadeguatezza nell’analisi della crisi, persino delle categorie che vengono usate dal PCI. E questo dato, confermato anche dal dibattito nell’ultimo CC, ha visto confrontarsi due letture della crisi. Una che mette gli accenti sugli elementi “catastrofici”, l’altra che ne sottolinea gli elementi di ristrutturazione.

Da qui, da impossibilita di definire un progetto o un programma, finisce per scaturire una scelta pragmatica di movimento, che tuttavia non ha un quadro di riferimento sufficientemente fondato.»

 

Ferrara «Vorrei fare un’osservazione preliminare: il caso italiano non è solo costituito dalla “questione comunista”; c’è anche la “questione socialista”. Cioè il fatto che la situazione italiana non era omologabile ad altre situazioni europee anche per la presenza di un certo PSI. Da quando il PSI si è ridefinito e si pone gli obiettivi tipici e tradizionali delle socialdemocrazie occidentali il quadro è invece mutato. Questo, infatti, sta avvenendo: niente di più e niente di meno. E questa tendenza riqualifica anche il caso italiano in maniera diversa dal passato.

Mi pare che Vacca ponga il problema in termini di ricambio e non di ‘sostituzione’ delle classi dirigenti. E qui emergono i nodi veri che ci stanno di fronte: si esce dal caso italiano omologando l’Italia all’Europa o, proprio perché qui la crisi si presenta più profonda, facendo di questa l’occasione di una risposta nuova al tema del potere? Se non si fa chiarezza su questo, non si va molto avanti. Si resta alle polemiche. Occorre invece uscire dalle secche della crisi della II e III internazionale.

Certo, dal CC dei PCI non mi aspettavo la risoluzione di tutti i problemi, ma qualcosa di più, si. Sul piano propositivo non si sono fatti grandi passi in avanti. Nell’attuale momento, invece, ci sarebbe spazio per riaggiornare l’analisi. Sono d’accordo per esempio, con Bufalini, quando definisce “giornata nera’ per la democrazia quella che ha, portato all’elezione di Reagan. Ma allora perché non discutere con più profondità su questo dato che muta in negativo il quadro internazionale e che rende più difficile anche la semplice riproposizione della partecipazione del PCI al governo? Non ci sono risposte date, ma sarebbe utile partire da qui.»

 

Cafiero «Anch’io sono critico rispetto all’impostazione proposta da Vacca. Non si tratta di ricambio di classi dirigenti quanto di sostituzione. Non a caso una delle illusioni dell’unita nazionale è stata di restringere la questione solo al primo aspetto, ma il tentativo è fallito. Di qui, l’importanza e l’interesse per le posizioni nuove che, forse, affiorano nel PCI che consistono nell’acquisizione che ci troviamo di fronte a una fase nuova, a una situazione che presenta caratteri rinnovati.

Questa affermazione, pero, dovrebbe portare a uno sviluppo conseguente del ragionamento. E, cioè, a porre i problemi della crisi delle strategie che attraversano la sinistra, consapevoli di questa nuova fase, per prendere iniziative e avanzare proposte che partano da qui. Che invece non vengono indicate. Occorre certo, essere, come dice Vacca, estremamente problematici sulle nuove tendenze in atto, ma resta il fatto che, comunque, lo sbocco proposto appare persino più incerto e riduttivo di quello indicato nella fase dell’unita nazionale. Allora il PCI proponeva quella parola d’ordine se non altro come strategia offensiva, mentre oggi essa diventa solo manovra difensiva, quasi il minor male. Ma qui non si tratta di scegliere il minor male.»

 

Vacca «Certo non aiuta il ricambio di classi dirigenti chi a sinistra sostiene che il vero nodo è “la rivoluzione”.»

 

Cafiero «Non e questo che voglio dire, ma solo sottolineare che puntare a un mero ricambio di classi dirigenti è del tutto insufficiente. Il problema vero, comunque, è capire come questa situazione nuova opera sui partiti. Non sono d’accordo con Vacca nel ritenere che la DC abbia già definito, nella nuova situazione, una propria strategia, per esempio l’alternanza in due tempi. Forse nelle intenzioni c’è anche questo, ma il fatto è che la centralità di Piccoli è sempre più debole. Lo scontro emblematico sul referendum per l’aborto, dimostra che diventa sempre più scarso il respiro della mediazione rappresentata dalla DC. L’impossibilità di pensare nei vecchi termini.

