PER UNA NUOVA POLITICA COSTITUZIONALE
Opuscolo che contiene una riflessione politica sul tema delle riforme costituzionali elaborata da Riccardo Terzi con Valerio Onida, Roberto Vitali, Franco Monaco, Alberto Martinelli e Enzo Balboni e firmata tra gli altri da Vittorio Foa, Leopoldo Elia, Franco Bassanini, Salvatore Veca, Guido Neppi Modona, Mino Martinazzoli, Antonio Panzeri, Francesco Silva, Pino Cova e Stefano Rodotà
Le vicende italiane degli ultimi anni hanno prodotto un’acuta e persino eccessiva attenzione dell’opinione pubblica sui temi delle riforme costituzionali possibili, auspicate o temute, dando talora l’impressione che proprio o prevalentemente su questo terreno si giochino le sorti del paese. Anche se non è certamente così, e se vi è in queste tesi, spesso, una dose di strumentalizzazione, è pur vero che il tema costituzionale caratterizza i fondamenti della vita democratica, e che dunque una maggiore consapevolezza e attenzione su di esso non può che essere benefica.
Il documento che presentiamo – redatto da Valerio Onida, ed elaborato da un gruppo di lavoro cui partecipano Enzo Balboni, Alberto Martinelli, Franco Monaco, Riccardo Terzi, Roberto Vitali – intende recare un contributo a una riflessione fondata e seria su questo argomento.
I temi in esso affrontati e le proposte in esso formulate non esauriscono certo i possibili e gli auspicabili temi di riforma, e richiedono essi stessi ulteriori specificazioni, elaborazioni e approfondimenti.
Ci si è fermati, inoltre, volutamente sulla soglia dei problemi di riforma – e sono la maggior parte – che non richiedono revisioni costituzionali e comunque non si esauriscono in esse, ma comportano complesse e coordinate azioni legislative e amministrative. Si pensi, per fare solo alcuni esempi fra i molti possibili, ai nuovi strumenti di regolazione dell’economia, alla disciplina dell’organizzazione e dell’attività dei partiti, o alla disciplina legislativa del referendum abrogativo.
Il documento, già sottoscritto da un certo numero di esponenti del mondo scientifico, politico, sindacale e professionale, è aperto alla sottoscrizione degli altri che vorranno aderirvi, non va dunque giudicato per la sua completezza o per lo specifico contenuto di questa o quella indicazione, quanto per la linea di metodo che propone, e che crediamo possa essere largamente condivisa, indipendentemente dalle rispettive posizioni politiche. Confidiamo che esso possa costituire un contributo alla qualità e alla costruttività del dibattito.
PER UNA NUOVA POLITICA COSTITUZIONALE
1. Da anni in Italia si discute di riforma, di revisione più o meno “organica” o addirittura di rifacimento della Costituzione, e si ipotizzano per questo sempre nuovi percorsi procedurali, fino all’elezione di una assemblea costituente. E tuttavia a tanti dibattiti ha finora fatto riscontro solo la realizzazione di poche revisioni tutto sommato modeste del testo costituzionale (eliminazione della giurisdizione speciale della Corte Costituzionale per i reati ministeriali; nuova procedura per la concessione dell’amnistia e dell’indulto; facoltà di scioglimento delle Camere anche nell’ultimo semestre del mandato presidenziale se questo coincide con la fine della legislatura; abolizione dell’autorizzazione per procedere penalmente nei confronti dei parlamentari). Per di più, e per contro, si è andato sempre più smarrendo sembra – il senso che dovrebbe avere la politica costituzionale, coinvolgendo quest’ultima, senza riserve e senza distinzioni, nel confronto politico quotidiano e nella lotta di potere fra le parti, spesso con finalità o modalità puramente propagandistiche, e consentendo o avallando disinvolte forzature della Costituzione (come in materia di uso della decretazione d’urgenza) e prassi politiche poco rispettose dei valori e delle regole costituzionali.
