TERZIARIO AVANZATO: UN TERRITORIO DI CONFINE
Articolo Di Riccardo Terzi relativo alla ricerca dell’IRES Lombardia sul terziario avanzato
La ricerca dell’IRES Lombardia sul terziario avanzato affronta i problemi sorti da questa nuova forma di lavoro, al confine tra rapporto dipendente e libera professione, esaminando anche il ruolo del sindacato.
Le indicazioni che scaturiscono dalla ricerca dell’IRES Lombardia, curata da Ida Regalia, sul terziario avanzato mi sembrano convincenti. Mi limito quindi a qualche rapido commento.
Vorrei anzitutto premettere un’osservazione metodologica: il terziario avanzato, per quanto sia tendenzialmente in espansione e sia strategicamente di grande rilievo, rappresenta comunque, nel presente e nel futuro, un’area delimitata, capace di assorbire solo una piccola parte della forza-lavoro.
È quindi improprio ogni tentativo di generalizzazione, come se le tendenze che sono riscontrabili nel terziario avanzato fossero in prospettiva le tendenze dominanti dell’intero mondo del lavoro. Nelle teorie sulla società post-industriale c’è, a mio giudizio, questo errore di prospettiva. C’è una operazione di ideologizzazione che non tiene conto dei processi reali, i quali si presentano assai più complessi, contraddittori, carichi di conflitto, di nuove e diffuse forme di alienazione ed emarginazione sociale.
Se analizziamo il caso più significativo di società “terziaria”, quello degli Usa, si può notare subito con chiarezza come l’espansione più consistente e massiccia sia avvenuta nei settori più tradizionali e meno qualificati dei servizi. Insomma, la tendenza di fondo del processo di modernizzazione non è, in generale, verso un livello più alto di qualificazione, di professionalità, di autonomia nel lavoro, perché accanto a questa tendenza agisce con altrettanta forza e con una maggiore capacità espansiva la tendenza opposta verso forme di lavoro dequalificato, ripetitivo e precario. Ciò nulla toglie al rilievo straordinario che ha il settore del terziario avanzato, a condizione che esso venga inquadrato correttamente, in quanto elemento parziale, non indicativo di una tendenza generale. Come afferma giustamente Ida Regalia, «massima è qui la crucialità della risorsa umana, e di una risorsa di elevata qualità e professionalità». Siamo in un’area “privilegiata”, nel cuore di un processo innovativo che esalta la professionalità del lavoro.
Se vogliamo trame una conclusione di ordine generale, possiamo dire che quanto più è avanzato il processo di innovazione, tanto più è decisivo il fattore umano. L’innovazione ha bisogno, per espandersi, di un ambiente aperto, creativo, che esalta le qualità individuali. La permanenza di vecchi modelli burocratizzati e gerarchizzati è un ostacolo, è una contraddizione che va rimossa.
Terziario avanzato e relazioni industriali
Si tratta qui di un problema generale, che non riguarda solo l’ambito più specifico del terziario avanzato, ma riguarda la complessiva evoluzione delle relazioni industriali e dei modelli organizzativi.
È nota la discussione che è aperta intorno a questo ordine di problemi. Ed è evidente come sia fin qui prevalsa, nella cultura imprenditoriale italiana, una risposta conservatrice, che vede nel processo di innovazione l’occasione per una destrutturazione delle relazioni sindacali e per una concentrazione ulteriore delle sedi di decisione, riconfermando così il vecchio modello gerarchico.
La Fiat ha indicato a tutto il mondo imprenditoriale una precisa linea di comportamento, tentando su questa base di consolidare una propria funzione egemone. E l’operazione è fin qui sostanzialmente riuscita.
Ma tralascio di allargare troppo l’orizzonte di queste considerazioni.
La partita è sicuramente ancora aperta per quanto riguarda il futuro delle relazioni industriali, e non è possibile, allo stato attuale, nessuna previsione certa, trattandosi appunto di un problema che dipende anzitutto da scelte e valutazioni politiche, e dai rapporti di forza, senza che il fatto tecnologico sia di per sé determinante.
E allora, lasciando sullo sfondo gli interrogativi più generali, possiamo analizzare più concretamente i problemi specifici del terziario avanzato, considerandoli nella loro duplice veste come espressione di una situazione del tutto particolare, privilegiata, e non generalizzabile, ma anche nel contempo come sintomo di problematiche più generali, in quanto qui misuriamo più direttamente gli effetti del processo tecnico e sociale di innovazione.
L’elemento saliente è il valore individuale della prestazione di lavoro, che, proprio per i suoi requisiti di alta professionalità, si configura spesso non nelle forme classiche del lavoro dipendente.
