TECNICI, QUADRI, CLASSE OPERAIA

Convegno del PDuP del 16 gennaio 1982

Relazione di Riccardo Terzi

Mi sembra un segnale positivo il fatto che da qualche tempo all’interno della sinistra e del movimento operaio si cerchi di affrontare con maggiore impegno e approfondimento il tema della realtà dei quadri e dei tecnici nella società italiana. C’è da augurarsi che attraverso le varie iniziative, di cui quella di oggi è un esempio, si riesca a superare un ritardo che indubbiamente esiste ed è molto serio e sensibile.

Ci siamo trovati complessivamente come movimento operaio di fronte a questo fenomeno anche nelle sue esplosioni più clamorose, come è stato durante la vertenza della Fiat, senza essere riusciti a vedere per tempo il maturare di nuovi processi nel rapporto tra la classe operaia e questi strati sociali. Credo che si debba partire da una considerazione essenzialmente politica, dal fatto che ci troviamo di fronte a un movimento reale, allo sviluppo di iniziative di organizzazione, in varie forme, dei quadri. Si tratta di un movimento che ha una base oggettiva, un fondamento reale, che trae la sua ragion d’essere dalla collocazione di una serie di forze nel processo produttivo da una loro crisi di ruolo, e anche dalla debolezza delle risposte che sono venute da parte del movimento sindacale. Esso esprime un’identità collettiva, una coscienza politica autonoma, per cui è possibile parlare di un soggetto politico, che ha una sua precisa e originale configurazione.

Sbaglieremmo a vedere tutto questo sotto il segno del corporativismo. Certamente esiste il rischio di sbocchi corporativi, ma la possibilità di evitarli dipende dalla nostra capacità di stabilire un raccordo positivo e costruttivo con il movimento dei quadri. Si deve oggi affrontare in termini largamente rinnovati rispetto al passato il problema dell’unità di classe, di come deve essere intesa, di come può essere concretamente perseguita. Prima d’ora è stato prevalente nel movimento operaio un certo schema di interpretazione che possiamo sommariamente illustrare in questo modo: si partiva dall’individuazione di un nucleo centrale e fondamentale, il nucleo della classe operaia in senso stretto, e a questo nucleo centrale era affidato il compito di aggregare altre forze, altri settori del mondo del lavoro, generalizzando le proprie esperienze e le proprie forme organizzative.

Questo schema ha funzionato per un certo periodo: indubbiamente tutta l’esperienza dal ‘69 in avanti si è caratterizzata per il ruolo trainante della classe operaia e un rapporto positivo con i tecnici e con altri strati si è stabilito sulla base di un elemento di centralità operaia. Ma ora siamo in presenza di una trasformazione abbastanza profonda nella composizione di classe, nei rapporti interni alla classe lavoratrice, siamo in presenza di una crescita di diverse figure sociali, di una modifica del rapporto tra settore industriale e settore terziario, e pertanto può essere ricomposta un’unità effettiva del movimento operaio a partire da una visione molto più articolata. Non c’è un nucleo centrale ma ci sono diversi elementi, diverse componenti con loro proprie caratteristiche, con loro propri necessari livelli di autonomia, e occorre allora una politica assai articolata, flessibile, differenziata.

Vi è la necessità di esaminare bene le articolazioni reali, e anche quando parliamo di quadri e tecnici parliamo di una realtà che al suo interno ha differenziazioni considerevoli. I quadri in senso stretto possono essere definiti quei lavoratori che hanno, all’interno del processo produttivo, dei compiti di carattere gestionale e organizzativo e quindi delle funzioni di direzione su altri lavoratori; il quadro intermedio si configura come momento di connessione tra la dirigenza e la massa dei lavoratori esecutivi.

Diversa è invece la collocazione delle figure ad alta specializzazione tecnica. Ma, al di là di questa esigenza di approfondimento e di conoscenza sempre più puntuale e precisa della realtà, torniamo al dato politico: l’esistenza di un movimento in via di sviluppo, i cui esiti sono ancora incerti e possono essere molto diversi. Attualmente abbiamo ancora una situazione fluida e aperta, in cui appaiono già oggi visibili i possibili rischi e pericoli. Appare visibile innanzitutto un elemento di contrapposizione, talora anche di lacerazione, nei rapporti con il movimento sindacale. Non c’è soltanto la vicenda Fiat, ma c’è il fatto più generale che nelle varie associazioni di quadri sono molto accentuati gli elementi di conflittualità verso il sindacato.

Questo dà luogo anche a una manovra politica delle forze moderate, che si sono buttate sul problema dei quadri con l’obiettivo di utilizzare questo elemento di conflitto e di contrapposizione al sindacato per determinare una rottura, una lacerazione profonda, per generalizzare la vicenda Fiat, per sviluppare un movimento di massa su una linea antioperaia e antisindacale. Occorre vedere come si evita questo rischio. Non basta la denuncia delle manovre delle forze conservatrici, le cui finalità sono prevedibili e evidenti, ma occorre che da parte del movimento operaio si affrontino in termini nuovi questi problemi e che venga operata una correzione rispetto al passato. Se non c’è una volontà di correzione, di mutamento, di adeguamento reale della politica del movimento operaio, la spinta alla separazione corporativa, la spinta a una caratterizzazione antisindacale e antioperaia del movimento dei quadri finirà per prevalere, e ci troveremo di fronte ad esiti politici drammatici per l’insieme del movimento operaio.

