NOI LO SPI

Intervento di Riccardo Terzi

La mia esperienza nello SPI ha avuto luogo soprattutto a livello centrale, sono stato segretario regionale ma poi mi è stato chiesto di rendermi disponibile per la segreteria nazionale. Al regionale lombardo sono stato un paio d’anni, non di più. Ho fatto politica nel Partito Comunista, prima a Bergamo e poi a Milano, segretario della federazione del PCI negli anni dal 1975 al 1980, dopodiché ho scelto di fare un’esperienza sindacale, per la maggior parte nella CGIL nazionale. Arrivo allo SPI quando vado in pensione a sessant’anni, nel 2001, e divento segretario generale della Lombardia nel 2004, succedendo a Franco Rampi per lasciare il posto ad Anna Bonanomi nel 2006. Ho scoperto lo SPI essere una realtà molto complessa e ricca, costituita da persone che vengono da storie diverse, in cui c’è tutto il quadro attivo protagonista della stagione più alta del movimento sindacale, quella degli anni Sessanta e Settanta, un retroterra di esperienza storica molto forte. Ci sono anche tante persone avvicinatesi al sindacato soltanto con lo SPI, che non hanno una storia sindacale alle spalle, donne soprattutto, molte casalinghe o con un lavoro autonomo. Perché, oltre a essere il luogo in cui si incrociano le diverse storie sindacali, lo SPI si occupa del tema dell’invecchiamento e questo riguarda tutti, è un nodo, un passaggio critico che prima o poi interesserà ognuno di noi, per cui parlare di invecchiamento significa prendersi cura non soltanto degli aspetti strettamente economici, per quanto siano decisivi i livelli delle pensioni e le tariffe pubbliche, ma anche vedere la qualità della vita in ogni suo aspetto; ci sono persone che hanno bisogno di uscire dall’isolamento, di ricostruire una rete di relazioni per dare appunto al passare del tempo un carattere positivo nel riprogettare la propria vita in una fase diversa da quella che si è fin lì vissuta. Questo non è semplice, perché il passaggio dal lavoro alla pensione spesso è un avvenimento traumatico per chi da un giorno all’altro si trova a non avere un compito da svolgere. Molti partecipano ad attività associative, c’è il volontariato, ci sono le relazioni familiari e in una delle ricerche effettuate con l’Ires (Istituto di Ricerche Economiche e Sociali) a livello nazionale abbiamo valutato il contributo che le persone anziane danno alla vita sociale. Nelle reti familiari, nel volontariato c’è una ricchezza di impegno civile, ma ci sono situazioni di abbandono, di solitudine, di emarginazione che sono motivo di sofferenza, e qui sta la particolarità del sindacato dei pensionati, luogo in cui si ricostruiscono la socialità e una memoria che non dev’essere soltanto nostalgia, qui bisogna mettere a frutto l’esperienza passata guardando in avanti. Questo il senso che ho trovato nell’esperienza molto ricca dei dieci anni che ho passato nello SPI ai vari livelli. I servizi sono importanti per rispondere alle domande individuali, la pratica pensionistica o la dichiarazione fiscale, ma lo SPI in tutti questi anni ha puntato molto sulla contrattazione sociale, ottenendo risultati qualche volta modesti ma instaurando comunque una relazione con gli enti locali. In Lombardia abbiamo una pratica di negoziazione che riguarda i vari aspetti dell’attività comunale, le politiche sociali e assistenziali, che abbiamo sempre tenuto in evidenza nel confermare la nostra natura che è quella del sindacato, non una semplice struttura di servizio. Una negoziazione che diventa complicata, nel momento in cui sui comuni si scaricano i fulmini della crisi e gli effetti delle politiche dei vari governi, senza particolari distinzioni tra quelli di destra e quelli di sinistra, perché tutti hanno tagliato risorse mettendo alle strette le amministrazioni locali e riducendo i margini di contrattazione. Poi ci sono rapporti con l’Inps, l’Inca, il Caaf; l’Auser è già un’altra cosa, è un’associazione di volontariato in cui batte un cuore sindacale. Questo tipo di attività va comunque avanti, semmai lo SPI può lamentare la solitudine in cui viene lasciato su questo fronte, posto che la contrattazione sociale dovrebbe riguardare l’insieme del sindacato. Infatti, non ci sono soltanto gli anziani nel confronto con le politiche comunali che riguardano i giovani, il lavoro e tanti altri aspetti della vita dei cittadini, avremmo bisogno di un concorso più largo della CGIL e delle altre categorie, ma per quanto mi riguarda confermo che lo SPI non si deve limitare a essere una struttura prevalentemente di servizio, direi che questo non corrisponde alla realtà. E proprio sul tema dell’invecchiamento, per tornare a quanto dicevo prima, abbiamo fatto un convegno, De Senectute, per parlare di “Risorse e bisogni dell’età matura”; si è tenuto al Circolo della Stampa di Milano il 28 maggio 2004 e nella collana dello SPI Lombardia sono stati pubblicati gli atti, che presentavo in questi termini: «Abbiamo scelto per questo nostro incontro un titolo classico, De Senectute, per sottolineare come il tema dell’invecchiamento sia, fin dall’antichità, un grande motivo della riflessione filosofica, della ricerca intorno al significato della vita umana. E questo tema va oggi attualizzato, vedendo come esso si viene evolvendo nelle nuove condizioni della moderna società tecnologica e individualizzata. Che un’iniziativa come questa venga presa da un’organizzazione sindacale non deve stupire, perché il sindacalismo confederale si propone di guardare alla società, alla sua dinamica, dal punto di vista delle persone, per poterle rappresentare nella concretezza dei loro bisogni e delle loro attese. In questo senso il sindacato è una grande istituzione umanistica, che fa da contrappeso al dominio apparentemente neutro e oggettivo dell’economia e del mercato.»

