[RIFORME ISTITUZIONALI]

Scritto di Riccardo Terzi decontestualizzato

Il sistema politico italiano si sta avviando faticosamente e tortuosamente, verso la stagione delle riforme istituzionali.

È d’obbligo un giudizio prudente, ed è giustificata una certa dose di scetticismo, perché abbiamo assistito già troppe volte al rituale dei grandi annunci, ed ogni volta ha vinto la forza di inerzia e di autoconservazione del sistema.

Può dunque accadere ancora oggi che il fiume di parole e di impegni solenni finisca presto per insabbiarsi, di fronte al primo ostacolo.

È comunque una fatto politicamente rilevante che il Parlamento si appresti ad istituire una commissione bicamerale per le riforme, ed è condivisibile la procedura che viene così imboccata, evitando l’azzardo di una “Assemblea Costituente”, la quale avrebbe di fatto significato una prematura dichiarazione di morte dell’attuale Costituzione e avrebbe quindi rappresentato uno straordinario vantaggio strategico per la destra.

Ma come ci apprestiamo a questa impegnativa discussione sulle riforme costituzionali, con quale analisi, con quale giudizio sulla crisi italiana?

In tutte le forze politiche, senza significative distinzioni tra destra e sinistra, prevale una lettura distorta e unilaterale della realtà italiana, nella quale il sistema politico-istituzionale viene considerato come corpo autosufficiente, autoreferenziale, e si perde di vista il legame organico che lega i processi istituzionali e quelli sociali. E sembra allora che il problema sia solo quello di un perfezionamento tecnico dei meccanismi giuridici che regolano la vita delle istituzioni. La crisi è nel cattivo funzionamento interno dell’ordinamento politico, e la soluzione è nel potenziamento dell’autorità di governo.

Presidenzialismo, governo del premier, cancellierato: divergono anche profondamente le varie soluzioni prospettate, ma è sostanzialmente identica l’analisi, in quanto si pensa la crisi italiana come effetto di un indebolimento dei poteri di indirizzo e di regolazione del governo centrale, come una crisi tutta politica, risolvibile con i mezzi della politica e con il perfezionamento delle procedure istituzionali.

In realtà la crisi italiana non può essere afferrata in una logica di autoreferenzialità del sistema politico, perché essa consiste essenzialmente in un processo di rottura che è intervenuto nel rapporto tra società e istituzioni. È il cambiamento sociale che ha messo in crisi il sistema, è il nuovo dinamismo della società, il cambiamento nella sua configurazione produttiva e di classe, la nuova qualità delle domande sociali, le nuove forme di soggettività, è questo processo sociale tumultuoso che ha spiazzato la politica e ha reso obsolete e incapaci di risposte le strutture istituzionali e amministrative dello Stato.

Dove sta allora la crisi? Nella debolezza dell’esecutivo, nell’invadenza dei poteri parlamentari, nella frammentazione del sistema politico, nel circuito perverso del consociativismo?

Tutta l’analisi politologica oggi corrente, tutti i luoghi comuni della “seconda repubblica” ci portano fuori strada, perché vedono gli effetti esteriori e non la causa, e perché infine rispondono alle nuove domande della società con la più tradizionale delle soluzioni: il rafforzamento dei poteri del principe.

Il problema da risolvere è la costruzione di istituzioni che siano adeguate alla nuova complessità sociale, e capaci perciò di interagire con i processi reali. E i processi reali ci parlano di mondializzazione e di territorializzazione, di competitività e di crisi della coesione sociale, di burocratizzazione dello Stato e di nuove relazioni tra pubblico e privato, di nuova esclusione sociale e di precarizzazione dei diritti.

Tutta la vecchia impalcatura dello Stato va ripensata di fronte alle nuove sfide, e in questo senso davvero c’è un’emergenza istituzionale.

È di questo che discuterà la commissione bicamerale, o invece, come sembra, il cuore della discussione sarà intorno alla bozza Fisichella?

Questo è il dubbio: che i partiti parlino d’altro, delle regole astratte della politica, dei modelli idealizzati del bipolarismo e della democrazia maggioritaria, senza un rapporto visibile con i mutamenti reali che stanno cambiando la nostra vita.

Si pensa ancora alla politica nei termini classici dell’antica polis, come un processo lineare e trasparente che si concentra tutto in una sede esclusiva, e si immagina una fantomatica “democrazia dei cittadini”, come se ancora ci trovassimo in una piazza dell’antica Grecia.

Ma la polis è morta. I luoghi della decisione politica nella società moderna si sono moltiplicati e aggrovigliati, e il processo democratico non può essere rattrappito in un meccanismo di tipo plebiscitario che sarebbe, nelle attuali condizioni, un inganno e una mistificazione.

E allora, nel momento in cui parte la Commissione bicamerale, occorre anzitutto discutere di quale debba essere l’agenda dei problemi da affrontare, di quali sono oggi, nell’epoca della mondializzazione, i contenuti concreti che danno senso alla politica e al processo democratico.

Proviamo a formulare i possibili capitoli di questa agenda: regolazione dei poteri sovranazionali, costruzione delle istituzioni politiche della nuova Europa, autogoverno dei sistemi territoriali, federalismo, riforma dell’amministrazione, politiche di coesione sociale, diritti di cittadinanza, nuovo equilibrio tra sfera pubblica e sfera privata, forme di concertazione e regolazione democratica della rappresentanza.

L’insieme di questi problemi richiede una strategia politica, e non solo decisioni di carattere costituzionale. Ciò che è essenziale è avere chiaro il quadro d’insieme, così da affrontare i nodi reali, le cause profonde della crisi.

Sul piano costituzionale, la priorità è il passaggio dall’attuale Stato centralizzato e burocratico ad un nuovo modello che valorizzi le autonomie e le risorse locali. È il tema del federalismo, il quale ha valore solo in quanto occasione e strumento per una generale azione riformatrice delle strutture amministrative dello Stato. Se infatti ci limitiamo ad un trasferimento dal centro alla periferia senza modificare dall’interno i meccanismi dell’amministrazione, rischiamo di produrre una proliferazione dell’inefficienza.

Il federalismo quindi non è in sé la soluzione, ma è il terreno su cui costruire una nuova progettualità istituzionale e riannodare il rapporto di comunicazione che si è lacerato tra istituzioni e società, rispondendo alle domande concrete che si presentano nei diversi contesti territoriali.

Una strategia solo istituzionale è monca e inefficace, se non si attivano contestualmente processi di integrazione e di coesione sociale.

Per questo è essenziale che nel processo costituente che si sta avviando si faccia sentire la voce delle forze sociali organizzate, in un rapporto di dialogo e anche, se è necessario, di conflitto con il sistema politico, per porre tutta la discussione istituzionale su una base di concretezza e di aderenza alla realtà.

Noi rischiamo di avere, alla fine, un sistema democratico più rinsecchito, più autoritario e altrettanto inefficiente, e la società italiana si troverebbe frenata e inceppata nel suo processo di sviluppo e di modernizzazione.

Se non si rompe il modello statale centralizzato, il conflitto con la dinamica reale della società può divenire esplosivo, e a quel punto il tema della secessione può divenire una minaccia reale.

Di tutto ciò non sembra esserci sufficiente consapevolezza nel ceto politico, che sembra cullarsi nell’illusione velleitaria di un rilancio del dominio politico sulla società, di una restaurazione del primato della politica, oggi più che mai fondato sulla sabbia.



Numero progressivo: C61
Busta: 3
Estremi cronologici: [1996]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CRS -