Dobbiamo leggere la fase nuova anche come accresciuta difficoltà dell’avversario, per non privarci di possibili punti di attacco. Rispetto al PSI, non concordo con Vacca quando dice che la peculiarità di Craxi sta nel far evaporare la questione dell’alternanza per sostituirvi poi la centralità socialista. È questa la qualità della contraddizione? Oppure la realtà dell’operazione consiste nei fatto che non ci sono due tempi, ma uno; ridurre tutto alla centralità socialista? E, ancora, a proposito della modernità, essa consiste forse nell’omologare la situazione italiana a quella europea contro la classe operaia e il sindacato dei consigli? In conclusione, a me pare che sarebbe più interessante analizzare quali contraddizioni l’operazione posta in atto da Piccoli e Craxi mette in moto nel suo stesso itinerario concreto. E da questo punto di vista riproporre l’unità nazionale come momento di ricaduta, di traduzione in operatività politica di una nuova offensiva, mi pare serva davvero a poco, Questo era uno dei nodi che il Comitato centrale del PCI avrebbe dovuto affrontare e che invece è stato appena sfiorato. Ingrao ne ha parlato e nel suo intervento sono emersi elementi interessanti di analisi, ma mi sembra sia rimasta un’ambiguità nel giudizio sull’operazione di Craxi, sul rapporto con i socialisti. Cosa vuol dire, infatti, confrontarsi con il PSI sulle cose concrete? Manca, ancora una volta, la definizione di una nuova prospettiva.»

 

Benzoni «Mi interessa molto l’intreccio che si può stabilire tra il modo di vedere la questione socialista da parte dei comunisti e viceversa. La colpa di Craxi sarebbe quella di approntare uno sbocco che non prevede la partecipazione dei comunisti al governo. Il PCI allora ripropone l’unità nazionale. Ma la vera colpa di Craxi è questa? Analizziamo come il PSI ha posto la questione dei comunisti nel recente passato. Quando il PSI era diretto da De Martino, esisteva la consapevolezza del fatto che i comunisti fossero essenziali per costruire una prospettiva di sinistra. Le condizioni per un rapporto tra PSI e PCI venivano poste non sulla legittimità democratica dei comunisti quanto nel fatto che questi prendessero coscienza che con la DC non era possibile costruire alcunché. Allora si sarebbero create le condizioni per un’alternativa di sinistra.

Con Craxi si sono introdotti mutamenti sostanziali in questo schema. I comunisti diventano inutilizzabili non solo perché non hanno compiuto fino in fondo il tragitto democratico e di distacco dall’Urss, ma perché non sono ‘moderni’. Cioè, non hanno colto i processi nuovi che l’andamento della crisi ha indotto in nuovi soggetti sociali che sono, per lor o natura, ostili e difficilmente comprimibili nello spazio disegnato dall’unità nazionale. Craxi da per scontati questi processi e tenta di cavalcarli. Subordina il rapporto con il PCI al fatto che questi riconosca il proprio disarmo ideologico.

Ma se si vuole riprendere un rapporto con il PSI, bisogna confrontarsi proprio con questo retroterra, con le risposte che Craxi dà a problemi veri. Altrimenti prevarrà l’altra ipotesi: la centralità socialista in un contesto di un riflusso moderato.»

 

Cafiero «Voglio ritornare per un momento sull’interruzione “impertinente” fatta da Vacca al mio intervento. La questione del potere si pone ancora all’interno di questa fase o tutto è riducibile ai problema dei governo e della governabilità? Su questo, anche l’intervento di Ingrao non fa grandi passi in avanti. Io sostengo che la questione del potere si pone ancora, con tutta la sua drammatica attualità, anche in questa fase. Se non si contesta Craxi su questo, allora il suo disegno può passare.»

 

Vacca «Certo, il problema è questo. Ma dobbiamo essere consapevoli che la questione del potere si pone oggi, e qui, in maniera diversa da tutta l’esperienza storica del movimento operaio.»

 

Terzi «Il nostro CC non si proponeva un riesame globale della politica comunista, bensì un compito più limitato: valutare i cambiamenti della fase e la necessita di mettere a punto la politica dei PCI senza avere la pretesa di affrontare questioni di grande prospettiva. E alcune cose precise da questo dibattito sono uscite.

