TOGLIATTI E GIOVANNI XXIII

Contributo di Riccardo Terzi al volume “Palmiro Togliatti e Papa Giovanni” a cura di Riccardo Terzi e Francesco Mores (pp. 307-314)

La Conferenza di Togliatti a Bergamo sul “destino dell’uomo”, del 1963, è un’operazione politica di altissimo livello, con l’obiettivo di fissare le basi culturali per una possibile collaborazione tra il movimento operaio e il mondo cattolico sui grandi temi del nostro tempo, a partire dalla necessità di salvare l’umanità dalla minaccia della guerra nucleare. Ho avuto la fortuna di partecipare a quella manifestazione, che ha lasciato un segno importante sulla nostra formazione di giovani comunisti, impegnati a conquistarci uno spazio in una città come Bergamo, così a fondo penetrata e dominata dalla cultura cattolica.

Nel ricordo che ne conservo, non si trattava per noi di una svolta imprevista, ma piuttosto di una conferma e di uno straordinario contributo politico che ci veniva offerto nel modo più solenne e impegnativo da chi rappresentava la massima e indiscussa autorità, politica e culturale, non solo all’interno del partito, ma in tutto quell’arcipelago di forze e di movimenti che aveva nel PCI il suo principale interlocutore. Era per noi l’incoraggiamento a continuare nel confronto e nel dialogo con le associazioni cattoliche, e a liberarci di ogni forma di settarismo. Va ricordato che eravamo nel pieno della campagna elettorale per le elezioni politiche, e ciò rende ancora più evidente la singolarità della scelta politica di Togliatti: non il facile armamentario del comizio, ma una riflessione sul mondo e sulla condizione esistenziale dell’uomo moderno, ricercando  su questo terreno il dialogo con tutto l’insieme della realtà organizzata della Chiesa, di quella Chiesa che con il pontificato di Giovanni XXIII aveva avviato un eccezionale processo di rinnovamento. E Bergamo era la terra d’origine di Papa Giovanni.

Non passano molti giorni, e viene pubblicata l’Enciclica Pacem in terris, e da quel momento è tutto l’orizzonte politico che viene messo in movimento, perché saltano tutte le antiche barriere che avevano contrapposto la Chiesa alle correnti democratiche e ai principi di libertà e di laicità su cui si andava costruendo l’edificio dello Stato moderno. L’Enciclica ci fa entrare in un mondo nuovo, in un’epoca in cui tutte le vecchie identità vengono ridefinite e messe alla prova, verificate e rinnovate alla luce dei “segni dei tempi”, dei cambiamenti politici e sociali, dell’emergere di nuove soggettività e di nuove forme di coscienza collettiva.

Abbiamo scelto, dopo cinquant’anni, di ricostruire questo passaggio storico, e non è arbitrario, mi sembra, mettere tra loro in relazione Togliatti e Giovanni XXIII, perché entrambi compiono, ciascuno nel suo campo, un’operazione di innovazione culturale, e sono del tutto evidenti e anche sorprendenti le analogie, le convergenze di metodo e di sostanza. Su quale terreno avviene l’incontro? Non su quello strettamente ideologico e dottrinario, ma esclusivamente sul terreno politico, con una distinzione molto netta e decisa, in entrambi i testi, tra le ideologie e i movimenti storici ideali. È un punto cruciale, e non affatto scontato. Non si tratta, sia ben chiaro, di una svalutazione del momento ideologico, ma piuttosto di inquadrare le ideologie nel loro movimento, nel loro farsi storico, e in questo movimento, in questo rapporto vivente con i mutamenti della storia, si possono aprire nuovi spiragli di convergenza, non per una operazione di eclettismo teorico, ma perché sono comuni le domande storiche a cui le ideologie devono saper rispondere.

C’è qui, in embrione, un’idea di relativismo storico, che esclude ogni rappresentazione statica e immutabile della verità, perché la verità è tale solo se è in grado di interpretare i cambiamenti, e quindi di rinnovarsi, di evolversi, e il dialogo è possibile proprio perché, in fondo, tutte le verità sono parziali, e ciascuna di esse è un momento della nostra più complessiva vita spirituale.

