MA LA SEPARATEZZA GENERA UNA POLITICA IRRESPONSABILE

di Riccardo Terzi – Responsabile del Dipartimento ricerca dello SPI CGIL

Sostenere che il sociale non deve contaminarsi con la politica vuoi dire condannare l’associazionismo a una posizione di irrilevanza, alimentare la struttura verticale di politica e società, lasciare che la politica continui ad essere un potere irresponsabile, che non risponde democraticamente delle sue decisioni.

Quando si apre un dibattito, un confronto di posizioni, si tratta sempre di un fatto positivo. E quindi aderisco volentieri alla sollecitazione di Vita, anche perché il tema che viene sollevato, il rapporto tra il sociale e il politico, è davvero di primaria importanza. Ma il confronto è utile se le pozioni sono espresse con nettezza, con chiarezza, senza diplomazie, in modo che emerga in tutta evidenza qual è l’oggetto del contendere.

Questo mio contributo personale vuole esporre una tesi contrapposta a quella indicata nell’editoriale del magazine, la quale, nella sostanza, si basa su una netta e invalicabile separazione tra il campo del sociale e il campo della politica, al punto che il passaggio dall’uno all’altro campo viene visto come una sorta di tradimento, di abbandono delle proprie originarie ragioni, che verrebbero sacrificate a un disegno opportunistico di potere. Stupisce il ritrovare, in persone socialmente impegnate, quello spirito anti-politico e anti-partitico che è stato cinicamente cavalcato dalla destra, stupisce come non sì veda che queste sono le basi, teoriche e psicologiche, di una offensiva che colpisce al cuore la nostra vita democratica.

Io credo, all’opposto, che è proprio questa separatezza e questa incomunicabilità dei due campi una delle ragioni profonde della crisi italiana. Per cui c’è una politica senza radici e senza fondamento sociale, e c’è una società corporativizzata, fatta di segmenti, di movimenti parziali, senza che nessuno si misuri davvero con i nodi strategici che riguardano il nostro futuro come comunità nazionale.

 

La separazione come rottura verticale

Non si può criticare la politica per la sua autoreferenzialità, per i suoi interni meccanismi oligarchici, e nello stesso tempo lavorare perché questa separazione sia definitivamente sancita e sia resa irreversibile, perché ogni passaggio, ogni comunicazione fra i due campi è rifiutata a priori come una forma ibrida, come una commistione impropria. Anche Johnny Dotti, in modo ancora più deciso, liquida qualsiasi tentativo di agire sul terreno politico. In questo tipo di invettiva sento risuonare il vecchio livore conservatore contro la democrazia, contro l’idea che tutti possano avere accesso alle decisioni pubbliche. Possono non essere queste le intenzioni, ma questo è il risultato. Se infatti il sociale non può in nessun modo aprirsi ad una prospettiva politica, la conseguenza logica è che resta immutata e immodificabile una rottura verticale del Paese: una politica come sfera separata, e una società che non si solleva mai oltre la sua dimensione corporativa.

Certo, l’articolazione di questi due momenti è una articolazione di autonomie, ma è assolutamente decisivo che ci sia una comunicazione, uno scambio, una dialettica nella quale i due piani siano reciprocamente implicati. Una società che non abbia questa capacità di comunicazione è destinata all’immobilismo, perché tutto ciò che agisce nel sociale non produce nessun effetto politico, e la politica è solo la struttura di comando di un ceto separato e irresponsabile.

La nostra Costituzione indica chiaramente una diversa linea: il valore della partecipazione, il fatto cioè che tutte le decisioni politiche sono il risultato di un processo democratico al quale tutti hanno i titoli per concorrere, in un confronto pubblico aperto che non esclude nessuno. Il sociale, quindi, non è estraneo alla politica, anzi deve pretendere e conquistare una politica trasparente, partecipata, deve concorrere a costruire uno “spazio pubblico” nel quale ci sia per tutti una effettiva cittadinanza. Se non viene compiuto questo lavoro, per una vera e sostanziale democratizzazione delle nostre istituzioni politiche, tutta la realtà dell’associazionismo sarà solo una marginalità tollerata e impotente. E tutti quelli che strillano contro la contaminazione con la politica sono i primi responsabili di questa impotenza, perché hanno deciso di delegare ad altri quelle scelte che devono invece essere, secondo lo spirito della Costituzione, un affare di tutti.