Noi riteniamo che sia tempo di abbandonare il terreno dei discorsi generici e delle parole d’ordine sommarie, per promuovere idee e proposte di una rigorosa politica costituzionale, e in questo ambito avviare l’elaborazione e la realizzazione di seri progetti di riforme costituzionali. Il tema della riforma costituzionale va sottratto alla superficialità, al pressappochismo, allo strumentalismo degli interessi puramente partigiani e contingenti, per farne l’oggetto di riflessione, di confronto e di iniziativa allo scopo di mettere a punto i cambiamenti che rispondano insieme alle odierne necessità del paese e a condizioni di largo consenso, di equilibrio e di rispetto dei valori fondamentali.
2. I cambiamenti che noi auspichiamo devono muoversi nel senso di riprendere e sviluppare i valori permanenti propri della grande tradizione costituzionale europea, e che rappresentano il patrimonio comune dei popoli dell’Unione, tanto da essere assunti anche nella giurisprudenza come principi comuni del diritto costituzionale degli Stati membri: i principi della libertà, della dignità della persona, dell’eguaglianza, del rispetto del pluralismo sociale; i principi della democrazia intesa come sistema di rappresentanza e di governo fondato sul libero dibattito e sul permanente confronto fra correnti politiche messe in grado di competere con parità di chances, e sulla decisione di maggioranza nel rispetto delle regole prestabilite e dei diritti delle minoranze; i principi dell’economia sociale di mercato intesa come sistema nel quale l’iniziativa privata opera in un quadro certo di regole volte a garantire il diritto di ogni persona ad un’esistenza libera e dignitosa; i principi della collaborazione internazionale e sovranazionale per la realizzazione di un ordinamento che assicuri “la pace e la giustizia fra le nazioni”, che promuova la tutela dei diritti umani, che avvicini la costruzione di un’Europa unita governata da istituzioni democratiche. Le riforme auspicate devono essere coerenti con un’idea “forte” della Costituzione: vista non come legge contingente imposta da un vincitore agli sconfitti, e mutabile a piacere col mutamento dei rapporti di forza nella società politica, ma come quadro tendenzialmente stabile di principi e di regole che esprime ciò che è comune ai protagonisti del pluralismo politico e da loro comunemente accettato, nel cui ambito si esprime liberamente tale pluralismo, e che garantisce perciò la possibilità di scelta e di innovazione e insieme la salvaguardia degli interessi fondamentali di tutti, e in particolare delle minoranze. Per questo va anche salvaguardata la fondamentale “rigidità” della Costituzione, che trova espressione in appositi procedimenti aggravati non di maggioranza per la sua revisione, salvi i limiti “assoluti” derivanti dai principi supremi immodificabili, e nel funzionamento efficace di istituti di giustizia costituzionale: mentre non ostacola le ragionevoli possibilità di interpretazione evolutiva in connessione con il mutare del contesto storico.
3. Oggi a noi sembra necessario concentrare l’attenzione sulle riforme veramente utili a migliorare il funzionamento delle istituzioni, bandendo ogni nominalismo e ogni intento puramente declamatorio o dimostrativo. Tre ci sembrano gli ambiti principali in cui possono profilarsi progetti di riforma aventi questo carattere, e in cui appare possibile indicare linee di riforma rispettose dei presupposti di cui si è detto e suscettibili di dar luogo ad un’ampia convergenza di vedute:
a) una riformulazione del sistema costituzionale delle autonomie territoriali (Regioni, Province e Comuni) nel solco delle ormai diffuse idee di federalismo “possibile”;
b) una revisione e un rafforzamento delle regole costituzionali dirette a presidiare le garanzie dei diritti e delle posizioni delle minoranze contro rischi di “dittatura delle maggioranze”;
c) un adeguamento delle regole costituzionali concernenti i rapporti fra gli organi di governo e di indirizzo (essenzialmente Governo e Parlamento) e la ripartizione delle competenze ai fini dell’esercizio dei poteri politici e amministrativi.
