SINDACATI E IRI: L’INSIDIA C’È MA NUOVI RAPPORTI OGGI SONO NECESSARI

di Riccardo Terzi

Mentre è in atto uno dei più pesanti attacchi all’occupazione e mentre si viene profilando una linea inaccettabile di smantellamento dell’industria pubblica, torna e riproporsi all’attenzione del movimento sindacale e delle forze politiche il tema dalla costruzione di nuove relazioni industriali.

Si tratta di vedere bene il rapporto tra questi due aspetti. Nelle intenzioni dell’IRI l’offerta di un nuovo metodo di confronto con le organizzazioni sindacali non è disinteressata, ma è la contropartita ai tagli di occupazione e di produzione, è quindi il tentativo di coinvolgere e di corresponsabilizzare il sindacato in una politica recessiva.

È evidente l’insidia, ma è evidente anche la difficoltà, per l’industria pubblica, di procedere alle necessarie ristrutturazioni con decisioni unilaterali, lungo una linea di sfida al sindacato, l’impossibilità di adottare il modello Fiat. L’esigenza di costruire un nuovo tipo di rapporto con le organizzazioni sindacali nasce quindi non solo come manovra, ma come tentativo di risposta ad esigenze oggettive di ristrutturazione e di risanamento finanziario dei settore pubblico. Di fronte a questa duplicità che è presente nella posizione dell’IRI, la risposta del movimento operaio non è scontata, e non è semplice. Sarebbe però sicuramente un errore dare una risposta solo negativa, considerare puramente mistificatorio il possibile confronto sulle relazioni industriali e sui nuovi strumenti che in questo ambito possono essere proposti e sperimentati.

Se è vero che la questione decisiva in questa fase è quella di controllare e di guidare i processi di trasformazione che stanno avvenendo, di intervenire nell’elaborazione delle scelte e non solo, come normalmente avviene, sugli effetti che ne derivano, risulta allora che la costruzione di nuovi strumenti di democrazia nel sistema delle imprese è per il movimento operaio un passaggio strategico assolutamente necessario e non rinviabile.

La discussione con l’IRI acquista così un significato più generale: è una prima occasione per sviluppare l’iniziativa e le proposte del sindacato su questo terreno nuovo, per avviare una sperimentazione, per far maturare tra i lavoratori la coscienza dei compiti più impegnativi e del livello più alto di elaborazione che sono oggi necessari. Nella risposta data all’IRI dalla Federazione sindacale unitaria sta in primo piano la proposta di costituire ai diversi livelli (gruppo, settore, territorio, impresa) dei comitati consultivi paritetici, che dovrebbero funzionare come «organismi stabili per l’informazione e la consultazione fra le parti».

Il significato di questa proposta può essere chiarito mettendo a fuoco tre questioni fondamentali. In primo luogo, si rifiuta ogni limitazione dell’intervento del sindacato alla sola gestione delle conseguenze (sull’occupazione, sull’organizzazione del lavoro) che vengono da scelte strategiche e produttive assunte al di fuori di ogni controllo. La consultazione deve invece avvenire nelle fase di elaborazione delle scelte, dei programmi di intervento, delle linee di politica industriale. Il sindacato non può certo rifiutarsi di esaminare con il realismo necessario i problemi dell’occupazione, ma non può essere chiamato ad assumersi delle responsabilità solo nella fase conclusiva del processo, quando il problema è solo quello dei tagli di forza-lavoro eccedente.

Questo criterio generale ha un significato politico immediato, di fronte ai piani di ridimensionamento annunciati dall’IRI: le discussione con il sindacato dovrà essere complessiva, dovrà investire le scelte di fondo, le direttrici di politica industriale, i progetti di investimento e non può ridursi ad una trattativa tutta in difesa sul numero di lavoratori da mettere fuori dall’attività produttiva, in cassa integrazione o in pensionamento anticipato.

In secondo luogo, i comitati paritetici dovrebbero costituire una sede di consultazione distinta sia dalle sedi contrattuali sia degli organi di gestione. Questa distinzione è necessaria, perché solo in una sede di questa natura, che non ha responsabilità decisionali, e che non ha immediate ripercussioni di tipo contrattuale, può essere realizzato proficuamente tutto un lavoro preventivo di ricognizione, d’informazione, di confronto, di elaborazione, sulla cui base i diversi soggetti potranno prendere, in tutta autonomia, le loro decisioni.

Non si tratta quindi né di cogestione, né di uno svuotamento dei compiti contrattuali che spettano ai Consigli di fabbrica e alle strutture del sindacato. Si tratta invece di uno strumento che assume in via istituzionale tutti quei compiti di informazione e consultazione preventiva, che attualmente sono sanciti dai contratti, ma non riescono ad avere una realizzazione sistematica.

Infine, proprio per questa funzione peculiare del comitati paritetici, che non soppianta l’autonomia decisionale della parti, i rappresentanti sindacali in questi organismi non devono costituire un potere separato, né possono avere la loro fonte di legittimità se non in rapporto con le strutture sindacali corrispondenti. Il sindacato resta e deve restare una struttura unitaria, basata sulla rete democratica dei Consigli, ma deve anche saper articolare e differenziare i propri strumenti, e sapersi avvalere di più delle competenze specifiche, per potersi muovere con cognizione di causa su tutti i terreni.

Questa impostazione indica un terreno nuovo e positivo di sperimentazione, che contiene certamente dei rischi, che può evolvere in direzioni diverse, e che soprattutto impegna il sindacato a conquistare una più alta capacità di elaborazione, in assenza della quale si diviene subalterni non per cedimenti politici ma per carenza di idee e di proposte.

Mi sembra necessario aprire al più presto una discussione di massa su questo ordine di problemi, sia per fugare incomprensioni e diffidenze che spesso derivano da un’informazione non corretta, sia soprattutto per discutere come, a partire dalla vertenza IRI, si possano costruire tappe successive, investendo anche le grandi imprese private ed esaminando anche l’opportunità o meno di interventi legislativi che sanciscano procedure obbligatorie di consultazione.

Occorre finalmente mettere con i piedi per terra una discussione che è stata finora troppo ideologizzata e astratta, il che significa definire gli strumenti possibili di intervento nella particolare situazione di crisi che investe con forza tutto il nostro apparato produttivo.



Numero progressivo: B76
Busta: 2
Estremi cronologici: 1983, 4 ottobre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “L’Unità”, 4 ottobre 1983