RITROVARE PRESTO LA FORZA D’URTO

I conflitti seguono ormai nuovi percorsi. Ecco come la sinistra può governarli

”Dal sociale al politico”, rubrica di Riccardo Terzi

La crisi della sinistra può essere letta come effetto di un mutamento di carattere sociologico: la società si presenta sempre di più come un insieme assai differenziato di interessi, non più riconducibile allo schema semplificato di un’unica fondamentale contraddizione di classe. Il mondo del lavoro, che è il riferimento obbligato di una forza di sinistra, non è più una realtà tendenzialmente omogenea, dotata di una propria comune identità, con un proprio sistema di valori sufficientemente coeso. Le organizzazioni storiche della sinistra, costruite su un modello di centralità operaia, si trovano così a essere spiazzate dal nuovo processo sociale, perché fanno riferimento a una realtà di classe che viene totalmente sconvolta in questa fase di accelerata rivoluzione tecnologica.

Il passaggio che allora si rende necessario è verso una organizzazione flessibile, articolata, duttile, capace di interpretare i bisogni differenziati di una società complessa. Vanno in questo senso le proposte di una struttura leggera, a rete, che sostituisce la vecchia macchina centralizzata con un insieme di momenti organizzativi non più connessi in una struttura gerarchica, ma dotati di un proprio largo ambito di autonomia.

Il partito dei club è un esempio possibile di questo modello. La politica cessa così di essere una sfera separata, e diviene l’auto-organizzazione della società civile. Questa linea di ricerca presenta molti e notevoli elementi di interesse. Ma ho l’impressione che essa resti ancora troppo alla superficie, e colga solo gli aspetti epidermici del processo di modernizzazione. Il quale, se da un lato determina una crescente differenziazione sociale, dall’altro mette in campo una fortissima tendenza all’omologazione; tende cioè a costruire un sistema chiuso, autosufficiente, privo di alternative. L’articolazione è solo l’aspetto esteriore di tale processo, mentre nel profondo agisce un meccanismo di unificazione sistemica, di estrema concentrazione delle sedi della decisione politica e di contestuale affermazione esclusiva del mercato come regolatore dell’intera dinamica sociale. Alla spiegazione sociologica della crisi della sinistra si può allora sostituire una spiegazione politica.

L’effetto di “spiazzamento” delle organizzazioni tradizionali del movimento operaio è la conseguenza di un massiccio spostamento avvenuto nella gerarchia dei poteri, dell’affermazione su scala mondiale di una struttura oligarchica del potere che ha il suo centro nella grande impresa multinazionale e che mette in crisi le forme classiche della regolazione politica. Sta saltando il compromesso tra democrazia e capitalismo, tra Stato e mercato, e la crisi della sinistra è un aspetto della più generale crisi della democrazia politica. Essa è sconfitta perché non dispone dei mezzi per incidere sull’attuale struttura di potere, che si sottrae a ogni forma di controllo sociale e democratico.

Se combiniamo questi due piani di analisi, quello sociologico e quello politico, risulta allora un’indicazione più complessa, perché accanto alle esigenze di articolazione e di flessibilità si ripropone la necessità di una struttura “forte”, capace di confrontarsi, al livello più alto, con l’insieme dei poteri dominanti e con le loro strategie. Se ci fermiamo al solo primo aspetto la flessibilità organizzativa che saremo in grado di produrre ci potrà dare dei vantaggi contingenti, ma finirà essa stessa per ricadere nel meccanismo della differenziazione funzionale. Per essere, cioè, subalterna. Nell’illusione di sfuggire ai dilemmi più propriamente politici, e di superare la politica come sfera separata, rischiamo di realizzare un processo di mero adattamento alla società in evoluzione.

In questo contesto, allora, in opposizione al processo di omologazione dominante, prende rilievo il tema politico delle “differenze”, in quanto irruzione antagonistica di identità collettive e di bisogni individuali la cui radicalità non è mediabile. Alla generica esigenza di apertura alla società si sostituisce l’individuazione concreta di soggetti, di bisogni, di conflitti. La differenza femminile, e quell’esplosiva differenza che viene immessa nella società dall’ondata dell’immigrazione dai paesi del Terzo mondo, sono gli esempi più evidenti che possono essere richiamati. Ma, in senso più lato, questa categoria della differenza indica un universo di bisogni umani che si oppongono alla mercificazione: l’ambiente, la qualità del lavoro, la realizzazione di sé come persona. Tali differenze non chiedono solo di essere riconosciute, ma reclamano una diversa organizzazione sociale.

La rifondazione della sinistra diviene possibile se si seguono questi nuovi percorsi del conflitto sociale. Di fronte all’emergere di nuove identità collettive, l’organizzazione tradizionale è ormai palesemente inadeguata. Ogni volta essa si muove in ritardo, non riesce a cogliere le potenzialità dei nuovi movimenti, frenata da uno spirito burocratico di autoconservazione. La rottura di questo meccanismo è una premessa necessaria, e i rischi del cambiamento sono comunque preferibili ai pericoli mortali della stagnazione. Rifondazione, quindi. Ma rifondazione politica, che fa i conti nuovamente con il problema del potere. Una nuova forza politica deve sapersi articolare, collegandosi con una realtà sociale multiforme, ma per ritrovare tutta la necessaria forza d’urto, per realizzare una nuova grande concentrazione di forza e di iniziativa politica.


Numero progressivo: H119
Busta: 8
Estremi cronologici: 1990, 15 aprile
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “Rinascita”, n. 10, 15 aprile 1990, p. 29