PROPOSTA/AMBIENTE

Convegno CGIL, Museo della Scienza, Milano 9-10 marzo 1987

Relazione introduttiva di Riccardo Terzi – Segretario della CGIL Lombardia

Dal convegno Proposta/Ambiente pubblichiamo il testo delle relazioni di apertura della prima giornata, rispettivamente di Riccardo Terzi, segretario della CGIL Lombardia, e di Rino Pavanello, della sezione Ambiente

Relazione di Riccardo Terzi

1) L’occasione di questo convegno è l’apertura dell’anno europeo dell’ambiente, che può costituire per tutti, per le forze politiche e per le varie organizzazioni sociali, un momento impegnativo di verifica, di messa a punto delle analisi e delle proposte. E da prevedere, quindi, che nel corso dell’anno vi sia una molteplicità di iniziative, e in questo contesto non può mancare la voce del sindacato, una voce che ha una sua peculiarità, in quanto non si limita all’analisi della situazione o alla denuncia dei problemi irrisolti, ma vuole costruire un’iniziativa concreta, una mobilitazione di massa, considerando il problema dell’ambiente come una grande vertenza sociale.

Solo così è possibile un ruolo proprio e autonomo del sindacato, individuando il terreno concreto su cui si può innestare un’azione di contrattazione, precisando gli obiettivi, gli interessi sociali da mobilitare, le controparti.

L’anno europeo dell’ambiente è quindi solo l’occasione esteriore, e noi vogliamo guardarci da ogni tendenza celebrativa, o propagandistica, dal rischio che il tutto si riduca ad una parata di buoni propositi, di impegni solenni, dopo di che le cose continuano per il loro corso.

Per partire con il piede giusto, occorre indicare alcuni traguardi concreti, possibili, realizzabili in tempi brevi, e darci appuntamento tra un anno per verificare i risultati, per fare un primo bilancio, costringendo tutti a rendere conto, di fronte all’opinione pubblica, del proprio operato.

Può allora essere utile, per tenere viva la mobilitazione, fare della data del 21 di marzo, con cui si apre l’anno europeo dell’ambiente, una giornata internazionale dell’ambiente, una ricorrenza politica, sottolineando così come siamo in presenza di un problema che non è transitorio, ma sempre più si porrà al centro delle scelte politiche nel prossimo futuro.

 

2) La questione ambientale è esplosa come grande questione del nostro tempo, dopo una serie di grandi sciagure da Seveso a Chernobyl.

Ma queste tragedie collettive sono solo il dato più appariscente, la punta visibile di un grande iceberg.

E oggi aperto un dibattito e uno scontro politico e culturale intorno al nodo dell’energia nucleare. La CGIL della Lombardia si è già ampiamente occupata di questo problema, con iniziative di rilievo che hanno avuto la partecipazione ed il contributo attivo della cultura scientifica.

Possiamo evitare quindi, in questa sede, di trattare in modo specifico la questione energetica, rinviando ai documenti e alle deliberazioni della CGIL, alle posizioni assunte ufficialmente e pubblicamente nel corso della Conferenza Nazionale per l’energia appena conclusa.

Non possiamo però non rilevare come questa Conferenza sia stata viziata da giochi politici, finendo per essere non già la sede di un approfondimento scientifico, ma di uno scontro tra posizioni pregiudiziali, su cui ha pesato il condizionamento di interessi economici e di potere.

Nell’insieme si tratta di un’occasione mancata e si ripropone oggi alle forze politiche e al governo la responsabilità di una scelta chiara, non compromissoria, che dia una risposta certa ai problemi della sicurezza.

In ogni caso è indispensabile che le scelte politiche si confrontino, apertamente e democraticamente, con l’opinione pubblica. Non è accettabile la tesi che possono decidere solo gli esperti, che in questo campo, dove indubbiamente vi sono questioni tecniche assai complesse, democrazia sia sinonimo di demagogia, di populismo irresponsabile. Gli esperti devono chiarire le alternative possibili, devono aiutare la formazione di un livello adeguato di conoscenza e di consapevolezza.

Ma la decisione riguarda la totalità dei cittadini, perché è in gioco la loro condizione civile, la loro sicurezza, che non può essere delegata a una cerchia ristretta e incontrollata di specialisti.

