QUALE UNITÀ SINDACALE

“La scissione del 1949”
Le ragioni di ieri e le prospettive di oggi
Atti del Convegno UIL Lombardia del 18 ottobre 1991 a Milano

Intervento di Riccardo Terzi, Segretario Generale CGIL Lombardia.

Da tutte le cose dette, e dette da protagonisti della storia sindacale di questo dopoguerra, mi pare evidente che la storia del sindacalismo italiano è stata molto strettamente intrecciata con la storia politica in un senso forte, non superficiale.

Come diceva prima Corti, non era soltanto una imposizione dall’esterno, ma nella realtà sindacale le motivazioni politiche agivano con grande forza e quindi determinavano i comportamenti dei gruppi dirigenti e di grandi masse. In una tale situazione era oggettivamente molto ristretto e limitato lo spazio per un progetto di autonomia del sindacato. Ora le cose sono sicuramente cambiate anche se io credo che sono cambiate solo parzialmente. Se devo dare un giudizio su quella che è la realtà attuale del movimento sindacale, non mi pare che il progetto di autonomia sia pienamente acquisito, e questo limite vale per tutti, per la CGIL, per la CISL e per la UIL.

Abbiamo ancora dei limiti, non superati, nel processo di consolidamento di una vera e radicale autonomia del movimento sindacale. C’è forse il vantaggio che i partiti sono oggi più in difficoltà di ieri, pesano meno, hanno meno la possibilità di intervenire pesantemente sull’insieme della vita sociale, e c’è la società civile che sta cercando di liberarsi da una cappa partitica troppo opprimente, e quindi anche per il sindacato i vincoli sono minori che nel passato. D’altra parte le difficoltà dell’autonomia sindacale non sono una peculiarità solo italiana ma sono un dato del quadro internazionale.

Oggi la parola d’ordine è che dobbiamo entrare in Europa. Se entriamo in Europa, ci troviamo molte cose buone, ma ci troviamo anche molte cose negative, e tra queste una carenza di autonomia del sindacato. In quasi tutti i paesi europei agisce un collateralismo abbastanza stretto tra il movimento sindacale e il partito politico, il sindacato si configura cioè come una componente di un “polo” politico di sinistra. Quindi quando parliamo del problema dell’autonomia del sindacato, poniamo un problema molto complicato.

D’altra parte, le tendenze che sono in atto o che sono prevedibili nella vicenda politica italiana in quale direzione vanno? Io credo che la tendenza fondamentale sia verso una forma di democrazia dell’alternanza. Il processo sarà probabilmente ancora lungo e contrastato, ma è prevedibile che sia questa la direzione di fondo al movimento sindacale. Si potrebbe determinare una situazione non di vantaggio per il ruolo autonomo del sindacato, ma di ulteriore ostacolo, in quanto si potrebbe determinare una polarizzazione anche del movimento sindacale su due poli, e rendere così più difficile l’unità e più debole l’autonomia del sindacato. Già molti sono intervenuti per scongiurare questo pericolo, da Antoniazzi a Vanni, e io sono pienamente d’accordo con queste preoccupazioni. Guai a noi se dovessimo impostare il discorso sulla prospettiva del sindacato in parallelo con i processi politici, perché questo non ci porta da nessuna parte, ma anzi riproduce, sia pure in forme nuove e diverse le divisioni storiche del movimento sindacale.

Allora il problema è di valutare quali sono le risorse sulle quali noi possiamo fare affidamento per un progetto di unità e di autonomia.

Mi capita da qualche tempo di partecipare a riunioni analoghe a questa e, a giudicare da questi convegni, l’unità sembra essere già fatta, perché non si leva nessuna voce contraria. Io temo che si possa cadere in un errore ottico, vedere le cose più facili di quanto non lo siano, e determinare una grande illusione. Bisogna vedere bene quali sono gli ostacoli da affrontare, i problemi da risolvere, e quali sono le risorse sulle quali cercare di costruire un nuovo progetto di unità e di autonomia.

Non esiste oggi quello che c’era negli anni ‘70, e cioè una spinta dal basso, un forte movimento, una grande pressione unitaria di base. In quella fase agivano anche condizioni oggettive, materiali, agiva una struttura della forza lavoro che aveva il suo epicentro nella grande fabbrica. Oggi tutto questo non c’è. Non sento venire dai lavoratori una forte spinta unitaria, non perché non esista una disponibilità, ma perché si sono accumulati in questi anni, elementi di crisi e di sfiducia, e allora ciò che oggi è decisivo è la volontà politica dei gruppi dirigenti.

Da questo punto divista, le risorse interne che possono essere attivate sono ancora insufficienti, sia perché sul piano dell’autonomia abbiamo tutti dei problemi non ancora completamente risolti, sia perché agisce la forza di inerzia delle organizzazioni, la quale, lasciata a se stessa, tende a conservare la situazione esistente.

