[RECENSIONE DI SINDACATO, POLITICA, AUTONOMIA]
Francesco Mores, Eugenia Valtulina (a cura di), Sindacato, politica, autonomia. Per Riccardo Terzi, Ediesse, Roma, 2016, pp. 176, euro 12.
Recensione di Federico Creatini
Pubblicato in memoria dell’ex segretario della CGIL lombarda Riccardo Terzi e curato da Francesco Mores ed Eugenia Valtulina, il volume si divide in due parti. La prima, riprendendo i risultati di un importante seminario per i quadri della CGIL bergamasca del 16 marzo 2015, si concentra sulla dimensione storica del ruolo sindacale, discutendo la necessità di nuovi strumenti di “interpretazione davanti alle mutazioni degli scenari politici, economici e sociali” (p. 17); la seconda si impegna invece a filtrare certe tematiche dallo sguardo di Terzi, esplorando le progressive trasformazioni della politica e della democrazia “partendo da lontano, da quel repertorio di possibilità che è il passato”, fino a misurare “la prossimità, e soprattutto la distanza, del presente rispetto a quel passato” (p. 11).
A fare da collante, un concetto centrale nella costruzione dell’edificio repubblicano: quello di rappresentatività. Proprio nella complessa dicotomia tra rappresentanza sindacale e rappresentanza politica questa raccolta di interventi trova il suo principale spazio di riflessione, aprendo a una valutazione diacronica del rapporto tra culture operaie e strumenti di rivendicazionismo nella pratica dell’autonomia.
Da questo punto di vista, notevole interesse assume l’intervento di Adolfo Braga, orientato verso la formulazione di una nuova “unità d’azione” sindacale in grado di sopperire ai mutamenti indotti dalla “grande trasformazione generale”. Il sociologo, ridefinendo il ruolo programmatico della confederazione, evidenzia difatti l’impellenza di individuare interessi prevalenti, “promettendo più diritti”, ma selezionando solo “gli assi rivendicativi che contano” (pp. 26-27): è in questo spostamento dall’“agire per conto di altri” all’“ agire al posto di altri” che egli colloca uno dei problemi principali della dispersione odierna, ovvero l’incapacità di plasmare un “campione rappresentativo in grado di descrivere le caratteristiche di chi si rappresenta” (p. 35).
Il tema dell’inclusività si lega di conseguenza all’accezione di un nuova natura orizzontale del sindacato, in grado di rispondere ai colpi assestati dalla tecnologizzazione del lavoro e dalla finanziarizzazione del mercato ai processi di collettivizzazione.
In tal senso, il dialogo di Braga s’intreccia perfettamente con le prospettive operative ipotizzate da Aldo Bonomi e Marco Revelli: il primo sollecita per il sindacato un “ruolo di rappresentanza degli spazi intermedi”, sottraendo al populismo l’emergere di una “comunità del rancore”; più sfumata la posizione del secondo, che guarda con urgenza al recupero di una dimensione associazionista e orizzontale intenta a trovare risposte nello studio delle origini del movimento. Quella di Revelli, infatti, è una disamina che, pur irrigidita in alcuni concetti cardine della tradizione marxista-leninista novecentesca (vedi “cinghia di trasmissione” e “operaio massa”), tenta anzitutto di smarcare da un’eccessiva impronta rivoluzionaria la sociologia delle classi lavoratrici degli anni “fordisti”, prendendo le mosse da un processo organizzativo e verticistico proprio tanto del tradunionismo inglese (primato del sindacato sul partito), quanto del modello tedesco (primato del partito sul sindacato) prevalso nel passaggio dal pre-fordismo al fordismo.
È in questo quadro che si inserisce l’altra grande domanda del testo, la cui formulazione prendo in prestito da Luigi Bresciani (p. 22): il lavoro può essere visto oggi come il vero confine del sindacato? Una prima risposta, strizzando l’occhio a una dimensione di autonomia, la fornisce lo stesso Bresciani, sottolineando il ruolo “pubblico e politico” con cui già nel 1949 la CGIL aveva redatto il Piano del lavoro. La rimessa in gioco di una “barra operativa di lungo periodo” davanti alla presente congiuntura non si connette difatti solo a un recupero dei principi trentiniani di uguaglianza e democrazia, bensì a una convergenza nell’affermare una progressiva divaricazione tra sindacato e partito. Nel cercare un passaggio verso modalità di rappresentanza adatte a un’economia “più fluida e post-fordista” (p. 74), tuttavia, le letture degli autori conoscono una diversificazione. Braga, pur manifestando perplessità di fronte al ruolo del sindacato a supporto della produzione e della competitività economica (fase di concertazione), non riconosce nello spazio orizzontale una totale sostituzione della rappresentanza rivendicativa alla rappresentanza politica.
In altri termini, un progetto pansindacalista sarebbe a suo avviso difficilmente attuabile in un momento in cui il sindacato sembra più intenzionato a influenzare i partiti che a soppiantarli, guardando in alternativa a una dimensione inclusiva legata alla soggettività politica del sindacato come “capacità di parlare all’insieme del mondo del lavoro unificandone diritti e tutele, ma rispettandone anche le differenze individuali” (p. 74). A spingere oltre questa dimensione di cooperazione prospettica interviene però Revelli, sicuramente concorde nel mettere in evidenza l’odierna assenza di una solida corrispondenza partitica. L’attualizzazione di una nuova coalizione sociale, di una nuova orizzontalità, di nuove forme di mutualismo e rivendicazionismo di stampo prefordista passano nel suo caso dalla rimessa in circolo dei processi di autodeterminazione dei lavoratori nell’odierna fase neoliberista, affiancando a chiare accezioni di pansindacalismo conflittuale la necessità di sopperire al “vuoto di rappresentanza sociale e politica” (p. 101) lasciato dal crollo del sistema di fabbrica e dalla conseguente crisi del welfare.
In tale cornice, nell’impellenza di superare una latenza di analisi empirica, la lettura più interessante si rivela comunque quella di Riccardo Terzi. Isolando “politica” e “democrazia” in qualità di concetti nomadi, egli evidenzia le trasformazioni di un regime istituzionale che, nato “nel conflitto sociale per l’inclusione di ampie frazioni di popolazioni escluse”, finisce “per funzionare come un sistema oligarchico destinato a configurare un’arena, distante dalla cittadinanza democratica, in cui si svolgono meri giochi di potere” (p. 11). Nel rovesciamento della democrazia di massa in una governabilità partitocratica fine a se stessa, nelle mutazioni della struttura politica, il sindacato deve quindi prefigurarsi un processo di rafforzamento della rappresentanza democratica in grado di elaborare e dialogare a ogni livello, superando divergenze storiche e spostando “il baricentro organizzativo dall’alto verso il basso” attraverso un continuo interscambio “tra rappresentante e rappresentato” (p. 170). Solo in questo modo, nella disamina critica della propria storia e nella copertura del vuoto lasciato dal modello politico vigente, il panorama sindacale potrà forse ritrovare una sua attualità terminologica e operativa.
Busta: 9
Estremi cronologici: 2017
Autore: Federico Creatini
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Tipo: Recensioni
Serie: Cultura -
Pubblicazione: “Italia contemporanea”, n. 284