Questo tipo di approccio non è sorprendente in Togliatti, che si è formato nel grande solco dello storicismo hegeliano e marxista, per il quale tutte le costruzioni culturali possono essere comprese solo nel loro movimento e nel loro rapporto con i cambiamenti delle strutture politiche e sociali. Tuttavia, egli sviluppa in modo del tutto originale e innovativo questa tradizione culturale, includendo in questa visione storica anche il fattore religioso, considerato come un momento, come un’espressione della condizione umana, che può evolvere in diverse direzioni e può assumere diversi contenuti, senza che sia mai possibile un suo definitivo superamento. Per la prima volta viene enunciato con grande chiarezza questo giudizio sulla religiosità come una componente dell’esperienza umana, che è velleitario ed insensato pensare di poter estirpare in nome della razionalità scientifica, e in questo c’è una critica esplicita a tutta una tradizione illuministica e positivista, che aveva concepito il progresso come la liberazione delle coscienze dalle superstizioni religiose. La religiosità è un fatto storico, ed essa va indagata e valutata storicamente, per il ruolo che svolge nelle condizione determinate del suo tempo. In particolare, la Chiesa cattolica non è solo un insieme di dottrine, ma è una grande istituzione politica, che ha radici profonde nella società e nella coscienza collettiva, che agisce come una potenza terrena, influenzando in vari modi tutto il corso della vita politica e sociale.

Ora, la Chiesa come si colloca nella vicenda storica contemporanea? È solo necessariamente al servizio delle forze conservatrici, o può aprirsi ad una nuova dimensione, entrando in un dialogo costruttivo con le correnti democratiche e progressive? Togliatti scommette su questa seconda possibilità, e vede nel pontificato di Giovanni XXIII i segni di un importante cambiamento di rotta. E la Pacem in terris è la conferma più clamorosa di questo nuovo corso della Chiesa. Essa segna una vera e propria rottura, anche se non dichiarata, con tutta la tradizione precedente, perché si rovescia tutta la concezione del rapporto della Chiesa con il mondo. Mentre nel passato la Chiesa pretendeva di essere il baluardo di difesa dei valori tradizionali, contro le pericolose irrequietezze del mondo moderno, contro il diffondersi dello spirito di libertà, la nuova enciclica indica un opposto percorso: capire i “segni dei tempi”, ed entrare in sintonia con le nuove domande di libertà, che possono essere un fermento morale positivo e possono essere orientate verso l’obiettivo di una comunità più giusta. È il ruolo stesso della Chiesa che cambia: meno rigidità dogmatica e più azione pastorale, meno verità imposta dall’alto e più vicinanza alla vita concreta delle persone e alla loro libera ricerca.

È importante ricordare quali sono, per Papa Giovanni, i segni dei tempi di cui occorre tenere conto. Essi sono: “l’ascesa economico-sociale delle classi lavoratrici”, “l’ingresso della donna nella vita pubblica”, e il movimento di indipendenza dei popoli, che mette in discussione le vecchie strutture di dominio e di sfruttamento. Una Chiesa che partecipa, su questi diversi e decisivi terreni, al processo di liberazione della condizione umana da tutto ciò che la opprime e la rende diseguale, è uno straordinario elemento di novità. E l’Enciclica offre in proposito una precisa motivazione dottrinaria, con l’affermazione che “tutti gli uomini sono uguali per dignità naturale”.

Non solo: c’è nella stessa Enciclica una relativizzazione del significato delle ideologie, le quali possono produrre, anche partendo da premesse erronee, movimenti fecondi e positivi. È la famosa distinzione tra l’errore e l’errante. Qui davvero è del tutto innovativo e sorprendente il modo in cui Papa Roncalli ridefinisce il ruolo della Chiesa nel mondo moderno, adottando un punto di vista storicistico, che rappresenta il totale rovesciamento di ogni forma di fondamentalismo dogmatico. La verità non è data una volta per sempre, ma si evolve nel processo storico concreto. Che altro sono i segni dei tempi se non l’idea di una verità che è in movimento, in evoluzione, per cui cambia nel tempo la definizione di ciò che è giusto, di ciò che rappresenta il bene comune? La verità stessa diviene un processo.