Questa istanza democratica è fondamentale su tutti i problemi dell’ambiente. Se la situazione è oggi così gravemente compromessa, è per l’assenza di un controllo sociale, democratico, per il predominio, quindi, di interessi di parte, i quali determinano la qualità dello sviluppo al di fuori di ogni considerazione dell’interesse collettivo.

 

3) Sorge a questo punto un interrogativo più di fondo. Ambiente e sviluppo: in che rapporto stanno? È un rapporto intrinsecamente contradittorio, o è viceversa possibile un equilibrio, una sintesi che tenga conto dei due lati del problema?

Da più parti si considera come inevitabile una scissione, una contraddizione non sanabile. C’è un vecchio residuo di scientismo positivistico che considera che si debba pagare qualsiasi prezzo alla causa del progresso tecnico. Il rischio ambientale è uno di quei prezzi che occorre consapevolmente assumere, nella convinzione fideistica che in ultima istanza lo sviluppo della scienza determinerà condizioni di vita migliori per l’umanità.

È una tesi azzardata, palesemente arcaica nell’era del terrore nucleare e delle catastrofi ecologiche.

I prezzi sono troppo alti, e questa sorta di progressismo ottuso si risolve in una posizione di cinismo tecnocratico ed autoritario.

Per costoro Chernobyl è un irrilevante incidente di percorso e ogni ripensamento è un cedimento a spinte emotive e irrazionali.

Sul fronte opposto troviamo posizioni per cui la tutela dell’ambiente fa tutt’uno con il rifiuto della civiltà industriale e tecnologica.

Noi riteniamo che non sia accettabile l’alternativa tra queste posizioni estreme. Da un lato sta la rassegnazione, la rinuncia, l’accettazione passiva di uno sviluppo distorto, dall’altro lato sta un atteggiamento velleitario che non si misura con i problemi reali dello sviluppo.

Occorre però aver chiaro che le esigenze dello sviluppo e quelle dell’ambiente non si conciliano spontaneamente, che c’è una contraddittorietà potenziale che va messa sotto controllo con un’analisi critica rigorosa.

Lo sviluppo della civiltà industriale è ad un punto critico, oltre il quale rischiano di essere compromesse le basi stesse dell’esistenza.

È insensato continuare alla cieca, ma occorre una valutazione consapevole, razionale, una scelta qualitativa dei fini e dei mezzi. Una misurazione solo quantitativa dello sviluppo economico è fuorviante. Dietro i dati statistici con cui siamo abituati a misurare lo stato di salute dell’economia nazionale (aumento del PIL, aumento della produttività, crescita dei consumi interni, ecc.) stanno problemi di qualità della condizione civile che debbono essere valutati con strumenti meno grossolani, con una più attenta e più sensibile capacità critica.

Per questo, appare poco convincente un certo trionfalismo oggi di moda, che esalta la vitalità del sistema, senza interrogarsi sulle contraddizioni crescenti che la dinamicità spontanea di uno sviluppo tutto affidato agli spiriti vitali del mercato determina nel rapporto tra le classi, nella distribuzione del potere, nel rapporto tra aree forti e aree deboli, nell’assetto territoriale e nel livello complessivo della condizione civile.

Per superare il punto critico occorre un sovrappiù di conoscenza, di ricerca, di innovazione. La quota di risorse che viene dedicata allo sviluppo culturale, scientifico, alle istituzioni scolastiche, alla ricerca, è un indice attendibile della capacità di un paese di affrontare le sfide del nostro tempo.

La nostra situazione non può essere considerata, sotto questo profilo, soddisfacente e non lo è in particolare per quanto riguarda l’impegno di ricerca intorno ai problemi dell’ambiente.

Occorre inoltre un sovrappiù di controllo, di democrazia, di partecipazione, in quanto lo sviluppo deve essere guidato e deve essere ricondotto agli interessi generali della collettività.

In questo quadro, troviamo una motivazione forte all’iniziativa del sindacato, in quanto esso è un grande strumento di mobilitazione democratica, ed agisce direttamente all’interno del processo produttivo, nel cuore dello sviluppo economico.

