PREFAZIONE A “CONTRATTARE LA QUALITÀ DELLA VITA”

Presentazione di Riccardo Terzi, segretario nazionale SPI CGIL, al volume “Contrattare la qualità della vita. I territori, i soggetti, le politiche” in cui vengono presentate le ricerche condotte dall’IRES CGIL.

Tra lo SPI e l’IRES CGIL (oggi “Associazione Bruno Trentin”) c’è una lunga e fattiva esperienza di collaborazione, e questo volume, che raccoglie le ricerche degli ultimi tre anni, è una testimonianza concreta di tutto questo intenso lavoro.

Con questa introduzione, non mi propongo di commentare i risultati delle ricerche, ma vorrei chiarire da quali premesse generali siamo partiti e in quale orizzonte politico e culturale si è svolta la nostra attività, quale ne è il filo conduttore, quale è il nesso unitario che tiene insieme le singole ricerche. Il criterio fondamentale è quello di offrire un materiale, di conoscenza e di analisi della realtà, che possa servire da supporto all’azione contrattuale.

La contrattazione è la ragion d’essere del sindacato, e per lo SPI, per questo sindacato atipico che organizza le persone nella stagione del loro invecchiamento, quale che sia stata la loro precedente esperienza lavorativa, è una esigenza essenziale quella di costituirsi e organizzarsi come “soggetto contrattuale”, contro i tentativi ricorrenti di svalorizzazione del suo ruolo, rifiutando di essere solo una struttura di servizio, o una associazione di reduci, testimoni di un passato più o meno glorioso, ma non più legittimati ad agire, a pieno titolo, come protagonisti dell’azione sindacale.

Il sindacato dei pensionati nasce da questa sfida, dall’intuizione, tutt’altro che scontata, che anche il passaggio dal lavoro alla pensione abbia bisogno di essere rappresentato e organizzato sindacalmente. Come è noto, in quasi tutti i grandi paesi europei si è scelto un altro modello, e i pensionati restano legati al loro sindacato di categoria, come pura forza di complemento, senza un ruolo, riconosciuti solo per quello che sono stati nel passato e non per il loro presente.

O, in alternativa, si costituiscono delle associazioni non sindacali, che svolgono funzioni importanti di socializzazione, di assistenza, di organizzazione degli spazi culturali o ricreativi, restando comunque dentro un orizzonte limitato, perché non c’è la costruzione di un’autonoma rappresentanza sociale.

La nostra forza e la nostra originalità stanno proprio nel fatto di avere costruito un soggetto contrattuale, che su tutti i temi della condizione delle persone anziane organizza, ai diversi livelli istituzionali, una pratica negoziale, che in questi anni ha conosciuto un notevole sviluppo, pur dentro un quadro di crescente fragilità e difficoltà delle istituzioni locali. Quindi, il nostro lavoro di ricerca non è affatto un esercizio astratto, non ha un’impronta solo teorica o accademica, ma è pensato e costruito in vista della concreta iniziativa sindacale.

Ma è possibile sindacalizzare l’invecchiamento, c’è uno spazio effettivo per una azione contrattuale su questo terreno? Una prima obiezione, a cui occorre rispondere, consiste in questo interrogativo: non si rischia cosi, con questo allargamento dello spazio contrattuale, di mettere in ombra la centralità del lavoro, di perdere di vista quello che deve continuare ad essere il cuore strategico dell’azione del sindacato? Non si determina cosi, nei fatti, uno stravolgimento della natura del sindacato?