La spontaneità delle cose non porta all’unità, ma porta a tenere le cose ferme perché c’è il peso di questa inerzia degli apparati, e c’è una storia che continua pesare, anche se sono venute meno le ragioni storiche e ideologiche della divisione.

Insomma, ciascuno si è formato dentro una certa tradizione, dentro uno spinto di organizzazione, e queste cose non possono sparire da un giorno all’altro, e in questo senso condivido l’approccio prudente di Sandro Antoniazzi. Si tratta allora di vedere realisticamente quali sono i processi che è possibile innescare, senza darci una rappresentazione troppo semplicistica delle cose. E c’è bisogno, credo, di aprire una battaglia politica nei gruppi dirigenti del sindacato, di affermare, con una lotta politica, un progetto lungimirante per l’unità, che guarda alle grandi sfide del nostro tempo.

Il sindacato può pesare, di fronte ai grandi processi mondiali, se supera le sue vecchie divisioni. Vi è una crisi del sistema politico e delle forme tradizionali della rappresentanza democratica, e in questo contesto la costruzione di un sindacato unitario sarebbe un fatto politico rilevante, capace di ricreare elementi di solidarietà e di coesione, e quindi di agire in controtendenza rispetto alle spinte corporative.

Il sindacato non può che partire dal mondo del lavoro, di cui si propone di essere il rappresentante.

Quando si parla di “sindacato dei cittadini”, questa definizione, che può dar luogo a fraintendimenti, ha un senso se si pensa al mondo del lavoro nella sua dimensione più larga, se ci si rivolge cioè al lavoratore non solo nella sua realtà aziendale, ma nella sua collocazione sociale più ampia affrontando quindi tutti i problemi che riguardano il funzionamento complessivo dell’organizzazione sociale. C’è bisogno di aprire una battaglia politica più esplicita dentro le confederazioni, per costruire gruppi dirigenti che assumano con coerenza e con convinzione un nuovo progetto unitario: da questo punto di vista credo che il dibattito congressuale che si è aperto nella CGIL abbia un significato importante, sia perché si è deciso il superamento delle componenti, sia soprattutto perché il tipo di articolazione che si è determinata nel dibattito congressuale della CGIL, con la distinzione tra la maggioranza e minoranza, ha avuto una sua motivazione centrale intorno al tema dell’unità sindacale.

La minoranza non rifiuta in via di principio la prospettiva unitaria, ma pensa però che questo è un problema del dopodomani e vede più i rischi che le potenzialità e l’urgenza del processo unitario.

Noi quindi una battaglia politica esplicita, nella CGIL, per affermare una politica di unità l’abbiamo condotta.

Credo quindi che nuove condizioni positive si possano creare.

In Lombardia, in particolare, si è creato un nuovo clima, e stiamo lavorando con Antoniazzi e con Galbusera, per far maturare il discorso unitario e per definire i passaggi concreti nella prospettiva dell’unità. Un passaggio essenziale è quello delle rappresentanze unitarie, dell’attuazione cioè dell’accordo sulle R.S. U.

Si può così risolvere un problema che è stato un punto di divisione tra di noi: la concezione della democrazia sindacale, il rapporto tra Sindacato e lavoratori. Qui c’è una soluzione politica che dà vita a un sistema di democrazia rappresentativa forte, e CGIL, CISL e UIL si debbono presentare a questo appuntamento con un proprio patto unitario.

C’è poi da lavorare molto per metter su basi più solide una intesa sulle strategie. Alcune cose ci sono già in embrione, nella piattaforma unitaria con la quale abbiamo avviato la trattativa con il governo e con gli imprenditori.

Ci sono alcuni punti di grande rilievo: la politica dei redditi, la riforma del modello contrattuale in senso decentrato.

Questi due aspetti vanno tenuti insieme, perché dietro le diffidenze un po’ ideologiche, nei confronti delle esperienze di concertazione, sta il rifiuto di un modello di relazioni di tipo centralizzato. Se noi teniamo insieme politica dei redditi e sviluppo di un modello di contrattazione decentrato nei luoghi di lavoro e nel territorio, troviamo allora una sintesi che ci fa superare vecchie divisioni. Ma anche queste affermazioni rischiano di essere delle formule un po’ vuote, e per questo ci proponiamo, qui in Lombardia, di lavorare perché si chiarisca meglio quale è la linea di politica economica e di politica dei redditi che il Sindacato propone. Se realizziamo questo lavoro di approfondimento, e se rendiamo più esplicita una iniziativa politica, e anche uno scontro politico, delle confederazioni, ciò contribuirà certamente a determinare nuove condizioni più salde per una nuova stagione nel movimento sindacale.

 


Numero progressivo: V35
Busta: 44
Estremi cronologici: 1991, 18 ottobre
Autore: AA. VV.
Descrizione fisica: Opuscolo
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: s. e. 1991 - Supplemento a "Il delegato"