Lavoro, scienza, democrazia: sono questi i punti di riferimento, le leve su cui agire per uno sviluppo razionale. Per questo si deve consolidare sempre più un rapporto di intesa e di collaborazione tra il movimento dei lavoratori e la cultura scientifica, tra il sindacato come movimento di massa, gli specialisti, i ricercatori, le organizzazioni culturali e scientifiche.

 

4) L’esperienza sindacale si è concentrata finora soprattutto sull’ambiente di lavoro, sulle condizioni materiali in cui si svolge la prestazione di lavoro.

Uno straordinario impulso è venuto in questa direzione dalle lotte sindacali degli anni 60 e 70, che hanno rimesso radicalmente in discussione la condizione operaia in tutti i suoi aspetti, affrontando i problemi della nocività, della salute, della prevenzione, della medicina del lavoro.

La grande acquisizione culturale di quegli anni consiste nel rifiuto della monetizzazione.

Non basta pagare di più il lavoro nocivo, il lavoro pesante, ma occorre cambiare l’organizzazione del lavoro, le condizioni della produzione in modo da eliminare il più possibile ogni elemento di nocività.

Questa battaglia ha conseguito alcuni risultati importanti e ha consentito un rapporto proficuo con la cultura esterna, in particolare nel campo della medicina del lavoro, contribuendo anche allo sviluppo di una corrente democratica e di sinistra, che si è scontrata con la routine e il conformismo tradizionali e con il peso degli interessi costituiti.

Dopo questa stagione, c’è stata, nella fase successiva, un allentamento dell’impegno del sindacato, e in alcuni casi una vera e propria rimozione del problema dell’ambiente di lavoro. Ciò è dovuto innanzitutto alle difficoltà generali che ha incontrato il movimento sindacale, alla prova aspra determinata dai processi di crisi e di ristrutturazione, all’esplodere del problema della disoccupazione e anche alle tensioni e alle difficoltà che hanno segnato il processo unitario.

La controffensiva dei grandi gruppi capitalistici ci ha costretto sulla difensiva e in molti campi abbiamo subito un arretramento.

Contemporaneamente, intervenivano cambiamenti profondi nell’organizzazione del lavoro, dovuti all’introduzione, su larga scala delle nuove tecnologie, per cui tutte le elaborazioni precedenti dovevano essere aggiornate, modificate.

I problemi della nocività si presentano oggi in un contesto nuovo e può apparire ad un’osservazione sommaria, che ormai non esista più in modo acuto un problema di tutela nella prestazione di lavoro.

L’innovazione tecnica sposta in avanti il problema e apre nuove contraddizioni. Da un lato essa contiene in sé una grande potenzialità come fattore di umanizzazione del lavoro. Ma può anche essere usata per perfezionare meccanismi rigidi di controllo della prestazione lavorativa, secondo una concezione neo-tayloristica, per cui si affida l’obiettivo di un generale incremento di produttività a un’eccezionale intensificazione del lavoro.

È il modello Fiat, è il modello a cui punta una parte grande del padronato italiano, incapace di liberarsi di una vecchia concezione autoritaria e gerarchica. E c’è inoltre la realtà diffusa delle piccole imprese, del decentramento produttivo, dell’economia sommersa, che in larga parte sfugge ad ogni contrattazione sindacale.

Per la spinta di questi processi, la questione dell’ambiente di lavoro torna a presentarsi con forza all’attenzione del movimento sindacale e una certa inversione di tendenza sembra essere in atto.

La contrattazione aziendale di questi ultimi due-tre anni, presenta un bilancio ancora insufficiente, ma in cui sono presenti elementi nuovi, positivi.

Abbiamo raccolto una documentazione su 1.467 accordi aziendali dell’84-85: in 516 accordi, pari al 35%, c’è un riferimento ai problemi dell’ambiente.

Si tratta prevalentemente di interventi di bonifica del luogo di lavoro, e si tratta di accordi che hanno interessato soprattutto le piccole imprese.

È un materiale su cui si può utilmente lavorare, per capire meglio le tendenze della contrattazione. Esso indica comunque che anche nel momento in cui è aperta una crisi dell’azione sindacale, continua a realizzarsi un’esperienza diffusa di contrattazione che riguarda i diversi aspetti del rapporto di lavoro.