Non c’è solo la crisi dei PCI, ma la crisi dell’intero sistema politico italiano che stenta a trovare un punto di equilibrio. Noi, per la nostra forza e il nostro radicamento, siamo un aspetto di questa realtà. Nella fase che va dal ‘76 al ‘79 un tentativo di trovare un equilibrio è stato fatto, ma si è inceppato nel suo corso. Da allora non ci sono state più risposte positive a quei problema di fondo.

A mio parere i governi Cossiga e Forlani non indicano un mutamento di fase, ma un dato molto più mediocre: la ricerca di nuovi equilibri su basi che però si rivelano fragili e incerte. Ecco perché tutti i nodi della situazione politica permangono aperti, anche se è andata accentuandosi la questione della governabilità. Le risposte date finora la risolvono solo in parte: c’è un governo ma le prospettive rimangono incerte, mentre la situazione si aggrava. Oggi esiste però un atteggiamento più aperto nelle forze politiche, favorito anche dal successo dell’opposizione a Cossiga. C’è una situazione più aperta che può creare l’occasione per misurarsi su un modo nuovo di fare l’opposizione.

È in questa direzione che si colloca la questione dei rapporti a sinistra. Nella linea del PSI permane la chiusura nei nostri confronti e pe r il PCI si pone il problema di come scongiurare una nuova fase di isolamento. Per il PSI, tuttavia, si tratta di non farsi ingabbiare in un’operazione politicamente mediocre, che manca di una prospettiva di fondo. E quanto ai PCI, potrebbe trovarsi si agguerrito, ma privo di sbocchi da proporre. Allora la scelta diventa quella di lavorare con puntiglio a riaprire un dialogo con il PSI, misurandosi con i nodi della crisi, con i programmi, avviando un processo nuovo nell’insieme della sinistra e usando in questa ottica l’iniziativa dall’opposizione.

La domanda diventa a questo punto quella delle prospettive. Certo, le lacune permangono, ma una questione almeno è chiara: il problema di una nuova unità a sinistra. Per questo è utile capire come è cambiato il PSI, ma anche come siamo cambiati noi comunisti. Per questo occorre considerare il PSI per quello di nuovo che rappresenta, per le operazioni concrete che ha messo in moto, senza valutare la sua politica solo come una scelta di rottura a sinistra. Per questo occorre tenere fermo l‘obiettivo dell’unità, anche se resta un cammino difficile, ma non meno obbligato.»

 

Vacca «Il passaggio di fase sono gli anni ‘70 e noi lo abbiamo sottolineato fin dal Congresso di Milano, nel 1972. Il problema della governabilità, lo abbiamo posto noi, prima con la politica di unità delle tre componenti politiche e ideali fondamentali della società italiana, poi con il compromesso storico e. Successivamente con la politica di unità nazionale. Abbiamo pero sbagliato a pensare, durante la politica di solidarietà nazionale, che si potesse assicurare la governabilità e l’avvio di un ricambio di classi dirigenti riducendo il conflitto, escludendo che questo, anche in quella fase, potesse essere destinato a crescere.»

 

Benzoni «Ma oggi il rapporto con i socialisti viene impostato in maniera difensiva perché si individua nel PSI il responsabile dell’aver impedito la politica di unità nazionale!»

 

Ferrara «È giusto ricordare tutti i limiti che ha avuto la politica di unità nazionale, soprattutto la mancanza di programmi adeguati a uscire dalla crisi in modo opposto alla tendenza restauratrice. Credo, perciò, che il vero limite sia stato quello di agire come se il vero problema del PCI dovesse essere quello della ‘legittimazione’, attenuando e non accentuando la lotta alla DC, non qualificando la sua partecipazione alla maggioranza in termini antagonisti rispetto al sistema di potere esistente, che è poi il vero problema di una sinistra che partecipa a una maggioranza o a un governo con i partiti di centro e comunque non di sinistra.»

 