Siamo al confine tra lavoro dipendente e lavoro autonomo. E qui c’è una novità importante, perché non funzionano più i classici schemi di riferimento, e si viene formando un’area “intermedia” che è assai difficilmente riducibile alla tradizionale separazione tra lavoro subordinato e libera professione.
Queste figure “miste”, a metà dipendenti e a metà autonome, sono destinate probabilmente a svilupparsi, e ciò pone problemi di tipo nuovo, all’impresa e al sindacato.
Può bastare il libero gioco di mercato? Ciò vale solo per i grandi esperti, ma non per l’insieme di queste nuove figure. Si pone quindi un problema di regolamentazione del rapporto di lavoro, che spesso appare solo formalmente un lavoro autonomo.
Si dovranno quindi cercare soluzioni di tipo nuovo, con un mix di contrattazione individuale e di regolazione collettiva. E questa esigenza si pone in generale per tutte le figure “alte” indipendentemente dalla forma giuridica del loro rapporto di lavoro.
La soluzione può forse essere individuata in una convenzione-tipo che fissa alcuni criteri generali, definisce i diritti minimi sia per la parte retributiva, sia per quella normativa e previdenziale, lasciando ampi margini a una contrattazione di tipo individuale.
Il sindacato di fronte alle nuove problematiche
La questione va discussa, approfondita. In ogni caso mi pare che l’organizzazione sindacale non possa disinteressarsene, che non valga più in questo caso la classica delimitazione dell’area del lavoro dipendente, trattandosi appunto di un territorio di confine dai tratti molto sfumati, e di un tipo di lavoro che avrà verosimilmente nel prossimo futuro una notevole diffusione.
Un sindacato “moderno”, aperto ai processi di innovazione e di modernizzazione, non può evitare di affrontare anche questi problemi, a meno che non intenda rassegnarsi a un ruolo progressivamente minoritario e residuale.
D’altra parte, la ricerca di Ida Regalia mette in luce come anche in questo settore, in una misura che va oltre le aspettative, si presenta la necessità di una regolazione contrattuale. Oggi ciò avviene in forme dispersive, facendo riferimento a diversi contratti. E tale dispersione contrattuale è sicuramente un limite da superare, perché il riferimento è a norme contrattuali che assai poco sono modellate sulle esigenze e sulle caratteristiche specifiche del terziario avanzato. Credo che sia ormai matura l’esigenza di una normativa contrattuale autonoma che unifichi tutto il settore.
In questa direzione occorrerà fare alcune sperimentazioni, partendo da alcune realtà aziendali o di settore, e adeguando a queste esigenze anche le forme della rappresentanza sindacale sia per i lavoratori che per le imprese. Per il sindacato è un fatto di grande importanza questo bisogno di regolazione collettiva che emerge dalla ricerca, il quale smentisce l’idea ricorrente che per le figure più professionalizzate possa valere semplicemente la regola del mercato. Ma ovviamente ciò comporta una innovazione profonda sia delle politiche rivendicative sia delle forme della rappresentanza.
Cambiano i contenuti dell’azione sindacale, mettendo al primo posto nuovi obiettivi: di professionalità, di formazione, di accesso alle informazioni, di autonomia nel lavoro. E occorrono nel contempo nuovi modelli organizzativi, non più costruiti intorno alla “centralità operaia”, ma capaci di far valere e di valorizzare tutto l’arco delle diversità che sono presenti nel mondo del lavoro.
Non sono da escludere forme organizzative originali di tipo associativo, che possono non sostituirsi ma integrarsi con l’organizzazione sindacale. È il problema che si pone in generale al sindacato per tutti i lavoratori ad alta professionalità (tecnici, quadri), e che nel terziario avanzato assume una pregnanza particolare.
Qui, nei settori più direttamente coinvolti nel processo di innovazione, appare chiara la necessità, anche per le imprese, di modelli organizzativi meno rigidi, di un sistema nuovo di relazioni, che valorizzi la responsabilità, la partecipazione attiva, il consenso.
Finora si è tentato di circoscrivere il più possibile gli effetti di questo processo innovativo che rischia di sovvertire tutta la cultura tradizionale dell’impresa e di aprire nuovi, non desiderati spazi all’iniziativa del sindacato e dei lavoratori. Su questa contraddizione si può lavorare.
Il sindacato deve, in questo senso, misurarsi con i nuovi problemi posti dall’innovazione, acquisire una propria autonoma capacità progettuale, e mettersi in grado di rappresentare le esigenze più avanzate che emergono nel mondo del lavoro. È un nuovo terreno, di conflitto, ma anche di possibile confronto costruttivo.
Busta: 2
Estremi cronologici: 1989, settembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Impresa e stato”, settembre 1989, pp. 46-47