[RICERCA AASTER – GLI ANZIANI E LA POLITICA]

Presentazione di Riccardo Terzi

Presentiamo oggi la ricerca realizzata dal consorzio AAster, diretto da Aldo Bonomi, con cui abbiamo già avuto nel passato una collaborazione intensa, soprattutto in Lombardia, a partire dal primo tentativo di inquadrare e di analizzare il fenomeno nascente della Lega. C’è quindi, con Bonomi e con il suo gruppo di ricercatori, una antica consuetudine, una collaborazione che ci aiuta a capire come stanno cambiando le cose nella società italiana e quali sono le nuove sfide che il sindacato deve affrontare.

Questa ultima ricerca affronta il tema del rapporto tra anziani e politica. Non mi risulta che ci siano state ricerche analoghe nel passato, il che è abbastanza curioso, come se gli anziani, in una società che invecchia, non rappresentassero un problema politico di primaria importanza, proprio perché occupa uno spazio sociale in continua espansione. La ricerca ha un taglio particolare, perché è condotta dall’interno dello SPI: sono i nostri iscritti, nelle sei regioni coinvolte, che rispondono ad un questionario, ed è quindi evidente che c’è una curvatura parziale, che non rispecchia esattamente l’intero universo delle persone anziane. Ma, pur con questa parzialità, la ricerca ci mette a disposizione una quantità di dati significativi e getta una luce su tutto il nodo politico dell’invecchiamento, su questa fase della vita che rappresenta, in ogni caso, un passaggio critico, un crocevia esistenziale che può condurre ad esiti diversi. Può esserci un esito di passività, di isolamento, di solitudine, o all’inverso si può costruire un nuovo progetto di vita, e ciò dipende dal contesto sociale in cui la persona è inserita, dal capitale complessivo delle sue relazioni e delle sue conoscenze, dal suo grado di autonomia.

Questo processo dell’invecchiamento si presenta oggi, nelle nostre società contemporanee, molto più complicato e problematico: per il carattere fortemente competitivo del modello sociale, che tende ad emarginare tutti coloro che sono sconfitti nella partita della competizione, per l’estrema velocità del cambiamento, con il conseguente spiazzamento di chi non riesce a tenere il ritmo dell’innovazione, e per il venir meno delle tradizionali reti protettive della famiglia e della comunità locale, per cui sempre più l’anziano si trova ad affrontare da solo i problemi della vita. Per questo, noi crediamo che la funzione di rappresentanza del Sindacato dei pensionati richieda un approccio globale, prendendo in considerazione tutti gli aspetti della condizione sociale ed esistenziale. Non si tratta solo di esercitare un ruolo di tutela economica, ma di far uscire le persone anziane dall’isolamento passivo e di inserirle in una rete sociale di relazioni, di offrire loro un prospettiva, un futuro.

Ed è appunto questo il grande nodo politico di una società che invecchia: come dare un orizzonte di senso alla sempre più lunga stagione dell’invecchiamento, come scongiurare un processo di emarginazione. Ma questo richiede un intervento profondo sul modello sociale, sui suoi meccanismi, perché se la società è guidata solo da una logica competitiva essa finisce per produrre un immenso serbatoio di vite sprecate, di risorse umane non più utilizzabili nel ciclo produttivo e non più riconosciute nel loro valore sociale. Dalla ricerca esce, in questo senso, una chiara valutazione critica del tipo di approccio con cui la politica ha affrontato tutto questo problema. È prevalsa infatti una impostazione di tipo assistenziale, che considera gli anziani solo per la loro fragilità, per il loro essere soggetti deboli e bisognosi di cura, soggetti passivi dunque, non riconosciuti come possibili protagonisti della vita sociale.

Credo che il tema dell’invecchiamento vada visto nel quadro dei grandi cambiamenti che hanno investito la struttura sociale in Italia e negli atri Paesi Europei. Accanto al nuovo incremento demografico, con l’allungamento delle aspettative di vita, c’è la grande ondata migratoria, che cambia il volto delle nostre città, che apre nuovi complessi problemi di convivenza e di confronto tra diverse culture, e ci sono le trasformazioni del lavoro, con il passaggio sempre più sistematico dal lavoro stabile al lavoro flessibile e precario. Si tratta di grandi processi oggettivi, strutturali, di lungo periodo, che richiedono alla politica una più alta capacità di governo, e su tutti questi nuovi terreni ciò che è in gioco è l’idea di cittadinanza, l’universalità dei diritti. Senza un progetto politico che sappia fronteggiare queste emergenze, la società viene spinta verso un esito di corporativizzazione e di diseguaglianza, dove il diritto dipende dalla forza contrattuale, dove al diritto si sostituisce il privilegio di casta, di status, con un arretramento complessivo rispetto ai nostri valori costituzionali. Siamo dunque in presenza di fortissime spinte oggettive e materiali che vanno nel senso di una rottura della coesione sociale e che producono crescenti fenomeni di esclusione e di marginalità. Ed è in rapporto a questo difficile compito di ricostruzione del tessuto sociale che la politica attuale appare del tutto inadeguata, incapace di offrire un progetto, una prospettiva.