E concludevo così: «La crisi della nostra società è crisi dello spazio pubblico, delle relazioni, della coesione sociale. Se la socialità si frantuma nell’individualismo competitivo, l’anziano è la prima vittima di questo processo e si trova destinato all’emarginazione. Questa rete sociale non può essere garantita in via esclusiva né dalla famiglia che costituisce, come abbiamo visto, uno degli elementi della crisi, né dallo Stato, i cui meccanismi hanno sempre un carattere impersonale, neutro, burocratico. È lo spazio sociale intermedio tra la famiglia e lo Stato che deve essere attentamente coltivato. Ma non c’è nessuno soluzione se non si attiva l’autonomia delle persone. Oltre la sfera delle relazioni sociali, c’è il lavoro individuale che ciascuno di noi deve elaborare con le proprie forze. Noi dobbiamo aiutare le persone o conquistare questa autonomia, offrendo tutti gli strumenti conoscitivi e relazionali per orientarsi nella complessità sociale. Ma non abbiamo una verità da proporre, un modello di vita, una regola. Ciascuno deve scegliere il suo cammino e interpretare la sua vita. Lo potrà fare meglio se non è lasciato o se stesso. Socialità e autonomia personale sono le due leve fondamentali che dobbiamo sapere utilizzare, e su queste basi possiamo costruire un futuro di speranza.

Erano intervenuti, tra gli altri, Salvatore Natoli, Fulvio Papi, don Virginio Colmegna. Dunque il tema dell’invecchiamento è rimasto al centro della mia esperienza allo SPI, che ora è il sindacato con più iscritti, in una società che sta cambiando direzione. Questo è un problema, come ci spiegano tutti i demografi, la tendenza in Italia è particolarmente accentuata ma interessa gran parte del mondo, aumenta il numero delle persone anziane e diminuisce la natalità quindi l’invecchiamento genera due processi: uno tutto sommato positivo (si muore un po’ dopo…), poi magari non si vive bene fino all’ultimo però è tutto spostato più avanti, e credo che l’Italia sia, dopo il Giappone, il paese dove la vita media è più lunga. Poi c’è il lato negativo, rappresentato dal calo della natalità, causata dalla crisi, dall’incertezza dei giovani, dalla precarietà del lavoro, dagli spostamenti di vita che comportano problematiche non da poco nell’equilibrio sociale complessivo. La decrescita della natalità è in parte compensata dall’immigrazione, mentre finisce il divario tra nord e sud che c’era in passato (quando si diceva che al nord si nasceva di meno), anche se adesso le cose sono cambiate ancora e forse si nasce meno in meridione che al settentrione; che poi nel sindacato aumentino i pensionati è il riflesso inevitabile dei cambiamenti sociali in atto. Si pone un problema di riorganizzazione del contatto coi propri iscritti, bisogna lavorare sul territorio, dandosi forme nuove di organizzazione. A proposito della contrattazione che facciamo, devo dire che non c’è un organismo a cui si risponde. In fabbrica è la Rsu, la Rappresentanza Sindacale Unitaria, titolare delle decisioni sugli accordi, da noi non c’è un organismo preposto in tal senso, per quanto si sia tentato qualche anno fa di muoversi in questa direzione, quando si parlava di Consigli di Zona. Ecco, credo che bisognerebbe rimettere in piedi qualche cosa di simile. Nello SPI non ci sono mai state tensioni o conflitti tra la dimensione regionale e quella nazionale, c’è sempre stato un equilibrio, una buona collaborazione, e devo dire che sono molto contento di aver fatto a suo tempo la scelta di stare nel sindacato, perché nel frattempo la politica è diventata un’altra cosa e quel mondo è crollato. È stata un’esperienza positiva perché il sindacato, pur con tutti i suoi difetti e limiti spesso di burocratizzazione, ha saputo mantenere un rapporto con la realtà, con cui deve fare i conti molto più di un partito politico, e alla fine la mia attività si è svolta fondamentalmente nel sindacato. Sono entrato in CGIL nel 1983, ho chiesto a Luciano Lama se potevo lavorare nel sindacato al centro, quasi da apprendista, mi disse “Vieni qui, impara” e poi sono venuto in Lombardia, dove sono stato a lungo nella segreteria generale con Pizzinato, con Bellocchio e poi ho fatto il segretario generale, quindi in Lombardia ci sono stato molto. E poi c’è questa dimensione SPI che per me si è rivelata una novità. Ora le cose sono cambiate, ma prima verso lo SPI c’era una specie di diffidenza, era considerato un’area di scarsa importanza. Atteggiamento che è andato via via cambiando perché lo SPI è riuscito a conquistarsi un peso politico all’interno della CGIL. Carla Cantone, così come Betty Leone con cui ho lavorato in segreteria nazionale, sono due donne con caratteristiche molto diverse ma entrambe di valore grazie a cui lo SPI ha conquistato un peso, una visibilità anche esterna, con la Cantone che va spesso in televisione. Ora sono tornato alla Camera del Lavoro di Milano, per organizzare l’Ufficio Studi.


Numero progressivo: V54
Busta: 63
Estremi cronologici: 2014
Autore: Luigi Marinoni (a cura di)
Descrizione fisica: Volume, ill, col., 160 pp.
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - SPI -
Pubblicazione: Mimosa, Milano, 2014