PERCHÉ SORGE L’ESIGENZA DI RIFORMULARE LE REGOLE DEL CENTRALISMO DEMOCRATICO
di Riccardo Terzi – del Comitato Centrale
Nella preparazione del XVI Congresso si è già determinata un’innovazione politica rilevante nello svolgimento della interna democrazia di partito.
Con la pubblicazione di alcuni emendamenti di minoranza che riguardano aspetti fondamentali dell’analisi e della proposta politica, si introduce infatti una procedura del tutto nuova, che può avere conseguenze rilevanti sullo sviluppo futuro della vita interna del partito.
Non intendo qui entrare nel merito di tali emendamenti, che complessivamente non approvo. Mi interessa piuttosto vedere come sta cambiando il regime del “centralismo democratico”, e in quale direzione ci si debba muovere per raggiungere un grado più alto di maturità democratica nel funzionamento complessivo delle nostra organizzazione di partito.
La novità di questo Congresso sta nel fatto che le organizzazioni di base sono chiamate a pronunciarsi su diverse posizioni politiche, su differenziazioni che non sono state preventivamente mediata e ricomposte all’interno del gruppo dirigente.
Si tratta di un fatto che modifica sostanzialmente la tradizionale concezione e applicazione del centralismo democratico. L’obiettivo dell’unità del partito non è presupposto, ma può essere solo il risultato di un processo democratico che coinvolge la responsabilità di tutti i militanti, in un confronto schietto e in una battaglia politica condotta alla luce del sole.
Non è solo tolleranza per il dissenso, che c’è da tempo nel nostro partito. È il riconoscimento di un interno pluralismo, che deve trovare le vie e i modi per potersi manifestare e per essere regolato democraticamente.
Ciò apre problemi nuovi e complessi, che dovranno essere definiti e risolti, nel quadro di una nuova concezione della vita interna del partito.
Da questo punto di vista, il capitolo del documento congressuale dedicato ai problemi del partito dice troppo poco ed è piuttosto generico. Esso non mi sembra all’altezza del taglio complessivo del documento, e pertanto si rende necessaria, nel corso dei lavori congressuali, un’elaborazione ulteriore, per rispondere ai quesiti che sono aperti e per tracciare con chiarezza il senso di marcia per il prossimo futuro.
Il nodo politico su cui lavorare è quello di una nuova formulazione delle regole del centralismo democratico, passando dalla logica della mediazione di vertice e da una concezione feticistica dell’unità al pieno dispiegamento del confronto democratico su proposte e su piattaforme che possono essere tra loro alternative.
Bisogna definire, a questo fine, regole e procedure, sia per favorire uno sviluppo più aperto della vita interna del partito, sia per impedire che da questo sviluppo possa derivare una cristallizzazione per correnti organizzate.
La mancata definizione di tali regole fa sorgere già nel corso dell’attuale campagna congressuale problemi e difficoltà: come si scelgono i delegati, come si formano i gruppi dirigenti, come si tutelano le minoranze. La prassi attuale non risolve questi problemi, ma li affida al senso di equilibrio dei gruppi dirigenti, il che non può essere una garanzia sufficiente.
Una prima misura può essere quella di generalizzare il ricorso al voto segreto per l’elezione degli organismi dirigenti, ai vari livelli. In questo caso, si tratta naturalmente di decidere come il voto segreto viene esercitato, come si compongono le liste dei candidati, come si organizza quindi una vita democratica che dia a tutti le più ampie garanzie.
La selezione dei gruppi dirigenti, e dei nostri candidati alle cariche pubbliche, deve essere il risultato di un confronto democratico largo e aperto, e non può essere decisa in sedi ristrette, in commissioni e sottocommissioni, secondo la logica di cooptazione.
Il problema della democrazia interna è oggi maturo, e non può essere rinviato, sia perché c’è’ di fatto una ricca articolazione interna, politica e culturale, che deve trovare le forme adeguate per esprimersi, sia perché, nelle condizioni attuali della società italiana, il tessuto connettivo del partito non può più essere assicurato da un modello di milizia politica basato su una forte coesione ideologica e su un conseguente vincolo di disciplina.
Non esistono più le condizioni per questo tipo di partito, e oggi un moderno partito di massa può esistere solo in virtù di una straordinaria capacità di organizzarsi come grande fatto di democrazia collettiva.
Le difficoltà che l’organizzazione del partito ha incontrato in quest’ultima fase sono in rapporto con questi problemi. C’è una crisi della nostra tradizionale struttura organizzativa, c’è una pericolosa tendenza a un restringimento del ruolo politico delle nostre strutture di base, che appaiono spesso come rattrappite, come strumenti puramente esecutivi, privi di una propria vitalità.
Vi sono qui gli effetti negativi di una centralizzazione che agisce ormai come un freno, come un impaccio.
Occorre far fronte a questa situazione critica avviando, nel complesso della vita organizzata del partito, una fase di coraggiosa sperimentazione.
È la questione chiave è, a mio giudizio, la sezione, l’organizzazione di base. Si discute invece molto e con molta confusione, del rapporto tra Federazioni e Comitati regionali e zone, di un problema che è in ogni caso secondario, perché non c’è rilancio possibile del partito e della sua iniziativa se esso non avviene a partire delle sue strutture più elementari, se non ritrova vitalità l’impegno militante dei singolo iscritto
E allora, se guardiamo allo stato reale delle sezioni, a me sembra che il vincolo «territoriale» agisca in molti casi, e soprattutto nei grandi centri urbani, come un limite burocratico che le chiude in un orizzonte ristretto, in un’ottica «di quartiere» che non corrisponde più alla coscienza civile di oggi. Nella grande città conta sempre meno la dimensione dei quartiere, e contano invece le aggregazioni che si formano sulla base di interessi comuni, professionali o culturali o di altra natura.
Le sezioni potrebbero forse ritrovare nuovo slancio e nuova capacità creativa se si costituissero come centri di iniziativa politica, sulla base di determinati progetti e programmi, chiamando all’impegno tutte le diverse energie, interne ed esterne al partito, che si riconoscono in quegli obiettivi. Una sperimentazione di questo tipo, che richiede certamente cautela e gradualità, può consentirci di ricondurre all’impegno politico attivo numerose forze (giovanili, intellettuali) che sono disposte a mobilitarsi per obiettivi determinati, e che rifuggono da una qualsiasi concezione burocratica della milizia di partito.
Anche per questa via, me ne rendo conto, siamo condotti a ridiscutere e modificare il centralismo democratico, in quanto si potrebbero costituire organizzazioni di base sul fondamento di determinati orientamenti politici, e in ogni caso si presenterebbe un quadro assai differenziato, per interessi, per temi, per esperienze di lavoro. Ma una tale pluralità non sarebbe, in ultima istanza, un segno positivo, un indice di vitalità, un’occasione di risveglio della passione politica? Sviluppo della democrazia interna e rilancio del ruolo politico delle organizzazioni di base, mi sembrano essere questi, in estrema sintesi, i pilastri su cui può poggiare un progetto di riforma della struttura organizzativa del partito.
Ho solo accennato ad alcune ipotesi, e si tratta di una materia tutta ancora da discutere e da verificare. In ogni caso, mi sembra che il tema “partito” non possa essere affidato a una ripetizione stanca di formule, ma debba costituire un problema di primo piano nel nostro dibattito congressuale.
Busta: 7
Estremi cronologici: 1983, 19 gennaio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “L’Unità”, 19 gennaio 1983