Si può dire che si è prodotto un vuoto, un vuoto sia di progettazione che di partecipazione. Questo vuoto non è solo un indice di debolezza, ma è anche, per molti aspetti, una scelta, la volontà cioè di mettersi alle spalle le vecchie rappresentazioni ideologiche, le identità tradizionali, nell’illusione di conquistare una maggiore concretezza, una maggiore aderenza alla realtà. È il mito della fine delle ideologie: la politica si vuole liberare del suo passato, ma con ciò si riduce ad essere solo una pratica di adattamento passivo, e il potere reale si sposta altrove, fuori da ogni controllo democratico. Di fronte ad una politica così appiattita sull’esistente, confinata entro i limiti di una gestione neutrale, senza progetto e senza identità, prendono naturalmente forza tutte le spinte dell’anti-politica, e la società civile cerca di far valere il suo primato, in opposizione alla politica.

La nostra ricerca mette bene in evidenza questo rapporto conflittuale con la politica, il quale può assumere diverse forme: di estraneità e di passività, oppure di risentimento e di protesta. Nel primo caso, c’è come un’uscita dallo spazio pubblico, un ritirarsi nella dimensione privata, nel secondo c’è invece l’esercizio di un conflitto che sta all’interno della dimensione politica. È assolutamente necessario tenere ben distinti questi due fenomeni e non accomunarli nella categoria dell’impolitico. Nel caso degli iscritti allo SPI, è significativo che i sentimenti prevalenti non siamo quelli dell’indifferenza e della estraneità, ma quelli della rabbia e della protesta. Si tratta dunque di un sentimento attivo, nel quale si esprime una passione politica frustrata, di persone che hanno interesse per la politica, ma non trovano più le sedi e gli strumenti per una partecipazione attiva. Non è l’anti-politica, ma è la domanda di una nuova politica, la volontà di ricostruire un tessuto di partecipazione.

Da questo punto di vista, il Sindacato resta una grande risorsa disponibile per un nuovo processo democratico. Certo, dobbiamo anche vedere le contraddizioni e le difficoltà che attraversano l’azione sindacale, e dobbiamo capire che il patrimonio di fiducia di cui ancora gode il sindacalismo confederale ha un carattere condizionato, relativo, e dipende dall’azione concreta che il sindacato riuscirà a svolgere. Anche il sindacato, insomma, è in una transizione difficile, e non può pensare di vivere di rendita. Ma, in ogni caso, c’è qui una risorsa di consenso che può essere messa a frutto, al servizio di una nuova politica democratica.

