OLTRE LA ROUTINE, OLTRE LA SCONFITTA
di Riccardo Terzi
È sicuramente utile cercare di reimpostare il dibattito sindacale sulla base di una “chiara ricognizione dello stato delle cose”, come suggerisce Gianni Ferrante.
Si tratta, in altri termini, di verificare se c’è tra noi accordo innanzi tutto sull’analisi del processo sociale degli ultimi anni e del ruolo che in esso ha svolto il movimento sindacale.
È corretto parlare, per gli anni 80, di una “sconfitta”? Io credo di sì, e appunto per questo è indispensabile un’attenta riflessione critica, e non può bastare la considerazione consolatoria dei risultati che pur si sono conseguiti e della forma organizzata che si è mantenuta a livelli apprezzabili. È quindi del tutto insufficiente la navigazione a vista di chi si affida alle virtù di un pragmatismo privo di strategia.
In che senso si è consumata una sconfitta in questo ultimo decennio? La risposta non è affatto scontata. Essa va cercata, a me pare, nell’insieme dei processi di trasformazione che hanno investito le società occidentali, nella dinamica oggettiva di questo processo, nella nuova dislocazione dei poteri che ne è derivata.
Le spiegazioni “soggettivistiche” non colgono nel segno: esse riducono tutta la questione a uno scontro politico nel movimento sindacale, al prevalere di posizioni culturalmente subalterne, a un processo di “integrazione” del movimento sindacale che tende a divenire un elemento di supporto del regime politico. In breve, il sindacato ha perso perché si è lasciato disarmare.
La conclusione che ne deriva è tutta politica, e volontaristica. Ed è rivolta all’indietro, al recupero di una combattività e di un’autonomia di classe che si sono offuscate.
Penso che questa lettura, diffusa nei settori della sinistra sindacale, sia di scarsissimo aiuto, e conduca ad una posizione fatalmente minoritaria e perdente. Perché sostituisce all’analisi del problema l’individuazione del nemico.
Perché vede errori, o ritardi, a cedimenti, là dove c’è un processo materiale che ha completamente modificato il terreno dell’agire sindacale.
Il punto di partenza dell’analisi è la rivoluzione tecnologica, con le sue straordinarie conseguenze e con i suoi effetti persuasivi sull’intera organizzazione sociale.
L’incorporazione organica della scienza nel sistema di produzione, la priorità dell’informazione come essenziale risorsa nel funzionamento dell’impresa, l’internazionalizzazione delle strategie, la concentrazione delle sedi di comando e di decisione, tutto ciò sposta i rapporti di potere su un terreno nuovo, estraneo all’esperienza del sindacato, per il quale ancora mancano strumenti adeguati di intervento e di controllo.
I tradizionali punti di forza del sindacato non sono più tali, perché il cuore della fabbrica non è più la catena di montaggio, ma è il sistema informatico; e il cuore del meccanismo sociale non è la grande fabbrica fordista, ma è l’impresa-rete il cui potere è diffuso, articolato, non concentrato in un punto; e la scala delle decisioni non è più nazionale, ma mondiale, il che mette in crisi gli istituti tradizionali della democrazia politica. In questa crisi è coinvolta anche l’istituzione dei sindacato che è cresciuta dentro quel modello politico. Il sindacato finisce irrimediabilmente spiazzato, tagliato fuori dal circuito delle reali sedi decisionali se non riesce ai compiere a sua volta una straordinaria innovazione del suo stile di lavoro, del suo sapere, delle sue risorse organizzative. Senza di ciò la subalternità è nelle cose, e non dipende dalla soggettività politica, ma dall’incapacità di comprendere e di padroneggiare i processi reali.
Se questa analisi è corretta allora la questione strategica che sta prima di ogni altra è il rapporto del sindacato col nuovo sistema di potere: come intervenire a questo nuovo livello, come costruire un potere sindacale in grado di incrociare i percorsi reali del potere, di confrontarsi con le strategie, di produrre una propria autonoma progettualità. Dire sindacato dei diritti non basta, perché in questione è preliminarmente la capacita stessa del sindacato di agire come una forma efficace nel nuovo conflitto di forze che il processo di modernizzazione ha dispiegato su scala mondiale.