In realtà, è la stessa rappresentanza del lavoro che spinge ad occupare uno spazio più largo, a cogliere il lavoro nella pluralità delle sue connessioni con il territorio, con il sistema sociale, con l’architettura delle istituzioni, perché solo cosi, con questo sguardo di insieme, possiamo affrontare in tutta la loro portata i meccanismi attuali dello sfruttamento e dell’alienazione, che non sono confinati nel perimetro delle singole unità produttive, ma danno luogo ad una più complessa ed invasiva struttura di dominio. Il sindacato diviene corporativo e subalterno se si chiude nell’aziendalismo, e la sua vocazione generale, confederale, si realizza solo se sa mettere in campo un’azione allargata, a più dimensioni, se sa intervenire su tutti i nodi critici della struttura sociale e sulla concreta morfologia delle strutture di potere.

In questo senso, dunque, il presidio democratico del territorio che viene svolto dal sindacato dei pensionati non è affatto una deviazione, ma si incrocia strettamente con le più profonde esigenze strategiche del sindacalismo confederale.

Il territorio è il luogo della possibile ricomposizione unitaria del mondo del lavoro. E la sfida, oggi davvero cruciale, è quella che oppone alla frantumazione corporativa del tessuto sociale, alla sua feudalizzazione secondo una logica di casta, la riaffermazione del principio di eguaglianza e dell’universalismo dei diritti, con una interpretazione rigorosa del nostro dettato costituzionale. Ed è su questa base che lavoratori e pensionati, giovani e anziani, partecipano ad una comune battaglia democratica. Resta pur vero che il sindacato rappresenta sempre, comunque, una posizione di parte.

Ma tutto il cammino storico del movimento operaio è quello di una parte che si misura con il tutto, che a partire da se stessa cerca di costruire un progetto generale, operando di volta in volta un processo di mediazione e di sintesi. E questo vale anche per quella parzialità che è rappresentata dal mondo delle persone anziane, non solo perché si tratta di un mondo in fortissima espansione, ma perché, più in profondità, la condizione sociale in cui si svolge il processo dell’invecchiamento è un decisivo metro di misura della complessiva qualità della vita e del livello di civiltà di ogni singola comunità nazionale, per cui mettersi dal punto di vista degli anziani vuoi dire avere uno sguardo sull’insieme delle nostre relazioni sociali.

Non è affatto arbitraria l’idea che questa parzialità abbia in sé una valenza generale. Quella fase della vita che chiamiamo invecchiamento (e non mi sembra utile addolcire la realtà con qualche eufemismo) è per tutti un passaggio critico, nel quale dobbiamo rinnovare e riconquistare la nostra identità, e riprogettare, su nuove basi, il nostro percorso di vita. È in questo difficile passaggio che possono scattare le trappole dell’invecchiamento: la solitudine, la passività, la marginalità, finendo così su un binario morto, dove c’è spazio solo per il rimpianto e non più per una attiva progettualità, dove quindi restiamo schiacciati sotto il peso della memoria di ciò che è stato e che non può ritornare. In questo senso, l’invecchiamento rappresenta un grande tema politico, perché ciò che è in gioco è l’idea stessa di cittadinanza. Si tratta cioè di decidere se le persone anziane sono considerate solo per le loro fragilità e per i loro bisogni di assistenza, come destinatari di qualche misura caritatevole, o se all’inverso sono, a tutti gli effetti, i titolari della cittadinanza democratica, con pari diritti e pari doveri.

E allora si apre tutto uno straordinario campo di ricerca: sugli strumenti della partecipazione democratica, sulle forme e sugli spazi della socializzazione, sulla costruzione di nuovi percorsi di impegno civile, anche dopo il pensionamento, sulla realizzazione di programmi di educazione permanente, sullo scambio intergenerazionale, in sostanza sulla necessità di una nuova progettazione sociale, nella quale la persona viene riconosciuta e valorizzata in tutte le diverse fasi della vita.