Bassolino «Il nostro CC non è stato un congresso, né poteva esserlo, nonostante ci fosse un’attesa legittima sulle sue conclusioni. La complessità dei temi che stanno di fronte non solo al PCI ma a tutta la sinistra, non si sciolgono infatti in una semplice discussione o con una formula politica che si ritiene risolutiva. Io non riesco a capire una discussione sulla crisi del sistema politico fuori da un’analisi sulla crisi sociale. Qui si colloca la questione dei rapporto società stato, società partiti. Nella vecchia impostazione mi sembra di riscontrare il persistere di un vizio proprio della fase di unità nazionale. Se vogliamo liberarcene, il punto di partenza deve essere questo: il PCI esce dal triennio ‘76 -‘79 con una seria sconfitta. Siamo infatti la forza politica che più ha creduto a quella soluzione e che è uscita, quindi, più perdente. Non voglio qui tornare ad un’analisi di quella fase, anche se un vero bilancio non è stato ancora fatto, ma ricordare come in quel triennio noi abbiamo avuto un tentativo “alto” di stabilire un rapporto nuovo tra movimento e stato. Il limite è stato quello di aver dato una risposta tutta “politica” a questioni che erano sì politiche ma anche sociali e di movimento. Penso ai problemi di un nuovo sviluppo del paese, della rottura del sistema De, a cui si e risposto imponendo soprattutto una soluzione dall’alto. La sconfitta si è consumata, a mio avviso proprio su questo punto. Dalla sconfitta, si diramano poi le linee che attraversano questa fase politica: lo spostamento a destra della DC, il carattere della nuova politica socialista; la formazione e poi la caduta del governo Cossiga: l’accantonamento della questione comunista, intesa non solo come partecipazione nostra al governo, ma come ipotesi di soluzione della crisi italiana. Ecco perché sono convinto che è stata del tutto giusta la nostra opposizione al governo Cossiga e che la sua fine sia stata un primo successo. Ma dobbiamo vedere quali problemi permangono, anche in una situazione più mossa, come ha detto Terzi.

In questo senso, anch’lo penso che la questione dei rapporti con il PSI sia decisiva ai fini di una prospettiva di serio rinnovamento. Questo è il punto di partenza. E il CC ha fatto un serio sforzo di analizzare, forse per la prima volta, la politica di Craxi come una risposta a problemi reali che percorrono il paese. Non limitandosi cioè a considerare le formule che vengono proposte separatamente dai contenuti che hanno dato forza alla linea dei PSI di questi mesi. Ma la nostra analisi deve essere ancora approfondita. Prendiamo il problema della governabilità. Qui c’è un’analisi della crisi che sottovaluta i suoi aspetti strutturali, la disgregazione economica e sociale. Al PSI, in questo quadro, si propone il compito di ricomporre in un blocco sociale nuovo, una nuova classe emergente. La nuova strategia del PSI coglie, su questo, un problema reale, è un tentativo di rispondere alle crescenti perplessità sulla possibilità di trasformare davvero il paese, dunque di garantire intanto l’efficienza, nell’ambito del sistema attuale. Ma qui emergono anche tutte le contraddizioni della politica di Craxi: perché continuo a pensare che esiste un’ampia area sociale che non accetta di essere rinchiusa in una prospettiva di semplice riaggiustamento del sistema perché in questo ambito non c’è soluzione per i suoi problemi. Quali sono questi problemi, come possono essere realmente risolti? Ecco, il PCI è chiamato comunque a fare i conti con questi interrogativi e a misurare su questi la validità della propria politica e dunque della propria critica al PSI. Ecco perché occorre lavorare per un rilancio della nostra politica su basi nuove, non considerando irreversibile l’attuale quadro politico. Il nodo, quindi, è come fare politica con questo PSI, entrando nel merito del problema che esso pone: è possibile e realistica la prospettiva laburista o occorre invece puntare a una ristrutturazione della sinistra per metterla in grado di affrontare una fase di “transizione”.

In questo contesto, credo che il rilancio dell’unita della sinistra passi necessariamente per una riflessione critica sul “nuovo modello di sviluppo” e sulla programmazione, sui contenuti e sugli strumenti che essi presuppongono. Questo e oggi il compito dell’opposizione, perché un PCI che continua ad essere attestato al 30% dei voti, non può non assolvere ad una funzione di governo. Dobbiamo, inoltre, essere consapevoli che non sarà un lavoro né breve né facile, e in cui non bisogna far prevalere la preoccupazione “dell’immediato”. Dobbiamo rendere chiaro che la scelta di stare per ora all’opposizione non significa settarismo o arroccamento, ma può essere la base da cui ripartire per ristabilire un rapporto più stretto con la realtà sociale e per riunificare in una comune strategia, non solo il PCI e il PSI, ma anche tutte le articolazioni in cui si è espressa in questi anni la sinistra. In primo luogo quanto si esprime nel mondo cattolico.»