La crisi della politica ci rinvia ai grandi mutamenti che sono intervenuti su scala mondiale, i quali hanno modificato in profondità le dimensioni sia dello spazio che del tempo, hanno dato quindi luogo a nuove inedite forme della convivenza umana. Anche le linee classiche del conflitto sociale si vengono spostando. Bonomi cerca di inquadrare questa nuova realtà utilizzando come chiave interpretativa il conflitto fra flussi e luoghi, tra la forza dirompente dei flussi globali che sconvolgono le comunità tradizionali e i movimenti di resistenza da essi indotti, i tentativi di mettere al riparo la comunità, elaborando in questo senso tutta una nuova ideologia del localismo, del ritorno alle radici. Occorre una nuova lettura della realtà, una ridefinizione delle mappe dei conflitti, una ricognizione attenta dei nuovi rapporti di potere. Occorre, in sostanza, una nuova cultura politica, che sia capace di interpretare il mondo di oggi e di dare un senso alla nostra azione quotidiana. Se facciamo seriamente questa analisi della realtà, vediamo come la società non è una moltitudine informe di individui atomizzati, ma sono attive energie e risorse potenziali, in tutto il tessuto della rappresentanza e dell’associazionismo, che però fanno fatica ad assumere peso politico, a divenire una forza di cambiamento, perché tra il sociale e il politico si è prodotta una distanza e i due piani non riescono ad incrociarsi. Politica e società civile vanno pensate insieme, nel loro rapporto: o camminano insieme, o regrediscono insieme. Non funziona né l’idea di una società civile che si sostituisce alla politica, né l’idea di un ritorno al primato della politica, come verticalizzazione del potere e ripristino di una struttura gerarchica di comando. Se il rapporto tra politica e società si inceppa, abbiamo allora l’autoreferenzialità del ceto politico e la corporativizzazione del corpo sociale, ed è esattamente questo ciò che si è verificato negli ultimi anni. Anche il sindacato rischia di essere chiuso dentro questa logica e di essere spinto verso uno sbocco corporativo. Se la democrazia non funziona, se lo spazio pubblico si chiude, ciascuno finisce per occuparsi solo del suo interesse particolare, e l’esito è quello di una generale frammentazione della società È questo il rischio che dobbiamo saper scongiurare. Per questo, non pensiamo affatto ad un sindacato che si sostituisce alla politica, che fa supplenza, ma chiediamo alla politica di svolgere pienamente il suo ruolo, la sua funzione regolatrice, di organizzare lo spazio pubblico, mettendo tutti nella condizione di partecipare alle decisioni collettive.

Infine, tutta questa partita per la rivitalizzazione della politica e della democrazia, per una politica che non sia intrattenimento mediatico ma governo dei processi reali, ha nel territorio il suo luogo privilegiato. È il territorio che è attraversato dalle nuove contraddizioni della società globalizzata, e che deve riorganizzarsi, dando luogo a nuovi equilibri sociali. Ma il territorio non è in se stesso la risposta, ma è solo il luogo delle nuove domande. Occorre respingere la mitologia di una identità territoriale chiusa e autosufficiente, che conduce ad una logica di rinserramento nelle antiche fortezze assediate. Deve essere quindi chiara la differenza con la cultura leghista, e il territorio, quindi, non è la parola magica che risolve tutti i problemi ma è il campo dove si misurano i conflitti, le tensioni, le contraddizioni, e dove si deve esercitare la funzione di governo.

Alla Conferenza di organizzazione, la CGIL ha indicato con sufficiente chiarezza questa scelta della centralità strategica del territorio, l’esigenza cioè di un generale riposizionamento politico e organizzativo del sindacato, a partire dalla concretezza dei diversi contesti territoriali. Ma occorre, da questa scelta di principio, tirare tutte le conseguenze organizzative, rivendicative, contrattuali. Anche la nostra ricerca ci mette a disposizione un ricco materiale conoscitivo, su cui lavorare e riflettere, perché prende in considerazione sei diverse realtà regionali, e in ciascuna di queste realtà ci sono le articolazioni interne, le differenze tra grandi città e piccoli centri, ci sono le contraddizioni di una società che fatica a produrre coesione, socialità, che non riesce a funzionare come un sistema territoriale integrato. Agire nel territorio significa appunto aprire una nuova stagione di progettazione sociale, mettendo in comunicazione i diversi soggetti e i diversi attori istituzionali in una nuova prospettiva di concertazione e di coesione sociale. È questo un terreno sul quale lo SPI sta già lavorando da tempo, e nella stessa ricerca abbiamo attivato una linea di confronto e di coinvolgimento con tutti i diversi protagonisti delle singole realtà locali, sociali e istituzionali.

Proprio perché l’invecchiamento è un grande nodo politico che va affrontato in tutta la sua complessità, esso richiede che si operi sul contesto sociale, per aprire alle persone anziane una prospettiva di piena cittadinanza, di partecipazione attiva alla vita democratica. L’invecchiamento non è un capitolo delle politiche assistenziali, ma della democrazia costituzionale del nostro Paese. In questo senso, la ricerca va intesa come un utile strumento di lavoro, che ci consente di arricchire la nostra impostazione, la nostra piattaforma. È uno strumento che dobbiamo saper usare, sia attivando una riflessione interna, sia sviluppando il più largo confronto politico, per riportare tutto il tema della condizione sociale delle persone anziane al centro dell’agenda politica del Paese.



Numero progressivo: D34
Busta: 4
Estremi cronologici: [2008?]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - SPI -
Note: Si è scelto di collocarlo tra gli Scritti Sindacali per il contesto in cui è inserito, ma il contenuto del discorso è prevalentemente politico