TECNICI E QUADRI PER UNA MODERNA ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

di Riccardo Terzi – Segretario generale CGIL Lombardia

La società italiana è entrata in una fase di intensa e diffusa modernizzazione del suo apparato economico e delle sue strutture sociali. L’innovazione tecnica ha un ruolo trainante in questo processo, anche perché siamo in presenza di innovazioni che non hanno effetto solo sull’attività produttiva, ma sull’intera organizzazione sociale, hanno cioè, come si usa dire, un effetto pervasivo, trasversale, da cui escono trasformati tutti i settori dell’attività umana, nessuno escluso.

Non si tratta solo di singoli e parziali cambiamenti tecnici, ma di un nuovo universo tecnologico, che segna un passaggio d’epoca rispetto alla fase precedente della produzione industriale di massa. Si parla in questo senso, con un’espressione a mio giudizio impropria, di “società post-industriale”. Impropria perché suggerisce l’idea di un declino storico del ruolo dell’industria, mentre ciò che nella realtà avviene è un’estensione in tutti i campi di attività di criteri di razionalità tecnica, con l’effetto di esaltare in misura prima sconosciuta la produttività sociale dei servizi, spostando radicalmente il rapporto tra industria e terziario.

In Italia questo processo è ancora solo gli inizi, ed è da prevedere quindi che, una volta conclusa la ristrutturazione dell’industria, si porrà il problema di una generale rivoluzione tecnologia nei servizi e nella pubblica amministrazione.

Tutto ciò si può riassumere nel concetto di modernizzazione, che significa processo di razionalizzazione tecnica, realizzazione del massimo di efficienza nelle condizioni date.

Questo processo, che è in sé progressivo e che sarebbe assurdo voler arrestare o inceppare, rischia però di mettere in ombra i fini, gli obiettivi sociali, di limitarsi cioè alla sfera dei mezzi, degli strumenti tecnici, considerando il criterio dell’efficienza come un parametro assoluto, senza nessuna considerazione per la qualità dello sviluppo e per gli effetti che ne derivano sull’organizzazione sociale complessiva.

Occorre dunque una lettura critica, che valuti il progresso tecnico non solo per se stesso, ma in rapporto ai bisogni sociali di emancipazione, di pienezza di vita, di realizzazione di sé, in una società che si costruisce a misura dell’uomo.

Le nuove tecnologie possono essere applicate dentro una prospettiva di liberazione del lavoro, o di un suo ulteriore asservimento. Non c’è nessun determinismo tecnologico, ma c’è un ventaglio di possibilità diverse tra cui scegliere, e intorno alle quali si combatte uno scontro sociale.

Occorre scegliere, ad esempio, tra un uso dell’innovazione tecnologica che produce disoccupazione di massa, o che consente all’inverso una redistribuzione sociale, del tempo di lavoro; tra uno sfruttamento delle potenzialità delle nuove tecniche nel senso di una più rigida parcellizzazione del lavoro, di un più oppressivo controllo gerarchico, di un’ulteriore centralizzazione del comando, oppure nel senso di una valorizzazione dell’autonomia professionale, di un decentramento delle responsabilità, di una più diffusa conoscenza e partecipazione alle scelte.

Sono due modelli opposti, ed entrambi praticabili. Il conflitto in cui oggi è impegnato il sindacato nelle imprese verte su questi temi. C’è il tentativo di rappresentare l’azione sindacale come azione di resistenza al nuovo, di conservazione, di difesa corporativa.

In generale non è così, il conflitto non è tra difesa dell’esistente e innovazione, ma tra i diversi modelli che possono sorreggere e guidare il processo di innovazione.

Se il sindacato chiede la rottura di vecchie incrostazioni autoritarie, chiede nuove relazioni industriali, nuove forme di partecipazione, non solo rispecchia gli interessi determinanti e parziali delle forze che rappresenta, ma pone un più generale problema di “democrazia economica”, di uso razionale delle risorse in rapporto ai bisogni sociali, che costituisce un’esigenza generale dell’intera società.

In questo contesto, a mio giudizio, si pone il problema dei “quadri”, del ruolo che può essere affidato, nella vita delle imprese, alle alte professionalità.

L’area dei quadri è destinata ad un crescente sviluppo. Aumenta progressivamente l’esigenza di funzioni di tipo “direttivo”; progettazione, ricerca, marketing, pianificazione strategica, gestione amministrativa e finanziaria, controllo, specializzazione tecnica.

Se nel passato la fondamentale linea divisoria nel mondo del lavoro era tra lavoro manuale e lavoro intellettuale (operai e impiegati), oggi essa è tra lavoro esecutivo (che comprende senza distinzioni significative sia la realtà operaia che quella impiegatizia) e lavoro, direttivo. Per questo c’è stato un movimento di quadri, il formarsi di varie forme di associazionismo, per questo anche si è introdotta un’innovazione legislativa, che aggiorna le norme del Codice Civile con il riconoscimento della figura dei “quadri”.

I quadri stanno in una posizione nevralgica nell’organizzazione dell’impresa, e per questo hanno un ruolo determinante sulle possibili diverse evoluzioni dell’organizzazione del lavoro e delle relazioni industriali.