Più in generale, è ormai entrato nel dibattito sindacale il problema del controllo sui processi di innovazione, della loro contrattazione preventiva, dei modelli organizzativi.

Su questo terreno dovrà svilupparsi la prossima stagione di contrattazione articolata, utilizzando gli spazi che sono resi possibili dai contratti nazionali di categoria.

 

5) Il limite che ha sin qui segnato la contrattazione sindacale sta nell’aver affrontato i problemi dell’ambiente di lavoro senza valutare tutte le connessioni con l’ambiente esterno. È qui il salto culturale da compiere, oggi indispensabile, perché una politica di difesa ambientale deve saper cogliere tutte le relazioni e deve in particolare intervenire sul rapporto tra industria e territorio.

Si tratta allora di intervenire sul processo produttivo per conquistare un’efficace azione di prevenzione, di affrontare i problemi della sicurezza, di individuare le soluzioni possibili per ridurre gli effetti di inquinamento, di avanzare proposte concrete per tutta la questione assai complessa dello smaltimento dei rifiuti industriali.

Nella sola provincia di Milano sono state censite 181 aziende a rischio rilevante.

Ebbene, a dieci anni dall’incidente di Seveso, tutta la questione dei grandi rischi industriali non è stata in nessun modo avviata a soluzione, e ancora non è stata recepita, proprio in Italia, la direttiva della Comunità Europea nota come “Direttiva Seveso”.

C’è un problema legislativo e c’è soprattutto il problema delle strutture di prevenzione e di controllo, perché anche una buona legge finisce per essere inefficace se non funzionano controlli e sanzioni.

La CGIL Nazionale ha tenuto recentemente un’iniziativa sui “grandi rischi”, avanzando una proposta concreta per l’organizzazione di una struttura centrale, di alto livello scientifico, e ponendo insieme l’esigenza di un potenziamento di tutte le strutture decentrate addette alla prevenzione.

Il “rischio” non riguarda solo alcuni grandi impianti, dove si possono determinare eventi catastrofici, ma c’è un rischio diffuso, che interessa tutto il tessuto urbano industrializzato. Ci rendiamo allora conto che non bastano “interventi singoli”, ma occorre una politica, in quanto si tratta di intervenire a livello di sistema.

E anche per il sindacato, quindi, il tema dell’ambiente, nei suoi aspetti interni ed esterni ai luoghi di produzione, deve essere una costante, una direttiva di fondo su cui si impegnano tutte le strutture sindacali.

 

6) Nel momento in cui il sindacato si misura sui problemi dell’ambiente in tutta la loro complessiva dimensione, ci si pone il problema del nostro rapporto con le associazioni ambientali.

Pensiamo sia oggi necessario costruire un collegamento, definire un metodo di lavoro che renda possibile in modo sistematico, un confronto, una circolazione di informazioni, una convergenza nell’azione pratica.

Vogliamo discutere con i rappresentanti del movimento ambientalista, proponendo loro un “patto di consultazione”, un impegno reciproco a verificare di volta in volta tutte le possibilità di convergenze e di azione comune.

Il sindacato, d’altra parte, in questo confronto aperto e unitario, tiene la sua specificità, il suo ruolo autonomo, in quanto opera all’interno del processo produttivo e rappresenta in prima istanza gli interessi sociali dei lavoratori, e in quanto agisce con gli strumenti che gli sono propri, con l’azione contrattuale e vertenziale, sia nel rapporto con le imprese, sia nel rapporto con le istituzioni pubbliche. La forza contrattuale del sindacato può divenire così una leva fondamentale su cui agire per una politica di difesa dell’ambiente. Questo salto di qualità è oggi maturo e possibile.

Dobbiamo conquistarci, senza timidezze, un ruolo politico, e ciò richiede una linea di coerenza e di fermezza, senza farci condizionare dal ricatto occupazionale a cui ricorrono di frequente le imprese per ottenere una tacita connivenza dei lavoratori e del sindacato.

Se analizziamo, d’altra parte, il rapporto complessivo tra le difese dell’ambiente e occupazione, possiamo notare che non si tratta di due esigenze contraddittorie, in quanto la realizzazione di una politica per l’ambiente può creare nuove numerose occasioni di lavoro.