Successivamente la Chiesa cercherà di mettere un argine alle possibili conseguenze rivoluzionarie di questa impostazione, e il nemico da combattere diviene il relativismo. E l’accento torna sulla verità, di cui la Chiesa è l’unica depositaria. Caritas in veritate, dice Benedetto XVI, cioè la stessa carità è giustificata solo se sta dentro la luce della verità. Non si ammette più che anche dall’errore possano scaturire energie morali positive. Su quell’interazione feconda tra Chiesa e mondo moderno torna a calare il senso di una reciproca estraneità. Sotto questo profilo sarà molto importante vedere in quale direzione intende agire il nuovo Pontefice, che già ha saputo, nel linguaggio, nello stile, nel rapporto con le persone, dare un segno vivissimo di cambiamento, senza che però ancora tutto questo si sia tradotto in una nuova elaborazione teorica. Ma su questo potremo tornare più avanti, per un giudizio più motivato e più argomentato.

Torniamo ora alla Pacem in terris. Per meglio comprendere tutta la portata innovativa delle scelte di Giovanni XXIII è assai utile prendere in esame le osservazioni dei teologi a cui era stata sottoposta la bozza dell’enciclica. Troviamo tutta questa documentazione nell’utilissimo libro di Alberto Melloni, Pacem in terris, Laterza 2010. Dalla lettura di questi documenti si coglie tutta la complessità dell’azione di rinnovamento intrapresa, il travaglio interno, l’equilibrio difficile tra continuità e cambiamento. Alcune affermazioni, che oggi ci sembrano essere di assoluta evidenza e di valore universale, rappresentavano allora, rispetto alla tradizione della chiesa, un atto di rottura, visto con preoccupazione e con sospetto dalle correnti più conservatrici della Chiesa. Eguaglianza tra uomo e donna, valore assoluto della persona umana, libera ricerca della verità, diritto delle nazioni all’autodeterminazione, affermazione incondizionata della pace, sono tutte conquiste di un processo tormentato e contrastato che si afferma nel mezzo di complicate discussioni dottrinarie e teologiche. In modo particolare, è assai forte la resistenza al principio di libertà, che nell’Enciclica viene associato alla verità, alla giustizia e alla solidarietà, come uno dei fondamenti su cui costruire la comunità politica.

Scrive uno dei teologi interpellati: «quanto si afferma potrebbe essere interpretato come favorevole al liberalismo e indifferentismo in campo morale e religioso». La libertà, si sa, era stata vista dalla Chiesa come un possibile fattore di disgregazione, in quanto all’ordine naturale della società si sostituisce l’arbitrio individuale. Ma nel testo di Giovanni XXIII la libertà svolge un ruolo essenziale, perché l’obiettivo della pace, che è il tema centrale dell’enciclica, può essere solo il risultato di un atto di libertà e di responsabilità, interrompendo così, con un gesto libero, la catena storica delle guerre, viste, anche dalla Chiesa, come un male necessario, come la conseguenza inevitabile del peccato e della umana imperfezione. È un movimento teorico analogo a quello che viene compiuto da Togliatti nel campo dell’ortodossia comunista, con il rifiuto della “inevitabilità” della guerra, e con il riconoscimento di una possibile convergenza tra forze e dottrine diverse. È la libertà che, nei due campi, sfida il fatalismo, la forza di inerzia che conduce ad uno scontro distruttivo, ed è la libertà in quanto risorsa umana che va oltre le appartenenze politiche e di classe, avendo il suo fondamento nella dignità e nella integrità della persona.

D’altra parte, i teologi tradizionalisti non avevano tutti i torti, perché dall’affermazione della libertà discende necessariamente la libera ricerca del vero, e quindi il relativismo delle fedi e delle convinzioni, senza che nessuna di esse possa più pretendere un suo assoluto primato. Ciò che può accumunare gli uomini è l’essere in cammino nella ricerca della verità.

In questo siamo tutti “erranti”, e così forse si può interpretare quel passo della Pacem in terris, vedendo nell’errante colui che è in movimento, colui che cerca, e in ciò sta la sua giustificazione, perché conta non da dove si viene, ma dove si va, non la certezza della verità acquisita, ma l’ansia della ricerca. Forse è questa un’interpretazione forzata, ma così è stato inteso allora il messaggio di Papa Giovanni dalle persone più diverse, e anche da quelle più lontane dall’istituzione della Chiesa, come un invito alla libera e aperta collaborazione che sia fondata esclusivamente sulla “buona volontà”, sulla limpidezza e sulla rettitudine delle intenzioni.

