[REGIONALIZZAZIONE NELLE POLITICHE DEL LAVORO]

Congresso CGIL 18 aprile 1994

Relazione di Riccardo Terzi – Segretario Generale CGIL Lombardia

Io riprendo alcune considerazioni iniziali della relazione di Casadio che giustamente inquadrava la nostra discussione di oggi, come è indispensabile fare, dentro una valutazione di quadro generale. Non sto certamente a soffermarmi sulle valutazioni politiche dopo il risultato elettorale, avremo modo di tornarci, di approfondire questi elementi. Mi pare scontato, almeno in un’assemblea come questa, un giudizio di allarme per i pericoli che sono in atto. Quello che a me interessa dire è che in una situazione segnata da questi pericoli, è molto importante avere da parte nostra una capacità di iniziativa, un ruolo politico attivo, che si caratterizzi molto come capacità di innovazione. Io in questo sono totalmente d’accordo con le considerazioni che faceva stamane il senatore De Benedetti. C’è un rischio, a me pare già visibile da una serie di segnali, a giudicare dalle cronache di questi giorni, il rischio che prevalga nelle forze della sinistra una posizione di tipo difensivo, e questo mi pare il modo peggiore di difendersi. Una posizione difensiva finisce per apparire e per essere anche nei fatti, una posizione conservatrice, mentre al contrario occorre una capacità di proposta e di innovazione.

È un tema sicuramente da riprendere meglio anche nel dibattito interno della CGIL. Una posizione difensiva e conservatrice ci porterebbe a svolgere soltanto una funzione di opposizione sociale mentre il sindacato in quanto soggetto autonomo ha anche in una situazione così difficile come quella attuale, un suo ruolo proprio. Resta un attore sociale che ha titoli per stare in campo, in proporzione alla sua capacità di proposta, di innovazione. In una fase di grande cambiamento come quella che stiamo attraversando vince chi ha l’iniziativa e vince chi è in grado di governare il cambiamento.

Anche sotto questo profilo andrebbe valutato il risultato elettorale.

Si dice spesso con un’enfasi retorica che comincia a diventare fastidiosa, che siamo al passaggio dalla 1a alla 2a Repubblica. In realtà, questo passaggio non è ancora avvenuto, perché non basta la modifica della legge elettorale, l’introduzione di un sistema maggioritario in luogo del sistema proporzionale, per dire che c’è una nuova forma di Stato, una nuova forma dell’ordinamento repubblicano.

Abbiamo fatto soltanto un primo passo, necessario anche se fatto male, quello della legge elettorale. Resta da esaminare nel suo insieme qual è l’edificio istituzionale che vogliamo costruire nei prossimi anni, e questo è tutto da fare.

Abbiamo del materiale preparatorio, i materiali della bicamerale, che sono per molti aspetti dei materiali utili, abbiamo un ampio dibattito politico, culturale e scientifico in materia, ma, appunto, tutto è ancora da fare e tutto da decidere. Credo che questo sia un problema importante, per le forze politiche ovviamente, ma anche per il sindacato se non vogliamo stare alla finestra su temi così decisivi.

Qui c’è il rischio, come dicevo prima, di una reazione conservatrice. Io credo che nella fase che abbiamo davanti si pongono dei problemi importanti, rilevanti, di modifica istituzionale, in alcuni casi di revisione costituzionale. Non si tratta di riscrivere la Costituzione e vanno pienamente salvaguardati i principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale, ma vengono a maturazione alcuni nodi veri, per cui non si tratta soltanto di normale manutenzione, ma si tratta di decidere che cosa facciamo su alcune questioni di fondo. E sicuramente una delle questioni di fondo dentro la quale sta anche la discussione di oggi, è il tema del rapporto tra potere centrale e poteri decentrati, il tema del federalismo, che io credo vada apertamente assunto. Condivido il modo in cui poneva il problema la relazione di Casadio. Si tratta anzitutto di concordare sulla definizione. Il cambiamento che vogliamo realizzare è un cambiamento non solo di quantità (decentrare più competenze dallo stato centrale alle regioni), ma di qualità, in quanto i poteri delle regioni e degli enti locali non sono poteri delegati, ma poteri primari, e le competenze sono di norma competenze affidate alle regioni e agli enti locali, salvo per quelle materie indivisibili che non possono che essere affidate a un potere centrale di carattere nazionale.