 

Cacciari «Mi è parso che molti interventi abbiano sorvolato questioni di ordine logico. Riemerge così un vizio di politicismo, prima ancora che un limite politico. Ad esempio, laddove si ripropone il discorso di unita a sinistra, enfatizzando questa esigenza come condizione per affrontare i nodi della crisi, si finisce per isolarlo essenzialmente ai rapporto tra PCI e PSI. Questo è certamente il nodo centrale; ma per affrontarlo realisticamente occorre dare un giudizio preciso su quale sia la linea su cui attualmente si muove il PSI, per non correre il rischio che questa ispirazione diventi semplicemente un desideratum. Perché bisogna fare i conti con il PSI così come esso e oggi. I problemi, infatti, non si superano solo con un afflato unitario.

Ora a me pare che la strategia dei PSI non corrisponda ad un dato congiunturale, destinato a mutare rapidamente. Dico questo perché il PSI ha una strategia fondata, che esprime tendenze reali. Allora il problema dell’unita con il PSI non si dà in astratto, ma con questo PSI. Come ciò possa avvenire concretamente, non è possibile capirlo riesumando vecchi slogan del passato. Soprattutto perché si collocano in una fase – nonostante le correzioni che vengono anche dal CC del PCI- che sembra allontanare questo importante obiettivo. Perché questa questione ce la poniamo solo ora? Non c’è qui un ritardo, un errore di previsione? Perché ci riproponiamo tale obiettivo, proprio nel momento in cui esso appare più difficile? Proprio ora, quando i giochi nel PSI sembrano fatti. Il rischio che emerge da una simile impostazione è la ritualità, il rilancio di frasi vuote di contenuto. Quindi non mi sembra fuori luogo chiedersi come, in concreto sia possibile riavviare un rapporto unitario. E con il PSI così com’è.

Un mistero, inoltre, diventa capire come sia possibile rilanciare una unità con il PSI mantenendo delle ambiguità sul rapporto con la DC. La riflessione critica sull’esperienza dell’unità nazionale diventa quindi una tappa obbligata di qualsiasi ripensamento, mentre la discussione è su questo punto solo agli inizi. E io credo invece che se non si ripensa fino in fondo proprio questo problema, vale a dire se si ripropone tale e quale il rilancio dell’accordo con la DC, anche il possibile rapporto con il PSI nasce viziato. Io non credo ad un rilancio della politica di unità nazionale, se non si chiariscono gli obiettivi concreti che perseguiamo e se non si indicano le loro scadenze temporali. Quando, come nell’ultimo CC, si ripropone invece quella prospettiva in modo superficiale, non si capisce poi come si possa correggere l’impostazione di Craxi che è il prodotto di questi dieci anni. Registrare la crisi della sinistra non basta. Una forza capace di proporre una linea di trasformazione dovrebbe essere più esplicita. Voglio dire: che credibilità ha la critica al PSI, se poi in economia si ripropone una linea sostanzialmente keynesiana e contenuti analoghi a quelli fatti propri dalle socialdemocrazie degli anni ‘50? Criticare in questo modo Craxi non da molti frutti.

Credo che il PCI dovrebbe aprire un dibattito vero sui contenuti della prospettiva generale da rilanciare. Qui sta il grande limite del dibattito del Comitato centrale. Invece di drammatizzare questa necessità, questo ritardo, si è preferito trascurarlo. Un esempio: la politica istituzionale. Questo tema è ormai da anni maturo, ma lo stesso PCI non va al di là di alcune enunciazioni. Credo, infine, che sia sbagliato limitarsi a quantificare la sconfitta. Sarebbe più utile dire come, quando e perché, in concreto, la sinistra e entrata in crisi. Per esempio: analizzare davvero il risultato elettorale, l’esito dei voto meridionale in particolare la vicenda della lotta Fiat. Altrimenti la discussione rimane tutta nominalistica, mentre proprio di qui e possibile ripartire per una riflessione sulla crisi che investe la nostra politica delle alleanze. Proprio perché queste due vicende – Fiat e meridione – segnalano emblematicamente una sconfitta proprio sul terreno sul quale più si è espressa la specificità del PCI: la politica delle alleanze e il sottosviluppo. Il CC, invece, ha discusso se ci sia stata o meno una sconfitta, ma in astratto.»