È in questo orizzonte che si colloca la nostra azione contrattuale, la quale ha come suo oggetto non solo gli aspetti strettamente economici, ma la qualità della vita, nell’intreccio delle sue diverse manifestazioni. È una sfida assai complessa e impegnativa, e in questa sfida si mette alla prova la nostra autonomia e il nostro rapporto con la politica. Come dovrebbe essere chiaro dalle cose fin qui dette, la nostra idea di “cittadinanza attiva” si lega strettamente ad un modello politico che sia fondato sulla partecipazione consapevole, sulla costruzione quindi di uno spazio democratico aperto, dove si possa esprimere in tutta la sua pienezza il pluralismo dei progetti politici e degli interessi sociali, delle culture e delle passioni. Ora, è proprio questo spazio plurale che viene messo in discussione, e tutta la politica corrente sta assumendo una nuova forma, una nuova fisionomia, avendo come sua unica bussola orientativa quella della governabilità, a cui vanno sacrificate le ragioni del pluralismo e della rappresentanza.

Conta la rapidità della decisione, e non la discussione intorno alle possibili alternative. Alla politica come pratica democratica si sostituisce la governance, la manutenzione tecnica del sistema, e ciò comporta un fortissimo spostamento di tutti gli equilibri istituzionali, nel senso della semplificazione e della concentrazione del potere. In questa prospettiva, anche le rappresentanze sociali diventano del tutto irrilevanti, perché il potere si vuole liberare del lavoro faticoso e tortuoso della mediazione tra i diversi punti di vista, e in effetti, come è noto, si è da tempo chiusa la stagione dei patti di concertazione con le parti sociali, e si teorizza esattamente il contrario, che la concertazione è la palla al piede di cui il sistema deve liberarsi, per riprendere il suo slancio e per realizzare un programma audace di innovazione e di riforme.

Non può quindi sfuggire il fatto che noi entriamo, necessariamente, in una stagione di fortissima tensione tra il sociale e il politico, tra il modello partecipativo e il modello decisionista. E la conseguenza logica di questo conflitto è l’adozione, da parte del sindacato, di un punto di vista radicalmente autonomo, proprio in quanto indica una strada del tutto alternativa rispetto a quella che appare oggi dominante. Ma in questa sfida non siamo destinati all’isolamento e all’impotenza, perché l’idea di una democrazia plurale, policentrica, chiama in causa molti altri soggetti: tutti i corpi sociali intermedi e le stesse istituzioni locali, e qui c’è tutta una lunga e ancora viva tradizione che può essere messa in movimento, e che può fare da contrappeso alle spinte centralizzatrici.

Ancora una volta, è il territorio il luogo in cui si giocano i rapporti di forza, le alleanze, in cui si definiscono i futuri equilibri. Nel territorio si possono costruire processi concertativi tra i diversi soggetti, sociali e istituzionali, per dare forma a sistemi territoriali coesi e partecipati, finalizzati a conseguire, insieme, obiettivi di efficienza e di inclusione, di sviluppo e di equità. E su questo terreno il sindacato ha ancora molte carte da giocare, e le deve giocare senza timidezze e senza false prudenze, alzando il tiro della propria autonoma progettazione, sociale e istituzionale.

Siamo chiamati ad una sfida, e la dobbiamo reggere con una strategia allargata di relazioni e di alleanze, senza chiuderci in una posizione solo difensiva. È questo il senso, a me pare, del nostro lavoro di negoziazione sociale, come SPI e come CGIL, un lavoro che deve aprirsi al più largo confronto democratico, e che ha bisogno della partecipazione attiva dei lavoratori e dei cittadini, sperimentando tutte le possibili forme di un loro coinvolgimento nei processi decisionali. I materiali che qui vengono raccolti sono uno strumento per questo lavoro, per questo rilancio della nostra iniziativa, per dare forza e concretezza alla nostra sfida democratica.



Numero progressivo: E45
Busta: 5
Estremi cronologici: 2014, aprile
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - SPI -
Note: Bozza
Pubblicazione: Francesca Carrera, Beppe De Sario (a cura di), “Contrattare la qualità della vita. I territori, i soggetti, le politiche”, LiberEtà, Roma, 2014, pp. 7-12