PERCHÉ NON MI ASSOCIO AL CORO DI CRITICHE SUL LIBRO DI GAD LERNER
Articolo di Riccardo Terzi sul libro di Gad Lerner sugli operai Fiat e sul dibattito seguito
Il libro-inchiesta di Gad Lerner sugli operai della Fiat ha suscitato, in area comunista, un coro di reazioni critiche, a giudicare dai numerosi articoli apparsi sull’Unità. Non mi associo a questo coro, e anzi mi sembra sorprendente questa reazione negativa, trattandosi di uno dei pochi libri che non ricalca il solito copione sulla sconfitta dell’80, che non ripete i luoghi comuni sul massimalismo e sulla cecità del sindacato, e sulla lungimiranza della famiglia Agnelli.
La critica viene condotta essenzialmente sul terreno teorico-politico, con la riaffermazione del ruolo della classe operaia come “classe generale”. Viene condotta cioè su un terreno che è del tutto estraneo al tipo di ricerca di Gad Lerner, il cui libro è una ricostruzione empirica dei cambiamenti avvenuti nelle condizioni di vita e negli orientamenti soggettivi dei lavoratori della Fiat, e che pertanto non può essere valutato con un metro di giudizio di tipo filosofico.
Nella filosofia hegeliana la classe generale è la burocrazia di Stato, in quanto classe al di sopra delle classi, depositaria dell’interesse generale, espressione dello spirito della nazione.
La classe operaia, al contrario, ha un ruolo storico rivoluzionario in quanto la sua parzialità non è politicamente mediabile, in quanto è interessata a portare il conflitto sociale fino alle ultime conseguenze, in quanto la sua stessa esistenza materiale nega la possibilità di un interesse generale e svela il carattere “ideologico” e mistificato di tutti i cosiddetti valori universali.
Tutto ciò ha a che fare con i problemi concreti dell’azione politica. È in gioco tutta una tradizione per la quale il ruolo dirigente della classe operaia sta nella sua capacità di farsi Stato, di subordinare i suoi interessi di classe agli interessi superiori della “politica”. Dall’idealizzazione hegeliana della burocrazia si giunge, attraverso una serie di passaggi, alla versione burocratica e statalistica del socialismo. La classe operaia, elevata in apparenza al ruolo di forza dirigente, è in realtà privata della sua autonomia, espropriata dalla sua funzione antagonistica. Il che avviene non solo nei paesi del socialismo reale, ma anche in tutti quei rapporti tra classe e politica che confinano il movimento reale dei lavoratori in una posizione subordinata.
Il libro di Gad Lerner, fortunatamente non viziato da ideologismi, ha la freschezza di un rapporto diretto con la realtà, ma anche il limite di un’opera solo descrittiva dei processi di differenziazione e di frantumazione presenti oggi nel mondo del lavoro.
Se ci si arresta a questo stadio dell’analisi, si ha effettivamente l’impressione che lo stesso concetto di classe sia ormai privo di senso in quanto non si rintracciano più gli elementi di una identità e di una coscienza collettive. Ma l’identità di classe non è un dato spontaneo, è piuttosto il risultato di un processo politico, che riunifica intorno ad un progetto comune la grande varietà e articolazione degli interessi immediati. L’analisi empirica non fornisce nessun elemento conclusivo contro la possibilità di questa ricostruzione politica.
Ma si tratta, appunto, di ricostruire, di riproporci oggi, nelle nuove condizioni, il tema dell’unità di classe, sapendo che esso si presenta come problematico, incerto, che non può essere assunto a priori come un principio teorico indiscusso.
Lerner non dà risposte politiche, non si propone di farlo, e per questo il suo libro può apparire come una sorta di “de profundis” per la classe operaia.
Egli descrive una sconfitta, descrive i molteplici e contraddittori effetti sociali e individuali che da questa sconfitta sono stati determinati. È di questo nodo storico-politico che noi dobbiamo discutere, del significato e della portata della sconfitta politica subita dal movimento operaio in questo decennio, non solo nell’universo Fiat, ma più complessivamente nell’intero processo politico che ha spostato e riorganizzato i rapporti di potere.
Ma non è già accaduto altre volte? Non abbiamo già sentito più volte nel passato le profezie sulla fine della classe operaia? E allora perché preoccuparsi, quando è chiaro “ideologicamente” che il movimento della storia lavora per la nostra causa?
È questa posizione contemplativa, fideistica e consolatoria che mi sembra oggi estremamente pericolosa, e che mi è parsa affiorare nel nostro dibattito.
L’errore sta nel non vedere le novità della situazione, le caratteristiche nuove e peculiari dei processi sociali che si stanno producendo, la profondità dei mutamenti che investono il processo produttivo, l’organizzazione delle imprese, la composizione di classe, e anche, insieme, gli stili di vita e le forme della coscienza.
Stiamo entrando in una nuova fase, in cui tutto il nostro bagaglio teorico tradizionale va sottoposto a verifica critica. Non è la riedizione degli anni ‘50, non è il ripetersi di una delle tante e ricorrenti offensive padronali, e pertanto anche le risposte non possono essere le medesime, e non vale la memoria storica, non vale la saggezza accumulata nelle lotte passate.
Da tutto questo sommovimento non è pensabile che possa essere riproposto il concetto di classe nei modi e nelle forme del passato, ma esso può avere ancora un senso politico concreto solo in quanto sa rispondere a questi problemi.
Busta: 9
Estremi cronologici: 1988, 16 giugno
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fotocopia pagina quotidiano
Tipo: Recensioni
Serie: Cultura -
Pubblicazione: “L’Unità”, 16 giugno 1988. Ripubblicato in “La pazienza e l'ironia” col titolo “La Fiat e la sconfitta operaia”, pp. 107-110