 

Vacca «Il problema di fondo è valutare se e come sia possibile, nella nuova fase, recuperare l’egemonia del movimento operaio. Ma certo è difficile che una risposta di tale complessità venisse dall’ultimo CC. Sono d’accordo con la domanda di Cacciari: come si esce dal nominalismo, dal politicismo? Non c’è dubbio che il rischio sia lo stallo. Dicevo prima di esser convinto che la politica di Craxi non abbia solo segni negativi. Riflette anche un problema vero: la fine del ceto “new dealista” in versione italiana, la crisi, cioè, del blocco politico sociale, del sistema di potere DC, che ha gestito il paese dalla metà degli anni ‘50. La forza di Craxi sta nell’aver preso atto di questo dato e nel proporre un nuovo riformismo del capitale, che potrebbe risultare anche capace di assecondare l’ipotesi indicata dai settori più moderni e trainanti dell’economia internazionale. C’è una corrispondenza tra quello che fa Craxi e quanto si muove in certi settori sociali. Ma allora, occorre interrogarsi su molte cose: quali sono le forze decisive del cambiamento oggi? Quelle tradizionali del “lavoro produttivo”? … Come si traduce questa ricerca in politica? Cioè in iniziativa di grandi soggetti collettivi che non possono smettere un minuto di fare politica. E qui emerge un altro punto di riflessione: non credo a una nuova politica che non investa anche le strutture organizzative della sinistra.

Non penso certo al “partito unico”, ma a come dare vita a un cervello collettivo della sinistra. Ecco perché mi preoccupa lo stato di stallo che vive il PCI: perché quando non si registra l’unita del gruppo dirigente, anziché avere un dibattito proficuo, si ha la paralisi. E si finisce per concludere le riunioni con ordini del giorno che rappresentano solo il minimo comune denominatore. Si ha così un’anomalia di funzionamento nel partito.

Senza rimuovere queste difficoltà, non si costruisce un programma che sia all’altezza dei tempi. I problemi che pone Cacciari sono dunque tutti veri, ma occorre ricondurli alla politica. Oggi il PCI non ha bisogno di monoculture, bensì di un reale pluralismo di ricerca.»

 

Benzoni «La contraddizione su cui fa leva Craxi è il rilancio di un ruolo nuovo per il PSI non più subordinato. Ed è possibile che in questo itinerario vi siano sconfitte. Il problema resta però confrontarsi con il retroterra culturale che muove la politica socialista. E allora ci sono due questioni. La prima: il PCI non può fare del dialogo con il PSI la condizione di un semplice ritorno alla fase di unità nazionale. Deve farne la condizione di una nuova prospettiva. La seconda: Craxi non lavora solo per un’ipotesi laburista (che avrebbe una debolezza intrinseca), ma si colloca in un’operazione moderata che nasce dalla crisi delle idee-forza (i progetti, i programmi) su cui si e fin qui mossa la sinistra. O si interviene sulle cause che hanno determinato questa crisi, e quindi si risponde a Craxi, o la risposta rimarrà debole. Il respiro deve essere quello di affrontare insieme le radici di una crisi che coinvolge tutta la sinistra.»

 

Terzi «Cacciari ci poneva il quesito di come sia possibile rilanciare una politica unitaria con il PSI, se è possibile o meno modificare, almeno nel breve periodo; la politica di Craxi. Ma la riflessione del PCI parte proprio da questo dato, da quello che oggi il PSI rappresenta. Personalmente rimango dell’opinione che non si possa parlare di disegno strategico per quanto riguarda la politica di Craxi. Sono convinto che prevale la manovra tattica, una linea molto “manovrata” che ha come fine il superamento della vecchia subalternità del PSI. Questa tattica è tesa ad allargare lo spazio del PSI, a non farne il residuo di una storia passata. Certamente questo determina un conflitto a sinistra, perché il riequilibrio dei suoi rapporti di forza interni rischia di diventare l’aspetto prevalente. Ma di questo non mi scandalizzerei, perché per anni il PCI ha recuperato fasce di elettorato proprio rispetto al PSI.

Detto questo, c’è sicuramente il pericolo che se non si incalza Craxi sul suo terreno, il disegno finirà per diventare consapevole. Lo sbocco può essere l’affermazione di una centralità socialista. Punto e basta. Ma finora non si tratta di una strategia consapevole, perché altrimenti non si capirebbe la scelta che pure il PSI ha fatto di riconferma delle principali giunte di sinistra.

