L’INNOVAZIONE NECESSARIA

Sulle strategie sindacali

di Riccardo Terzi

Il panorama sindacale è in movimento, e tutte le nostre analisi e valutazioni devono essere necessariamente aggiornate. Forse non è ancora del tutto chiara la direzione in cui ci si sta muovendo, ma è chiarissimo che si è chiuso un ciclo politico, quel ciclo che ha trovato in Sergio Cofferati il suo principale ispiratore, e nella CGIL la forza trainante di una straordinaria mobilitazione. Tutta quella fase, così cruciale per la CGIL e per le sue prospettive, si reggeva su questo teorema: di fronte all’ offensiva della destra tutto il quadro tradizionale delle rappresentanze politico-sindacali è saltato, è stato travolto, e la CGIL, prendendo atto di questo fallimento, si candida in prima persona a guidare la riorganizzazione del campo della sinistra.

In questo schema, si rovescia la regola dell’autonomia, perché non c’è più un campo politico di riferimento che sia minimamente attendibile, e quindi viene meno la linea di confine tra il sociale e il politico. La CGIL sceglie di invadere il campo della politica, con un proprio progetto e con una ambizione egemonica, come dimostra l’intervento massiccio e del tutto inusuale nel confronto congressuale all’interno dei DS. Scatta quindi un meccanismo di estrema politicizzazione, di cui non ci sono precedenti. E si rovescia altresì il principio dell’unità sindacale perché nel momento in cui si tratta di organizzare una controffensiva vincente, con una valenza non solo sindacale ma politica, le mediazioni unitarie agiscono solo come un freno, come un impaccio. La rottura dell’unità sindacale, in questo contesto, era messa nel conto, come un prezzo inevitabile da pagare. Una fase, più o meno lunga, di autosufficienza della CGIL era dunque configurata come una necessità, come un passaggio obbligato. La divisione, insomma, non era il frutto di una contingenza, ma un azzardo consapevolmente voluto. Si è trattato di un progetto politico assai ambizioso, anche se nella sua sostanza velleitario e irrealistico. Ma occorre dire che esso ha saputo sprigionare anche delle straordinarie energie positive, con una grande mobilitazione di principio sull’inviolabilità dei diritti del lavoro, sulla centralità che il lavoro deve riconquistare nella vita democratica del paese. Nel nostro giudizio di oggi, entrambi questi lati vanno tenuti presenti: la velleità e la forza di mobilitazione, il negativo e il positivo, uniti in una combinazione che non è facile decifrare con un unico metro di valutazione.

Nella storia può accadere che anche un progetto politico infondato possa determinare una serie di effetti positivi. Così è avvenuto, ad esempio, negli anni trenta, con la svolta decisa dall’internazionale comunista, del tutto errata nei suoi presupposti di analisi, perché ipotizzava un’inesistente situazione rivoluzionaria, e da quella premessa ricavava la teoria aberrante del socialfascismo, ma tuttavia di grande efficacia ai fini dell’attivizzazione di una decisa linea di resistenza al fascismo, utilizzando tutte le risorse legali e soprattutto illegali, con un grande slancio morale e una straordinaria generosità personale nel mettere a rischio la propria esistenza. Si è parlato in proposito, di un errore provvidenziale. Ma la provvidenza non è infinita, e gli errori prima o poi bisogna saperli correggere. Anche la svolta ha potuto dare i suoi frutti migliori quando ci si è liberati degli schemi settari e si è posto, finalmente, il tema dell’unità antifascista.

Il paragone storico è un po’ azzardato, ma nella sua sostanza didascalica può funzionare. Ciò significa, tornando all’attualità della politica sindacale, che tutte le energie positive che il protagonismo della CGIL ha sprigionato vanno salvaguardate, che nulla di quella stagione deve essere rinnegato, ma che questo patrimonio positivo può oggi essere salvato solo se viene inquadrato in una nuova prospettiva strategica. Gli errori possono essere provvidenziali solo nella misura in cui si ha la forza di correggerli.

Ed è questo esattamente il nodo che la CGIL ha di fronte: ricollocare la sua forza, il suo prestigio, la sua presa di massa, in una nuova e più adeguata prospettiva. La domanda, a questo punto, è se questo riposizionamento strategico stia già avvenendo, se è questa la nuova impronta che caratterizza la direzione di Epifani. A questa domanda non saprei oggi rispondere con certezza, perché siamo ancora nel mezzo di un processo oscillante, ambivalente, non del tutto chiaro nei suoi obiettivi e nei suoi esiti. Lo stesso Epifani ha fin qui evitato pronunciamenti netti, correzioni esplicite, e sembra tenere aperto un ventaglio assai largo di possibili opzioni, per prudenza, per il condizionamento interno, o più probabilmente per il fatto di dover tenere conto di molte variabili tuttora imprevedibili nella loro dinamica. Non è ancora possibile, quindi, nessun giudizio conclusivo sulla gestione di Epifani, proprio perché la scelta compiuta è quella di una navigazione prudente, che non si chiude a nessuno dei possibili sbocchi. Si può discutere, naturalmente, di questo stile di direzione, delle ambiguità che non vengono sciolte, dell’essere quindi la CGIL in una posizione costantemente in bilico. Ma forse è una fase di passaggio che dobbiamo attraversare, senza avere l’impazienza di avere già tutto confezionato un nuovo quadro di riferimento strategico, che può solo maturare attraverso i processi tortuosi della politica. Ma un processo di cambiamento è comunque avviato, anche se non è chiaramente esplicitato nella sua direzione di marcia. La discussione che oggi è necessaria riguarda questa situazione presente, ancora incerta ma comunque mutata. Non avrebbe senso, oggi, riprodurre gli stessi schieramenti, gli stessi schemi di valutazione politica, che si erano definiti in una fase precedente. Perché, appunto, tutta la situazione è messa in movimento.