A questi tre ordini di questioni si possono poi aggiungere alcune altre, riguardo alle quali il testo costituzionale vigente non contiene specifiche previsioni, pur dettando principi già ora suscettibili di espansione e di ulteriori applicazioni (la proprietà dei mezzi d’informazione e il diritto alla informazione). ovvero la soluzione prevista non ha avuto attuazione e, nel merito, è messa ampiamente in discussione (l’ordinamento sindacale).
4. La riforma delle autonomie territoriali deve muovere da una valutazione attenta dell’esperienza fin qui realizzatasi, soprattutto per quanto riguarda il ruolo e le attività delle Regioni, trarre insegnamento dalle debolezze e dagli squilibri manifestatisi, e tener conto del nuovo contesto determinato dal mutamento della struttura economica del paese e dallo sviluppo dell’integrazione europea. A questa luce è senz’altro da condividere il ripensamento (già prospettato in molti progetti di riforma degli ultimi anni) del riparto delle funzioni fra Stato centrale e Regioni in relazione alle materie, con l’affermazione della competenza generale delle Regioni e l’elencazione espressa solo delle materie riservate allo Stato. Ma più ancora di questa riforma, appaiono decisive:
a) in primo luogo l’affermazione di regole e garanzie che impediscano lo svuotamento dall’interno delle autonomie ad opera della legislazione ordinaria di settore;
b) in secondo luogo la costituzione delle premesse necessarie perché nascano amministrazioni regionali e locali forti e capaci di sorreggere adeguatamente le istanze di autogoverno territoriale, attraverso il superamento del tradizionale “doppio binario” fra amministrazione statale periferica e amministrazione autonoma (di cui è istituto emblematico quello prefettizio, che si dovrebbe avere il coraggio di abolire), e l’eliminazione della molteplicità di vincoli imposti dal centro alle scelte organizzative locali, da sostituire con efficaci sistemi di responsabilità finanziaria delle collettività territoriali;
c) in terzo luogo l’affermazione del principio per cui i rapporti con le istituzioni e l’ordinamento dell’Unione europea, negli ambiti di competenza delle Regioni, devono coinvolgere la diretta presenza delle stesse Regioni;
d) infine la modifica della struttura del Parlamento per dare in esso una diretta significativa espressione alle istituzioni regionali (Camera delle Regioni), nel quadro di una riforma del sistema bicamerale. Il riconoscimento di una più ampia autonomia alle Regioni anche nella disciplina statutaria della loro organizzazione fondamentale dovrebbe condurre ad eliminare o attenuare i vincoli attualmente discendenti da alcune disposizioni costituzionali (elezione del Presidente e della giunta regionali all’interno del consiglio; legge elettorale uniforme), e non già ad imporre nuove soluzioni uniformi quanto alla “forma di governo” regionale. Il rafforzamento, anche sul piano costituzionale, delle autonomie regionali non deve andare a discapito delle autonomie locali, che anzi andrebbero a loro volta munite di un più preciso “statuto” costituzionalmente tutelato. Le funzioni amministrative debbono essere collocate al livello più possibile vicino al cittadino; e potrebbero essere previste nuove garanzie, come poteri di ricorso diretto alla Corte Costituzionale da parte di enti locali o di loro raggruppamenti contro atti legislativi o amministrativi, statali o regionali, lesivi di tale “statuto”.