Come intervenire? Nel passato non siamo stati in grado di offrire risposte al problema del ruolo dei PSI. Anzi, non ci siamo posti questo problema, mentre oggi è da qui che si riparte. Se non si scioglie, questa questione, non si ricostruisce una prospettiva politica. Sono anche d’accordo che correzioni sostanziali devono essere portate rispetto alla linea passata. Il logoramento dell’unita nazionale va acquisito senza semplificazioni, ma bisogna anche dire che proporre oggi un’ipotesi di alternativa di sinistra non avrebbe senso, perché non poggerebbe su dati reali. Vacca, poi, poneva il problema del nostro funzionamento interno. È certo difficile trovare risposte in avanti, ma sarebbe utile trovare modi di confronto più espliciti, più limpidi, superando l’unanimismo. Ma un CC difficilmente può funzionare in maniera diversa. La questione, allora, è trovare nuovi canali di comunicazione e di elaborazione. Far funzionare meglio le commissioni e le strutture di partito, per poter produrre una linea fondata su conoscenze reali.»

 

Cafiero «Le considerazioni fatte da Bassolino mi paiono ragionevoli, ma è ottimista ipotizzare come mi pare lui faccia che il PSI si ritrovi incatenato ad un ruolo analogo a quello che ha svolto il PCI nel periodo dell’unita nazionale, e ad analoghe contraddizioni e ad un logoramento simile.

Il segno delle spinte attuali è cambiato rispetto a quelle del passato. E non credo si possa fondare una strategia sulla semplice previsione di una deriva spontanea dell’ipotesi dell’alternanza. L’unità della sinistra va ricercata e costruita all’interno stesso di questo processo. E senza politicismo, come diceva anche Cacciari. Ecco perché la riproposizione dell’unità nazionale è poco convincente. E poi: è proprio vero, come sostiene Terzi, che la strategia di Craxi non sia consapevole? A me pare che non dobbiamo sottovalutare la portata dell’operazione, nonostante il “basso” livello che ha fin qui avuto. Comunque riproporre l’unità nazionale, con in più soltanto un rinnovato rapporto con il PSI, mi sembra veramente troppo poco. Così come se si esclude la possibilità di una linea di alternativa, si finisce per rendere meno credibile la stessa autocritica sull’esperienza degli anni passati.»

 

Ferrara «Non condivido l’impostazione di Terzi secondo la quale nella politica di Craxi prevale soprattutto la tattica. La base socialista legge certo in maniera prevalente l’attuale politica in questo modo, ma quando il progetto strategico si disvelerà, le delusioni saranno tante e cocenti. Allora che fa la sinistra? Che fa il PCI rispetto al PSI così com’è? Se prevale il tatticismo temo che ci sarà il disastro. Il cervello collettivo, di cui parlava Vacca, deve significare una fase di conoscenza articolata, il superamento delle divisioni operanti nella sinistra. Ecco qui, per esempio, il ruolo di Pace e guerra.»

 

Magri «Francamente io trovo il CC del PCI grave e deludente. Perché non è riuscito a dare nemmeno parzialmente, il segnale di un’inversione di tendenza, perché, si è svolto e risolto molto al di qua dei problemi veri.

Il primo interrogativo a cui non si è risposto è questo: il PCI conferma la scelta contenuta nel discorso fatto da Berlinguer alla Camera al momento del voto sul governo Forlani? Vale a dire la scelta, compiuta dal PCI da marzo in poi, di dare all’opposizione un taglio particolare, invece di attendere lo svolgimento della crisi, di agirvi puntando su un’azione di massa. Una linea che inizialmente si è mossa, certo in maniera contraddittoria perché il PCI non mi pare avesse compreso la gravità insita nella strategia dell’alternanza, ma poi si è parzialmente corretta, come dimostra il sostegno dato alla lotta alla Fiat, per esempio, o a quella contro i decreti economici del governo Cossiga. Questa scelta è stata giusta o sbagliata? Rispondere a questo quesito è importante per capire come ripartire.

Io penso sia stata giusta, anche se certo carente, perché il tipo di governabilità proposto da Craxi colpisce direttamente la classe operaia forte; e se non ci si fosse opposti alle scelte proposte il rischio sarebbe stato il frantumarsi della stessa base sociale comunista. Il fatto di aver detto no diventa dunque la premessa, anche se solo una premessa, di qualsiasi nuova proposta. Ora su questo a me pare che il CC del PCI sia stato reticente, “attendista”. Che abbia insomma evitato, negli interventi che si sono susseguiti, di prendere atto della novità rappresentata dalla linea di Craxi. Che è stata certo ambivalente, ma solo fino ad un anno fa; oggi la portata e il senso dell’operazione si è invece chiarito e non solo per la rottura che la sua linea crea a sinistra. Il discorso di Craxi alla Camera per esempio è stato più grave di qualsiasi sua altra iniziativa precedente; e non perché ha riproposto una discriminazione nei confronti del PCI. Anzi, da questo punto di vista e stato molto “civile”. È grave perché si è schierato contro il sindacato dei consigli; ha fatto accenno ad elezioni anticipate; ha accennato a gravi riforme istituzionali.