Una linea di correzione deve affrontare molti problemi: c’è anzitutto la questione della politica rivendicativa e salariale. ‘anno pesato negativamente gli errori del passato, le spire esasperate all’egualitarismo, che hanno messo in crisi il ruolo e l’identità dei quadri intermedi. Ora si tratta di operare una correzione, sapendo che i margini sono molto stretti e che comunque la prossima campagna contrattuale sarà un significativo banco di prova: o con i contratti riusciamo a ristabilire un rapporto, a far venire avanti dei segnali significativi di correzione, oppure rischiamo di perdere definitivamente la partita, Ciò deve essere fatto tenendo conto dei limiti obiettivi dovuti alla crisi economica, ai processi inflazionistici, alla necessità di una politica sindacale che non prema l’acceleratore sul salario in modo da non contribuire a un’ulteriore impennata dell’inflazione.

Ma proprio perché sono questi i limiti obiettivi dentro i quali ci si deve muovere nella prossima tornata dei rinnovi contrattuali, ancora più significativi e importanti diventano gli atteggiamenti politici nei confronti della realtà dei quadri. È necessario un atteggiamento di apertura politica, un riconoscimento del ruolo autonomo di queste forze, è necessario definire delle procedure di partecipazione dei quadri e tecnici a tutta la fase di elaborazione delle piattaforme contrattuali e alla gestione dei contratti e occorre risolvere in modo innovativo il problema della rappresentanza, definendo modalità di elezione e di funzionamento dei consigli dei delegati in modo da garantire una presenza significativa di queste forze.

Io non credo che sia possibile risolvere positivamente il problema del rapporto con queste forze dentro il sindacato, superando i rischi corporativi ed evitando le soluzioni del sindacalismo autonomo, se il sindacato non si attrezza in modo tale da avere al proprio interno un’articolazione, un riconoscimento degli elementi di autonomia, e quindi una struttura organizzativa più flessibile e differenziata. Ci sono poi ragioni politiche più di fondo.

È aperta una crisi nel blocco di potere dominante, ed è obiettivamente aperto il problema della costruzione di un’alternativa politica, e quindi di un nuovo blocco sociale. Ecco che allora vediamo quanto sia decisivo il rapporto tra la classe operaia e l’insieme delle forze sociali produttive, interessate alla costruzione di un nuovo tipo di sviluppo. Un nuovo blocco sociale, che si proponga di sostituire quello attuale e di divenire a sua volta blocco dominante, ha bisogno di avere al proprio interno le forze che possono essere motrici dello sviluppo: l’intellettualità tecnica e scientifica i settori più moderni e dinamici della società, una parte significativa delle forze imprenditoriali. Senza di questo, costruiamo soltanto delle illusioni o riduciamo la politica dell’alternativa a un’azione di propaganda.

Infine, tutto questo deve essere collocato sullo sfondo della situazione di crisi, che ha investito la società italiana, il nostro sviluppo economico e produttivo. Si tratta di vedere come il movimento operaio riesce a svolgere una funzione di governo, come riesce a intervenire e a dirigere i processi economico -sociali, a indicare delle soluzioni alla crisi, a entrare dentro la difficoltà di un processo di cambiamento, di riconversione produttiva. Sono d’accordo con il giudizio, contenuto nella relazione, sulla vicenda Fiat. La rottura che fu consumata tra operai e quadri era dovuta non soltanto ad aspetti di condotta tattica della vertenza, ma anche al fatto che non a sufficienza il movimento operaio era riuscito a presentare in modo realistico e credibile una linea di superamento della crisi, una proposta di sviluppo. Per questo la lotta è apparsa solo difensiva, e quindi non è riuscita, per questo suo limite, a saldare un rapporto con l’insieme delle forze del lavoro.

Ora, se questo è il problema, se il compito del movimento operaio è quello di prospettare soluzioni politiche positive per il superamento della crisi, mi pare che allora acquisti una grande rilevanza il tema della democrazia industriale, degli strumenti nuovi da costruire per portare al livello più alto lo scontro sociale, per intervenire sul terreno delle scelte di fondo di politica economica. Su questo terreno possiamo ritrovare la possibilità di un’unità e di una convergenza sostanziali con tutte le forze produttive dentro la fabbrica, con le diverse figure sociali del mondo del lavoro. La classe operaia ha conquistato una grande forza contrattuale, un grande peso in tutti questi anni, ma non è riuscita ad incidere a sufficienza nelle realtà strategiche dell’impresa, per una carenza di strumenti e anche per una certa esitazione, per una remora di carattere ideologico, per il timore di avventurarsi su un terreno rischioso, che rischia di compromettere l’autonomia del movimento operaio.

Certo, il terreno è rischioso; se però si rimane fermi, se non si supera questa soglia, se non si ha la chiarezza e la forza di proporre nuovi strumenti di partecipazione operaia ai processi di direzione dell’economia, credo che perderemo un’occasione e non riusciremo a stabilire un rapporto fecondo con l’insieme delle forze del lavoro, con i quadri, i tecnici, i dirigenti per dar vita a una più ampia unità nella battaglia per un nuovo sviluppo economico della nostra società.



Numero progressivo: F3
Busta: 6
Estremi cronologici: 1982, 16 gennaio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: ?