5. Tuttavia siamo convinti che una rivitalizzazione e un rafforzamento del regionalismo nel nostro paese non potrà realizzarsi se alle riforme costituzionali non farà riscontro, per certi aspetti anche precedendole, una coerente legislazione ordinaria, eliminando la contraddizione oggi evidente fra propositi di riforma dello Stato in senso federalista e prassi legislativa e amministrativa quotidiana ispirata a criteri di massimo centralismo. In particolare, una politica legislativa in questa direzione sembra richiedere:
a) l’attuazione degli intenti espressi da ogni parte per una revisione del sistema fiscale in vista della costituzione di vere e solide autonomie finanziarie degli enti territoriali (in ispecie delle Regioni, oggi ancora molto deboli su questo piano), in un quadro che realizzi ad un tempo efficaci sistemi di responsabilità finanziaria delle collettività e meccanismi trasparenti ed efficienti di riequilibrio finanziario a favore delle aree dall’economia più debole;
b) la eliminazione o l’allentamento dei vincoli legislativi che limitano l’autonomia organizzativa degli enti territoriali, soprattutto con riguardo all’ordinamento e al trattamento del personale dipendente, che non può essere affidato ad una contrattazione collettiva nazionale rispetto alla quale le singole Regioni e gli enti locali della medesima godono di margini minimi di scelta;
c) una maggiore integrazione fra Regioni ed enti locali quanto all’esercizio delle funzioni e quanto al sistema finanziario, col rispetto e la garanzia dell’autonomia spettante ad ogni livello di governo.
6. Il secondo ambito al quale dovrebbe rivolgersi a nostro avviso l’opera di riforma riguarda le garanzie per le minoranze. L’adozione di sistemi elettorali prevalentemente maggioritari, che rende possibile il formarsi in Parlamento di maggioranze nettamente delineate ed anche ampie, ma rappresentative spesso di minoranze (sia pure le minoranze più consistenti) del corpo elettorale, indebolisce di per sé il valore di garanzia che, nel vigore di sistemi elettorali proporzionali, discendeva dalle regole costituzionali le quali impongono maggioranze più elevate di quella semplice per l’adozione di determinate deliberazioni (ad esempio delle leggi di revisione costituzionale) o per l’elezione di organi di garanzia. Infatti alla più larga maggioranza parlamentare può non corrispondere, dati gli effetti del sistema elettorale maggioritario, una maggioranza più larga (o anche una maggioranza tout court) dell’elettorato. Ma poiché permane il valore di garanzia insito nel richiedere il consenso delle minoranze o almeno di una parte di esse in questo tipo di deliberazioni o di elezioni, si rende necessario elevare convenientemente le maggioranze ora richieste, ed introdurre se del caso altri meccanismi di garanzia, per far sì che divenga di nuovo probabilmente necessario il concorso di almeno una parte delle opposizioni. A questo proposito si deve per inciso sottolineare che la presenza delle minoranze in Parlamento (sia pure con una rappresentanza non proporzionale alla loro consistenza elettorale) appare un elemento costituzionalmente necessario proprio perché possano funzionare tali meccanismi di garanzia. Il che comporta fra l’altro la necessità di rifiutare ulteriori riforme elettorali (come la completa abolizione delle quote proporzionali, specie se resta ferma l’elezione nei collegi a maggioranza relativa) suscettibili di portare ad una totale scomparsa della rappresentanza parlamentare delle minoranze. Viceversa una riforma che introduca il doppio turno (senza abolire le quote proporzionali) sarebbe da appoggiare, in quanto farebbe sì che gli eletti siano espressi da una reale maggioranza di votanti, e non solo dalla minoranza più consistente. Le riforme in questo ambito dovrebbero concernere i seguenti aspetti:
a) l’elevazione a due terzi della maggioranza necessaria per l’approvazione in seconda deliberazione, da parte delle Camere, delle leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali (art. 138 della Costituzione), accompagnata dalla previsione in ogni caso della possibilità per le minoranze (un quinto dei membri di una Camera, 500.000 elettori, cinque consigli regionali) di chiedere il referendum “di appello” sulla legge costituzionale approvata dal Parlamento. Il referendum potrebbe essere chiesto anche solo per taluni dei gruppi di disposizioni omogenee contenute nella legge di revisione, e dovrebbe comunque svolgersi separatamente su ciascuno di tali gruppi di disposizioni omogenee;
b) si potrebbe prevedere altresì l’innalzamento a due terzi o a tre quinti dei componenti di ciascun ramo del Parlamento della maggioranza necessaria per l’approvazione o la modifica dei regolamenti parlamentari (art. 64 della Costituzione);
c) l’elevamento a due terzi dei componenti del Parlamento in seduta comune integrato dai delegati regionali della maggioranza richiesta per l’elezione del Presidente della Repubblica, anche dopo il terzo scrutinio (art. 83 della Costituzione): salvo stabilire, per ovviare all’ipotesi di mancato accordo su di una candidatura, che se non si sia provveduto all’elezione entro un termine rigoroso le Camere sono sciolte di diritto;
d) la statuizione di una maggioranza di due terzi del Parlamento in seduta comune per l’elezione di un terzo dei giudici della Corte Costituzionale (art. 135 della Costituzione) e di un terzo dei componenti elettivi del Consiglio superiore della magistratura (art. 104 della Costituzione): stabilendo che, se l’elezione non sia intervenuta entro un termine rigoroso, i giudici costituzionali mancanti siano cooptati dalla stessa Corte Costituzionale, mentre per il Consiglio superiore della magistratura si potrebbe prevedere che esso in tal caso funzioni anche se incompleto nella sua composizione (ciò per evitare il rischio di paralisi degli organi).
7. Il terzo ambito di riforma dovrebbe riguardare il Governo e il Parlamento. Per quanto riguarda quest’ultimo, una modifica discenderebbe già dall’attuazione del nuovo disegno regionalistico cui si è accennato. La trasformazione del Senato in “Camera delle Regioni” comporterebbe necessariamente il superamento del principio del bicameralismo perfettamente paritario: il compito di conferire o di revocare la fiducia al Governo dovrebbe essere riservato alla sola Camera dei deputati; ai fini dell’attività legislativa ordinaria si potrebbe limitare il concorso necessario di entrambe le Camere ai soli casi delle leggi che incidano sui rapporti con le Regioni oltre che delle leggi che disciplinano aspetti dell’ordinamento che debbono essere sottratti alla semplice potestà di indirizzo della maggioranza di governo; per le altre leggi il concorso del Senato potrebbe essere solo eventuale e comunque contemplare la prevalenza finale della Camera dei deputati in caso di dissenso. Per quanto attiene ai rapporti fra Governo e Parlamento, più che incidere sugli aspetti strutturali (modalità di formazione del Governo, rapporto fiduciario) – al cui proposito si potrebbe però sancire la incompatibilità fra cariche di governo e ufficio di parlamentare, ed eliminare il riferimento della Costituzione ai ministeri, onde consentire maggiore libertà nella scelta dei modelli amministrativi – varrebbe la pena di introdurre modifiche quanto al riparto dei compiti fra i due poteri. Nella nostra tradizione la legge non incontra limiti di contenuto se non quelli discendenti dalle norme della Costituzione, e può dunque delimitare a piacere o anche escludere lo spazio in cui si esplica la potestà regolamentare del Governo. Ciò comporta il noto fenomeno dell’inflazione legislativa, a cui si collega l’abuso della decretazione di urgenza. La legge oggi può anche, con pochi limiti, assumere il contenuto proprio di atti amministrativi, non sussistendo alcuna “riserva di amministrazione”. Questa situazione merita di essere rivista, in quanto provoca, con la crescita immensa della produzione normativa, il formarsi di una legislazione poco coordinata e permeabile alla spinta di molti interessi particolari. Una linea di riforma in questo campo a nostro avviso potrebbe così configurarsi:
a) Ferme le riserve di legge previste dalla Costituzione (salvo che in alcune materie come l’organizzazione amministrativa), si potrebbe sancire in Costituzione il divieto di legiferare, se non con contenuti di principio, in alcune materie (o in tutte le materie non riservate alla legge): così istituendo vere e proprie riserve di regolamento, in particolare in materia di organizzazione amministrativa, a cui riguardo è necessario attribuire al Governo il potere di conformarla liberamente, nel rispetto dei principi di imparzialità, buon andamento e trasparenza;
b) parallelamente, si potrebbe sancire il divieto, quanto meno in certe materie, di leggi provvedimento, garantendo la separazione fra momento della produzione normativa e momento dell’applicazione amministrativa della norma in base a procedimenti legalmente disciplinati. Si rafforzerebbe così il principio di legalità nella sua portata sostanziale e si rafforzerebbero le garanzie dei singoli rispetto all’amministrazione;
c) la riduzione dell‘area della legislazione (oggi affidata solo a poco efficaci processi volontari di delegificazione) dovrebbe accompagnarsi ad una rigorosa disciplina del decreto legge, prevedendo ipotesi tassative in cui può farsi ricorso a questo strumento, divieto di emendamenti in sede di conversione, divieto di reiterazione anche sostanziale del decreto legge decaduto anche per mancata conversione nei termini e non solo per un esplicito voto contrario in Parlamento;
d) andrebbe disciplinato l’esercizio del potere di bilancio del Parlamento, vietando la presentazione di iniziative e di emendamenti comportanti aumento di spese o il condizionamento della loro procedibilità al consenso del Governo o meglio del Presidente del consiglio e del responsabile del Tesoro;
e) per converso sarebbe necessario sancire il controllo parlamentare preventivo su tutti i trattati o accordi internazionali anche non soggetti a ratifica da parte del Capo dello Stato.
8. Vi sono infine le questioni più specifiche in ordine alle quali l’attuale disciplina costituzionale può apparire lacunosa o insoddisfacente. Nel primo caso (disciplina lacunosa) occorre peraltro tenere presente sia la capacità naturalmente “espansiva” dei principi costituzionali, che, soprattutto attraverso l’opera della giurisprudenza costituzionale, consente di trarre da essi indicazioni e indirizzi anche su questioni sulle quali il testo apparentemente tace (potrebbe essere ad esempio il caso del diritto alla riservatezza delle persone o della tutela dell’ambiente); sia l’opportunità di evitare troppo precoci “costituzionalizzazioni” di principi e regole in ambiti nei quali non siano ancora maturate indicazioni univoche sicuramente convincenti. Una “lacuna” che potrebbe essere opportuno colmare concerne la questione del diritto alla informazione e della proprietà dei mezzi di comunicazione. La statuizione espressa dei principi del pluralismo informativo, del controllo della proprietà dei mezzi di comunicazione e dell’accesso ai mezzi e alle reti di comunicazione potrebbe utilmente integrare l’attuale disciplina costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero.
9. Un altro aspetto riguardo al quale potrebbe essere opportuno integrare la Costituzione, in una linea di rafforzamento delle garanzie costituzionali, potrebbe riguardare l’introduzione di un ricorso diretto (da disciplinare opportunamente) dei cittadini alla Corte Costituzionale, una volta esperiti gli altri rimedi consentiti, nel caso di violazione dei diritti fondamentali. In tal modo verrebbe perfezionato il sistema delle garanzie là dove è più importante che esso non presenti lacune e che eventuali disfunzioni siano rimediabili, cioè nel campo dei diritti della persona.
10. Una questione che merita revisione in quanto la soluzione accolta nel testo costituzionale è rimasta priva di attuazione non per semplice inerzia o ritardo, ma per una sorta di tacito accordo a ritenere inopportuna tale attuazione, è quella dell’ordinamento sindacale: si tratta in particolare del sistema fondato sulla registrazione dei sindacati e sulle rappresentanze unitarie per la stipulazione dei contratti collettivi, previsto dall’ art. 39 della Costituzione. Peraltro dovrebbero comunque rimanere fermi i principi non solo della libertà e del pluralismo sindacale, ma anche dell’uguaglianza fra associazioni sindacali.