Partirei da queste premesse per ridiscutere la strategia del sindacato. E le premesse sono tali da riproporre il tema dell’unità sindacale come un obiettivo politico necessario, perché è difficilmente immaginabile un salto di qualità nell’iniziativa sindacale se restiamo […] alle piccole logiche di bottega, al particolarismo degli interessi, se non abbiamo la forza di un progetto più alto, che superi la concorrenzialità di organizzazioni sindacali chiuse nella propria autodifesa.
Un tale progetto deve rispondere al problema essenziale della democrazia economica, del controllo sociale, del potere reale di intervento dei lavoratori. E in quest’ottica va rivisitata tutta la nostra politica rivendicativa, e vanno individuare nuove forme di partecipazione del sindacato nelle imprese e nelle sedi istituzionali.
Si tratta di un’azione che deve svolgersi su diversi livelli, dall’alto o dal basso, nell’articolazione concreta della società e nei punti chiave della decisione politica, superando le unilateralità che hanno spesso diviso artificiosamente le organizzazioni sindacali.
L’unità sindacale può avere qualche prospettiva di successo solo se la discussione, in ogni caso non facile, viene impostata sul suo proprio terreno non come riflesso dei processi politici. La via politica all’unità sindacale è destinata in partenza al fallimento, perché sarà esposta ai condizionamenti, ai giochi tattici, agli interessi divergenti delle singole forze politiche.
D’altra parte, dobbiamo pensare a una unità capace di fare convivere le differenze, ed essa quindi presuppone l’intesa su alcuni punti generali di analisi, su alcuni valori fondanti, e non richiede il preliminare accordo su tutti i diversi e molteplici problemi in cui si articola la concreta azione rivendicativa e contrattuale.
Perché sia possibile la convivenza di posizioni diverse, è indispensabile un accordo chiaro sulle regole, sul sistema di democrazia nel rapporto con gli iscritti e con i lavoratori. Dovrebbero valere, in questo caso, le regole fondamentali della democrazia politica, di cui si esalta il valore universale, e che vengono invece, in modo assai disinvolto, stravolte e negate nell’attività sindacale.
I lavoratori devono eleggere liberamente le loro rappresentanze, secondo principi di proporzionalità, e il potere di decisione deve esistere in quanto si fonda sul consenso della maggioranza.
Le modalità concrete possono variare, possono esserci diverse soluzioni tecniche ma è indispensabile l’affermazione nitida di un orientamento generale che sia conseguentemente democratico.
Così, analogamente, potranno esserci diversi modi di combinare la democrazia di organizzazione e la democrazia di massa, ma è chiaro che il sindacato deve rispondere delle sue scelte a tutti i lavoratori, perché queste scelte producono effetti di carattere universale.
Il contrasto su questi princìpi rappresenta oggi un ostacolo al progetto unitario. Ma è anche vero che questa diversità di concezioni è a sua volta il frutto della divisione sindacale, della concorrenzialità delle organizzazioni e che in una prospettiva unitaria alcune divisioni e diffidenze potrebbero più agevolmente essere superate.
Forse è giunto il momento di discutere seriamente di tutte queste questioni, di avviare un confronto, il più impegnativo possibile, sulla strategia, sul ruolo del sindacato, sulle regole. Non abbiamo alternative. Il sindacato, così come è oggi, con le sue divisioni, con le sue strutture burocratizzate, che non vanno oltre una dignitosa routine, non ha un grande futuro. E più è evidente la sua inadeguatezza più cresce la sfiducia dei lavoratori, che assume talora la forma di una dichiarata contestazione.
Questo è oggi lo stato delle cose. Dobbiamo muoverci per tempo per trasformarlo. E solo uno straordinario sforzo unitario può raggiungere questo risultato.
Busta: 2
Estremi cronologici: 1990, marzo
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fotocopia pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Meta”, n. 3, marzo 1990, pp. 16-17