In questo senso mi pare legittimo usare il termine federalismo, e comunque, c’è sicuramente bisogno di un approfondimento per non ridurre il tutto a una disputa nominalistica. Il federalismo non è una parola magica, simbolica, ma un processo reale, sostanziale, di nuova dislocazione dei poteri, di nuova configurazione dell’ordinamento costituzionale dello Stato. Tutto questo va affrontato concretamente nei diversi campi. Se condividiamo questo approccio, e naturalmente prima dobbiamo discutere sull’approccio medesimo, allora vanno affrontate nel concreto numerose questioni. Come si riorganizzano i poteri nel campo della politica economica, delle politiche industriali, del sistema fiscale, sono tutte questioni da affrontare con grande concretezza, con grande approfondimento, e qui abbiamo fatto una parte di questo discorso su un tema rilevante come quello che riguarda le politiche del lavoro e la riforma del Ministero del Lavoro. Voglio aggiungere che se il federalismo lo intendiamo così, come un rovesciamento di impostazione, come il tentativo di costruire un ordinamento politico che parte dal basso e che favorisce nella misura più larga possibile forme di auto-governo, forme nuove di partecipazione, di controllo sull’azione dei poteri pubblici, allora risulta chiara la differenza sostanziale tra una posizione di sinistra e una posizione come quella del prof. Miglio, perché il modello che propone Miglio è un modello che ripropone esattamente il centralismo burocratico dello Stato, su tre macro-regioni anziché su un unico Stato nazionale, ma la qualità non cambia.

Noi dobbiamo quindi ragionare molto su quello che può essere un modo diverso di funzionamento dei poteri regionali, anche rispetto a quella che è la realtà attuale delle regioni, che non è una realtà entusiasmante. Poi possiamo discutere se le regioni debbono restare le venti attuali, o se ci possono essere degli accorpamenti, ma in ogni caso il modello di funzionamento dei poteri regionali non può essere la riproduzione del modello burocratico statale.

C’è l’esigenza di favorite le forme di autogoverno locale, quindi non soltanto le regioni, ma i comuni, le province, intendendo la regione come uno strumento di regolazione di un sistema complesso di autonomie, e in questo quadro è importante anche tutto il tema del ruolo delle forze sociali, e degli strumenti di partecipazione. Va dunque costruito un federalismo sociale, per non ridurre tutto a un’operazione puramente politico-istituzionale, vanno ricostruite le forme della rappresentanza, che oggi si presentano deboli e impoverite nelle singole realtà locali e territoriali.

Una obiezione al tema del federalismo, che viene spesso avanzata, riguarda il divario tra Nord e Sud. Io credo che noi possiamo fare una scommessa, che è tutta da verificare naturalmente, che ancora per le regioni del Sud lo sviluppo dell’auto-governo locale sia una delle condizioni di riscatto.

Quanto più il Sud resta legato a questo sistema di dipendenza clientelare dai notabili nazionali non avrà futuro. Uno sviluppo di autonomia reale delle regioni meridionali, dentro un quadro di solidarietà, può aprire delle prospettive nuove. Su questo ci siamo trovati d’accordo anche con i compagni del regionale della Campania.

Io non capisco bene un’altra obiezione, che qui qualche compagno ha sollevato, per cui ci sarebbe qualche rischio di contraddizione tra la scelta federalista e l’affermazione dei diritti universali del cittadino e del lavoratore. Il rischio è che questi diritti non siano più uguali per tutti. Io partirei dalla constatazione oggettiva che i diritti già oggi non sono uguali per tutti. Mi pare del tutto evidente che un giovane che si trova in Calabria o in Campania non ha gli stessi diritti di un giovane della provincia di Bolzano o della Lombardia, quindi siamo già in presenza di una divaricazione, di una discriminazione sul terreno dei diritti fondamentali.