È su questa base che si legittima l’autonomia della politica, in quanto è nel comune spazio democratico che le persone si incontrano e mettono a confronto i loro diversi percorsi di ricerca. In questo spazio aperto, sono comuni a tutti, credenti o non credenti, i diritti e i doveri, e ciascuno deve rispettare sia la legittimità dei diversi punti di vista, sia il risultato di mediazione che può scaturire dal libero confronto. In democrazia non ci possono essere “valori non negoziabili”, perché i valori non sono la premessa, ma sono il risultato del processo, e il processo democratico è sempre aperto a nuovi possibili sviluppi.

Qui c’è un nodo teorico su cui è importante ritornare: il rapporto tra le ideologie e i movimenti storici. In Togliatti e in Giovanni XXIII c’è la medesima convinzione: che le ideologie sono un prodotto della storia, e vanno interpretate nel loro movimento, nel loro farsi, essendo sempre aperte a diversi possibili svolgimenti. In questo senso, i movimenti storici oltrepassano le ideologie, e può quindi accadere, come dice l’Enciclica, che posizioni originariamente tra loro contrapposte possano trovare, nell’evoluzione storica, il terreno di una possibile convergenza. Non è, sia chiaro, la teoria oggi di moda sulla fine delle ideologie, sul loro tramonto, per accedere finalmente ad una visione solo pragmatica della realtà. Al contrario, il fattore ideologico, viene visto come un elemento essenziale, e la sua forza sta proprio nell’essere in movimento, nel non rinchiudersi nella rigidità del dogma.  Di qui l’affermazione del valore, di principio e di metodo, che ha la pratica del confronto, per giungere di volta in volta a livelli più alti di consapevolezza, e per rintracciare alcuni fondamenti comuni su cui si può reggere tutta la nostra vita collettiva. È l’operazione che la Chiesa ha fatto, con il Concilio, mettendosi in relazione con il mondo che cambia. La sinistra sembra aver imboccato la strada opposta, quella di una rimozione della sua storia e della sua tradizione, rinunciando ad elaborare una propria visione, una propria interpretazione del mondo.

Per cui la situazione attuale registra uno straordinario arretramento rispetto alla fecondità di quel dialogo che si era aperto negli anni sessanta, sia perché si stanno ripresentando con nuova aggressività forme di fondamentalismo religioso, sia perché sull’altro versante non c’è la pienezza di una elaborazione teorica, ma c’è il nulla dichiarato e teorizzato, c’è la retorica del “fare”, che esclude la fatica del pensare. Questo è il nostro dramma attuale: lo svuotamento del dibattito politico, a cui si sostituisce la competizione per il potere, fine a se stessa, sganciata da ogni discussione intorno ai fini, ai progetti di società.

Per questo, io sento come fortemente attuale il ritorno ai valori e ai principi elaborati cinquant’anni fa: la persona e la sua libertà, l’autonomia della politica, l’incontro sul terreno della storia, il confronto tra le culture e le visioni del mondo. Abbiamo bisogno di culture forti, e in quanto forti aperte al dialogo, abbiamo bisogno di soggetti organizzati, consapevoli, sul terreno politico come su quello sociale, in assenza dei quali la società finisce per essere dominata solo dagli impulsi egoistici, o per subire il fascino irrazionale delle varie forme di populismo. Tornare a pensare, questo è il nostro compito, per ricostruire in tutta la sua ricchezza e complessità la dimensione politica, per riempire di contenuti lo spazio democratico, perché ci sia finalmente dialogo, confronto, conflitto e mediazione, rivitalizzando così tutti gli strumenti della partecipazione democratica.



Numero progressivo: L17
Busta: 9
Estremi cronologici: 2013
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Scritti
Serie: Cultura -
Note: Bozza
Pubblicazione: Riccardo Terzi, Francesco Mores (a cura di), “Palmiro Togliatti e Papa Giovanni”, Ediesse, Roma 2014. Ripubblicato in “Riccardo Terzi. Sindacalista per ambizione”, pp. 307-314