Certo, l’intervento di Ingrao ha espresso, a differenza del passato, una posizione politica chiara. E pero si è concluso là dove forse doveva iniziare. Ha mancato cioè nel delineare come la sinistra può uscire in avanti dalla crisi senza riproporre l’unita nazionale. Questo è il vero punto. E non si tratta, credo, di un semplice “limite” della posizione di Berlinguer, ma di qualcosa di più grave. Perché, che senso ha per il PCI riproporre oggi l’unita nazionale? Ammettiamo pure che la DC finisca per accettare nel governo il PCI, magari per paura della “concorrenza” socialista. Ebbene, a quei punto, non dovrà essere lo stesso PCI a dire di no, perché, dato il logoramento dei rapporti di forza che si è verificato, un simile governo non potrebbe che essere ancora più arretrato nei suoi contenuti programmatici di quello ‘76’79? C’è, poi, come diceva Cacciari, un problema di contenuti. Qui il ritardo e sconcertante. Vengono riproposti gli stessi contenuti della fase di unità nazionale, come dimostra, per esempio, la mozione di politica economica. Occorre, invece, definire una nuova prospettiva a cui legare la tenuta nel movimento. Se il PCI non propone una sua gestione della crisi, e a tempi rapidi, allora il pericolo diventa quello serio di una sconfitta di proporzioni storiche.»

 

Bassolino «Anch’io penso che la nostra opposizione sullo 0,50 e sul “decretone” sia stata un fatto positivo. Ma l’interrogativo, legittimo che viene proposto e questo: è meglio che il PSI stia al governo o all’opposizione? Questo è, non a caso, il tema su cui sono cresciute le frizioni tra PSI e PCI. E poi: perché parliamo solo ora dell’unità tra PCI e PSI, un problema che abbiamo indubbiamente trascurato nella fase più recente? Oggi infatti porsi l’obiettivo di un programma comune appare certamente più difficile di quanto non sarebbe stato ieri.»

 

Magri «Ma quando era possibile avete rifiutato il terreno dell’unita della sinistra, pensando che avrebbe potuto rappresentare il primo passo verso l’alternativa!»

 

Bassolino «Mi sembra troppo semplicistico spiegare così la politica dei PCI rispetto a questo punto. Voglio sottolineare, comunque, tutta la debolezza dell’ipotesi craxiana. E non sono d’accordo con le cose dette da Cacciari. Non penso che il problema fondamentale per il PCI sia quello di definire una prospettiva e poi di riempirla di contenuti. Penso piuttosto a un processo inverso: partire dai contenuti, per delineare una prospettiva. Prendiamo il caso Fiat: l’opposizione è stata in questa vicenda il terreno su cui far crescere spinte a bisogni nuovi, da raccogliere in una proposta strategica.

Ma il punto più di fondo del dibattito, non solo nel PCI, ma in tutta la sinistra, quello su cui dobbiamo misurarci mi pare questo: la DC, così come essa è, è in grado di gestire una politica adeguata alla nuova fase? A me pare di no. Qui sta la debolezza della ricomposizione che la DC ha avviato attorno al preambolo. Ed è di qui, dalle contraddizioni destinate ad aprirsi in questo partito, che si deve ripartire anche per definire una adeguata strategia della sinistra.»

 

Pace e guerra «Su un solo punto è possibile concludere, viste le divergenze che anche questa tavola rotonda ha registrato: il dibattito che investe il PCI è un punto chiave della situazione italiana. Nel senso che o se ne esce con una rinnovata capacita di iniziativa, una nuova politica (e allora possono esser recuperabili i guasti dell’alternanza, e anzi essa può persino rovesciarsi contro la DC); o, se invece perdura l’incapacità di risposta e una divisione tra “inseguitori” di Craxi e sostenitori di un indurimento tattico in nome dell’unita nazionale, allora avremo una crisi distruttiva non solo del PCI ma di tutta la sinistra italiana.»



Numero progressivo: G21
Busta: 7
Estremi cronologici: 1980, novembre
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Interviste/Dibattiti
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “Pace e Guerra”, novembre 1980