Ci sono le strutture pubbliche da potenziare, ci sono nuove attività, nuove competenze professionali da valorizzare, più in generale occorre considerare l’ambiente non solo come un bene da salvaguardare, ma come una risorsa.

 

7) Le istituzioni, nel loro complesso, hanno operato in modo contraddittorio, discontinuo, e non hanno preso coscienza del fatto che siamo in una situazione di emergenza. Manca un quadro chiaro e definito di scelte prioritarie, e i diversi livelli di governo spesso si intralciano l’un con l’altro, non essendo definite in modo preciso le competenze di ciascuno.

La Lombardia, in particolare, in quanto grande regione industriale, si trova nel cuore di questa situazione di emergenza. Ma non ha risposto in modo adeguato. Ci si è limitati ad inseguire le situazioni più acute, senza un piano, senza una politica, senza strutture sufficienti, senza un programma di investimenti.

Il bilancio della Regione per 1’87 conferma questo stato di cose, in quanto non si prevede nulla oltre l’ordinaria amministrazione.

L’emergenza non sta solo nella drammaticità di singole situazioni, ma nella tendenza generale al degrado delle condizioni di vita.

Per questo, appunto, occorre una politica: il potenziamento delle strutture sanitarie, una scelta a sostegno della prevenzione che dovrebbe coprire, secondo le nostre richieste, almeno il 10% della spesa sanitaria, l’adozione di criteri rigorosi per quanto riguarda l’uso del territorio, la valutazione di impatto ambientale per tutti gli insediamenti produttivi e per le grandi infrastrutture, una politica di decongestionamento dei centri urbani.

È urgente inoltre risolvere il problema delle competenze, definire l’ambito di intervento proprio degli organi statali, delle Regioni, delle Province, dei Comuni, delle USSL. È questo un tema che ci proponiamo di riprendere in una prossima occasione, con un’apposita iniziativa di studio e di approfondimento.

 

8) In occasione di questo convegno, si è costituita, su iniziativa della CGIL Regionale, l’Associazione Ambiente e Lavoro che svolgerà la sua attività in piena autonomia, con propri organi direttivi, con un proprio Statuto.

La scelta di costituire l’Associazione discende da tutte le considerazioni che abbiamo fin qui svolto. Essa non si sostituisce ai compiti che sono propri dell’organizzazione sindacale, ma si propone di essere uno strumento permanente di lavoro, di elaborazione, di iniziativa, e soprattutto essa può costituire la sede di un incontro, di una collaborazione permanente tra il sindacato e la cultura esterna.

Pensiamo quindi ad un’Associazione molto aperta, che possa avvalersi dell’apporto di specialisti, di esperti, di scienziati, e di quanti intendono impegnarsi sulle tematiche ambientali, e contribuire ad una generale ripresa dell’iniziativa, in questo campo, del movimento operaio organizzato.

Già con il Convegno abbiamo cominciato a costruire questo rapporto, e ringraziamo vivamente tutti quelli che hanno accolto il nostro invito.

Ma il Convegno è solo l’avvio di un lavoro. Vogliamo qui raccogliere indicazioni, contributi, stimoli su cui lavorare. Già abbiamo un ricco materiale di documentazione, un’agenda fitta di problemi che devono essere approfonditi.

Su questa base, ci daremo al più presto un programma di lavoro, che dovrà prevedere sia momenti di approfondimento, di elaborazione, al livello scientifico più alto, sia iniziative di sensibilizzazione di massa, di mobilitazione democratica, tenendo ben ferma quindi la nostra convinzione politica di fondo che solo il pieno sviluppo della democrazia può dare la forza necessaria alla battaglia politica, sociale e culturale, per un nuovo tipo di sviluppo, per uno sviluppo che garantisca la sicurezza, la tutela dei valori ambientali, la qualità della condizione civile.



Numero progressivo: A46
Busta: 1
Estremi cronologici: 1987, 9 marzo
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Note: identico a A47
Pubblicazione: “Nota settimanale della CGIL Lombardia”, 16 marzo 1987, pp. 1-4