Allora il problema è capire qual è la strumentazione tecnico-politica-giuridica che ci aiuta a superare questo dislivello, perché se ci limitiamo ad un’affermazione puramente retorica di valori di universalità, i quali poi non hanno un riscontro nella realtà, questa affermazione retorica non vale nulla. Io credo che allora la scommessa che si può fare, una scommessa sicuramente difficile, è su una linea di riscatto e di possibile sviluppo anche nelle regioni più svantaggiate, attraverso una pratica di autonomia e dentro un quadro di solidarietà.

Tutto questo mi pare costituire l’impalcatura, la premessa politica che motiva le scelte concrete che ha proposto la relazione per una riforma del Ministero del Lavoro, scegliendo nettamente per una regionalizzazione delle competenze, utilizzando e apprezzando l’ipotesi contenuta nella relazione di Treu. Su questa linea abbiamo dei pronunciamenti di molte giunte regionali, e abbiamo nelle regioni un ruolo attivo, come è avvenuto con la promozione dei referendum per il superamento di alcuni ministeri e per il trasferimento delle relative competenze alle regioni.

Io credo che in materia di politica del lavoro la scelta di regionalizzazione nasce anche da una considerazione più di fondo, dal fatto che oggi abbiamo bisogno di politiche regionali di sviluppo. Da un lato c’è un processo di integrazione a livello europeo e mondiale, per cui le grandi scelte strategiche si collocano sempre più in una dimensione internazionale, ma dall’altro lato abbiamo bisogno di costruire dei sistemi territoriali che affrontino insieme politiche industriali, politiche infrastrutturali, sistema formativo, servizi, e allora la dimensione regionale, se è la dimensione-chiave per riaprire una fase di sviluppo, altrettanto è la dimensione-chiave indispensabile per regolare le politiche nel campo del mercato del lavoro. E occorre per questo una regia pubblica molto autorevole, una regia, appunto, che non esclude una pluralità di soggetti, di soggetti pubblici e di soggetti privati. In questo credo che abbiano legittimità le cose che diceva stamattina Ichino, se vogliamo appunto non limitarci a una difesa puramente simbolica di un monopolio pubblico che nei fatti è già stato da molti anni travolto. Una regia pubblica molto forte, questa è la condizione indispensabile perché possano essere non negative anche delle esperienze e delle iniziative di carattere privato, una regia pubblica, e una rete di diversi soggetti dentro un sistema forte di regole, dentro una capacità di iniziativa, non solo di controllo, ma di promozione di politiche per lo sviluppo. Per questo credo che le agenzie per l’impiego dovrebbero il più rapidamente possibile passare direttamente alla competenza delle regioni, diventare lo strumento fondamentale con il quale le regioni fanno questa politica.

Infine, voglio sottolineare l’importanza del ruolo delle forze sociali, su cui si è soffermata anche la relazione. Credo ci sia qui un campo di sperimentazione di possibili diversi modelli, e che abbiamo l’interesse a sviluppare il più possibile forme anche nuove e originali, sedi di concertazione, che possono essere di carattere bilaterale o triangolare a seconda delle caratteristiche dei problemi che affrontiamo.

Questo è il modello europeo, ce lo ricordava De Benedetti stamattina, non un modello di liberismo sregolato ma un modello forte di concertazione. Vi sono in questo campo esperienze diverse, tavoli triangolari, ipotesi di consigli regionali per l’economia e il lavoro, altre forme altri modelli di relazione in rapporto alle diverse caratteristiche sociali ed economiche delle diverse realtà territoriali. Credo che sarebbe utile anche su questo ragionare, e rendere chiara una scelta della CGIL per lo sviluppo di queste forme di incontro e di concertazione tra tutti i soggetti dai quali dipende la capacità di realizzare efficaci politiche di sviluppo.


Numero progressivo: A2
Busta: 1
Estremi cronologici: 1994, 18 aprile
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: ?