11. Il percorso per giungere a introdurre le riforme di cui si è detto non può che essere quello previsto dalla Costituzione per la revisione costituzionale (art. 138, modificato nel senso già visto). L’elaborazione dei progetti potrebbe essere affidata ad un’apposita commissione, in cui fossero rappresentati tutti i gruppi presenti in Parlamento, e che però dovrebbe riferire al Parlamento. Non condividiamo invece l’idea di eleggere un’apposita assemblea costituente, sia pure con metodo proporzionale: perché essa assumerebbe inevitabilmente poteri non derivati dall’attuale Costituzione e perciò potrebbe sottrarsi ai limiti oggi esistenti per la revisione costituzionale e incidere sui principi supremi dell’ordinamento costituzionale; perché avallerebbe l’idea di un “processo costituente” che parte da zero, con la rottura della legalità costituzionale vigente e che potrebbe aprire il varco a esiti pericolosi ed imprevedibili; perché tale metodo comporterebbe una sostanziale elusione della rigidità della Costituzione, che rappresenta un principio supremo inderogabile; e perché la contemporanea esistenza del Parlamento e di un’altra assemblea elettiva porterebbe inevitabilmente al rischio di contrasti e contrapposizioni. In concreto pensiamo a distinte leggi di revisione, una per ciascuno degli ambiti di materia sopra delineati. In pochi anni, se c’è sufficiente consenso, si possono con questo metodo realizzare incisive riforme, senza indulgere al mito (e senza correre il rischio) di una revisione “totale”: così come, per esempio, ha fatto la Germania dopo l’unificazione, con una serie di leggi di revisione costituzionale. La legge costituzionale che modifichi lo stesso procedimento di revisione, eventualmente prevedendo nello stesso contesto anche le altre modifiche di cui si è detto a rafforzamento delle garanzie, dovrebbe logicamente precedere le altre, così da consentire di applicare la nuova procedura ai fini della realizzazione delle riforme relative agli altri. ambiti. L’approvazione della legge costituzionale di modifica dell’art. 138, attraverso il consenso dei vari schieramenti presenti in Parlamento, verrebbe a sancire solennemente il rinnovato “patto” costituzionale, impegnando ogni forza politica a non cercare di utilizzare, in caso di vittoria elettorale, il procedimento di revisione costituzionale per ottenere modifiche di regole a proprio esclusivo favore e al di fuori di un largo accordo. Fino a quando questo accordo non vi sia, e non sia tradotto in riforme approvate con le debite procedure, deve chiedersi a tutti il rigoroso rispetto della Costituzione vigente, dal cui quadro di legalità non possiamo e non dobbiamo uscire. Agli organi di garanzia – Capo dello Stato, Corte Costituzionale, magistrature – chiediamo di vigilare, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, per assicurare tale rispetto.
GRUPPO PROMOTORE
Enzo Balboni | Valeria Onida |
Alberto Martinelli | Riccardo Terzi |
Franco Monaco | Roberto Vitali |
HANNO FINORA ADERITO
Sandro Antoniazzi Mino Martinazzoli Franco Bassanini Guido Martinotti Luigi Bazoli Angelo Mattioni Giancarlo Bosetti Carlo Monguzzi Luciano Caini Guido Neppi Modona Luigi Campiglio Alessandro Pace | Lorenzo Cantù Antonio Panzeri Paolo Corsini Luciano Pazzaglia Guido Corso Savino Pezzotta Pino Cova Franco Pizzolato Cesare Damiano Fausto Pocar Paolo Danuvola Franco Rampi | Ugo De Siervo Stefano Rodotà Leopoldo Elia Claudio Sabattini Vittorio Foa Francesco Silva Gustavo Ghidini Vittorio Spinazzola Fiorella Ghilardotti Carlo Stelluti Enrico Gualandi Natalino Stringhini | Gianni Italia Rolando Tarchi Andrea Lepidi Cesare Trebeschi Nicola Lipari Salvatore Veca Antonio Lisene Roberto Zaccaria Marilena Adamo Angelo Airoldi Silvano Ambrosetti |