Pensiamo alla vicenda della Fiat, nell’80: la sconfitta sindacale è avvenuta nel momento in cui è scesa in campo la forza d’urto dei quadri, con la famosa marcia dei “capi Fiat” che ha reso visibile un isolamento e una debolezza della componente operaia e del sindacato.

Le organizzazioni imprenditoriali hanno avuto finora un atteggiamento ambivalente e contraddittorio. Da un lato hanno incoraggiato il movimento dei quadri, nella misura in cui esso poteva segnare una rottura dell’unità di classe. Ma poi hanno opposto una resistenza durissima alle rivendicazioni dei quadri e ai loro tentativi di darsi una organizzazione collettiva.

Per la Confindustria i quadri non esistono come realtà sociale emergente, come nuova figura collettiva, ma esistono solo come fiduciari dell’impresa, legati da un rapporto individuale di fedeltà, intrinsecamente subalterni, senza autonomia.

La loro funzione dovrebbe consistere nell’essere i portatori delle necessità “oggettive” dell’impresa, in un rapporto autoritario e gerarchico con la massa dei lavoratori.

Ma questa concezione non regge più, non tanto perché essa ha una chiara connotazione antisindacale, ma perché urta con le esigenze di autonomia dei lavoratori ad alta professionalità, ed urta anche con le esigenze poste dall’innovazione tecnologica la quale si può sviluppare più rapidamente e con migliori risultati in un sistema di relazioni aperto, non burocratizzato, non autoritario, e rischia invece di incepparsi in un ambiente di lavoro in cui sono soffocate la responsabilità e la creatività individuale.

Ecco che allora il problema dei quadri, della loro collocazione nel sistema di impresa, ha una pregnanza politica. Per questo sono partito da quelle considerazioni generali sul senso del processo di modernizzazione. Se questo processo va valutato criticamente, e va valutato nei suoi fini, c’è bisogno di quadri che non siano esecutori passivi, ingranaggi di una macchina che prescinde dalle esigenze umane e produce quindi alienazione nel lavoro, ma sappiano intendere nel senso più ampio del termine la loro professionalità, non solo come professionalità tecnica, ma come cultura, come creatività, come autonomia.

Per questo è essenziale impostare bene il problema della formazione, sia nella fase di preparazione al lavoro, sia successivamente come processo continuo di aggiornamento tecnico e culturale.

D’altro lato l’esigenza di valorizzazione della professionalità non riguarda solo i quadri, ma tutti i lavoratori.

Noi dobbiamo, con una politica sindacale appropriata, riconoscere i valori in campo, e quindi correggere gli effetti negativi di un appiattimento egualitario, ma dobbiamo pur sempre considerare il mondo de1lavoro nella sua unitarietà. Per questo rifiutiamo soluzioni “corporative”: istituti contrattuali separati per i quadri, condizioni di privilegio o ricerche di “status” che contrappongono i quadri all’insieme dei lavoratori.

Nella realtà, non c’è nessuna netta separazione, ma c’è una continuum di valori professionali, che non consente di fissare che distinzioni provvisorie, convenzionali, relative.

I quadri sono, nella realtà aziendale, una fascia intermedia, assai mobile e soggetta a tutti i profondi mutamenti indotti dall’innovazione. Per questo nessuno ha potuto dare della figura dei “quadri” una definizione del tutto certa e oggettiva. Per questo sarebbe del tutto errato farne una corporazione, una casta staccata e separata dall’insieme del mondo del lavoro.

E la loro funzione sempre meno è una funzione gerarchica, di comando, di controllo sulla forza lavoro; perché questo modello di organizzazione va superato e già di fatto si trova in crisi. È invece una funzione di coordinamento, che richiede capacità complesse, livelli alti di conoscenza e di responsabilità, e richiede anche nuove forme di governo del fattore umano, sviluppando tutte le potenzialità professionali dei lavoratori, in una logica di cooperazione, di scambio, di responsabilità collettiva, e non di imposizione autoritaria e di comando burocratico.

In conclusione, i processi di innovazione tecnologica costituiscono, a nostro giudizio, l’occasione e il terreno su cui operare per una riforma democratica dell’impresa, il che significa che l’impresa non può più essere un feudo governato automaticamente, e non può solo rispondere alle esigenze del profitto senza nessuna valutazione degli effetti sociali. L’impresa è un sistema complesso di relazioni: relazioni interne tra proprietà e lavoratori, relazioni esterne con le istituzioni pubbliche, con i cittadini, con le esigenze del sistema sociale complessivo.

Solo il controllo democratico su questo complesso di relazioni può evitare che la logica dell’impresa entri in rotta di collisione con esigenze collettive, dall’occupazione, dall’ambiente, alla qualità dello sviluppo, alla sicurezza delle condizioni di lavoro.

L’impegno dei quadri, dei tecnici, nel sindacato e con il sindacato può contribuire in misura determinante al raggiungimento di questi obiettivi.



Numero progressivo: B48
Busta: 2
Estremi cronologici: 1988, gennaio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Fabbrica e idee”, 1988, pp. 48-50