 

Politica: un discorso di efficacia, non di verità

Naturalmente, fatta questa premessa generale, occorre poi esaminare quali sono le diverse proposte politiche in campo, e ciascuno potrà fare le sue personali valutazioni. Io ho aderito all’iniziativa di Cittadinanza Democratica, insieme a tanti altri esponenti dell’associazionismo laico e cattolico, perché penso che il progetto del Partito Democratico possa essere un’occasione di rinnovamento della politica, e penso che abbia bisogno, per ottenere i suoi obiettivi, di una larga partecipazione sociale, in modo che esso si configuri davvero come un fatto nuovo, come un tentativo serio di rimettere in comunicazione politica e società.

Sono valutazioni politiche ovviamente discutibili e contestabili. Chi ha in mente altri progetti, li dichiari e li sottoponga alla discussione pubblica: la politica è sempre un campo aperto a diverse ipotesi, a diverse sperimentazioni. Non è un discorso di verità, ma un discorso di efficacia. Sarebbe allora utile mettere a confronto i diversi progetti possibili. Se l’amico Pezzotta ha in mente di costruire un movimento pre-politico e di ispirazione cattolica, ha tutto il diritto di provarci, ma è allora evidente che qui non c’entra nulla l’autonomia del sociale, ma c’entra proprio quel rapporto tra verità e politica, nel senso che si vuole reintrodurre nel discorso politico un principio, un fondamento che gli è estraneo e che finisce per negare la laicità e l’autonomia della politica.

La democrazia funziona solo se c’è un confronto aperto, nel quale nessuno può far valere delle verità precostituite. E il nemico del nostro tempo, che rischia di avvelenare la nostra convivenza democratica, è proprio il fondamentalismo di tutti coloro, laici o credenti che siano, che pensano di potersi sottrarre al confronto, perché c’è qualcosa che viene prima e che vale più della democrazia.

 

La diversità come garanzia

Nel progetto del Partito democratico, il fatto nuovo e potenzialmente aperto a molti sviluppi positivi è proprio il suo essere un luogo di incontro e di confronto di diverse culture politiche. È questa una garanzia fondamentale sotto il profilo della laicità e dell’autonomia della politica. La stessa ispirazione religiosa può svolgere pienamente, in questo nuovo contesto, la sua essenziale funzione, proprio in quanto non si chiude in se stessa, ma cerca di tradursi in un messaggio etico e valoriale che abbia un significato umano di carattere universale. Il lavoro oggi necessario è quello di unire il Paese, di superare gli steccati, per far camminare insieme le diverse correnti democratiche e popolari che sono state la forza vitale della nostra Repubblica.

Partecipando a questa impresa non passiamo, in un altro campo, ma facciamo valere politicamente le ragioni del sociale, e cerchiamo quindi di spostare il discorso politico su un nuovo terreno, valorizzando tutta quella rete associativa che è stata un punto di forza e di coesione della nostra società. È per ora solo una scommessa, e l’esito ovviamente non è per nulla scontato. Ma chi pensa che non ce ne sia bisogno, che il sociale deve restare chiuso nella sua nicchia, si condanna a una posizione di irrilevanza e lascia che la politica continui ad essere un potere irresponsabile, che non risponde democraticamente delle sue decisioni, lascia cioè che la crisi della democrazia resti irrisolta, lasciando così il campo aperto alle demagogie e ai populismi.


Numero progressivo: E26
Busta: 5
Estremi cronologici: 2007, ottobre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - SPI -
Note: Bozza con piccole differenze rispetto al testo a stampa
Pubblicazione: “Communitas”, ottobre 2007, pp. 55-59. Ripubblicato in “Riccardo Terzi. Sindacalista per ambizione” col titolo “Non c’è politica senza radici e senza fondamento sociale”, pp. 45-48