A questo movimento hanno contribuito diversi fattori, sindacali e politici. Ha contribuito la CGIL, che ha ricominciato a tessere la sua tela unitaria, con pazienza e con un atteggiamento di attenzione e di rispetto per le posizioni delle altre organizzazioni sindacali, hanno contribuito in misura non inferiore la CISL e la UIL, che hanno cercato di uscire dal vicolo cieco di un accordo col governo che non riusciva a produrre nessun risultato concreto. Gli stessi rapporti con le controparti imprenditoriali, dopo il fallimento del collateralismo governo-confindustria, appaiono oggi più aperti, meno condizionati dalle ragioni della politica. Il risultato di tutti questi spostamenti e aggiustamenti è la ripresa dell’iniziativa unitaria, con atti impegnativi e con una forte convergenza politica che fino a poco tempo fa veniva data come irrealistica. C’è una piattaforma, c’è stato lo sciopero generale, la mobilitazione dei pensionati, e c’è la comune convinzione che la strada imboccata debba avere una sua continuità e coerenza, per costringere il governo a ricontrattare con il sindacato non i dettagli, ma l’asse generale della sua politica economica e sociale. È un fatto nuovo, di straordinario valore. Chi ha puntato tutte le sue carte sulle ragioni dell’unità, anche nel momento in cui essa appariva lacerata e messa fuori gioco, non può oggi non vedere questo mutamento, e non mettersi quindi in una posizione costruttiva, per incoraggiare e consolidare il processo nuovo che si è avviato, pensando all’oggi e non più alle polemiche del passato. Questo è oggi il problema: consolidare il processo unitario, in modo che esso diventi davvero stabile e non più reversibile.

Il tema dell’unità sindacale si ripropone oggi come il nodo di fondo, sul quale si misurano le diverse opzioni politiche e strategiche. L’unità, che oggi è stata finalmente recuperata, può essere infatti intesa secondo due diverse prospettive. Può essere una necessità solo difensiva, perché c’è l’attacco della destra, perché c’è un’emergenza sociale e democratica che possiamo fronteggiare efficacemente solo se garantiamo l’unità d’azione. Intendiamoci, è questo già un passaggio assai importante, positivo, che rappresenta una prima essenziale presa di coscienza delle responsabilità comuni che le organizzazioni sindacali debbono svolgere, in una situazione di grave crisi del nostro ordinamento democratico e della coesione sociale del paese. Ma l’unità difensiva è solo un passaggio tattico, che regge solo fino a quando c’è un’emergenza comune da affrontare. Ci limitiamo a questo livello, o ci proponiamo di andare oltre e di costruire un’unità strategica, superando lo stadio dell’attività solo difensiva? Se ci si pone in questa prospettiva, allora c’è tutto un lavoro assai impegnativo di rielaborazione della strategia sindacale, di fronte ai mutamenti della società italiana. È questo, a me sembra, il passaggio da fare.

Ora, una proposta strategica che ridefinisca il ruolo del sindacalismo confederale, come ruolo autonomo, non piegato alle contingenze della lotta politica, chiama in causa anzitutto un problema: il sistema delle relazioni, il quadro delle regole nei rapporti con le controparti politiche e sociali, per un rilancio efficace della concertazione e della politica dei redditi. Pensare di sfuggire a questo nodo, e illudersi di poter riaprire una nuova stagione conflittuale, senza nessuna cornice istituzionale, è un errore di prospettiva che può alla fine rivelarsi catastrofico. Puntare tutto sulla prova di forza non è mai un segno di saggezza, e lo è tantomeno nel momento in cui la forza contrattuale si trova a essere obiettivamente indebolita dalle trasformazioni che sono avvenute nel mercato del lavoro. L’accanimento polemico di alcuni settori sindacali verso il protocollo Ciampi del 1993 è l’effetto di una prospettiva di valutazione del tutto rovesciata, perché non a quell’accordo ma alla sua mancata applicazione sono da attribuire le responsabilità politiche di una perdita di ruolo e di potere del mondo del lavoro.

C’è, insomma, l’idea del tutto errata che la concertazione sia solo una gabbia, di cui è bene liberarsi per riprendere la nostra libertà di azione. Con quali risultati, con quali esiti contrattuali? Sotto questo profilo, è assai significativa la discussione che si è aperta nella FIOM, avviata verso un congresso straordinario. E proprio l’esperienza pratica della FIOM, in questi anni, dimostra come al radicalismo presunto dell’azione sindacale corrisponda puntualmente la difficoltà a strappare dei risultati concreti, a far valere un ruolo contrattuale efficace.

È questa la prospettiva, quella di un’azione di testimonianza politica, che chiama i lavoratori ad uno scontro frontale senza realistiche prospettive di successo? Mi pare chiaro che la CGIL non potrà seguire queste suggestioni, e che già sta lavorando per una diversa prospettiva. Il percorso sarà sicuramente duro e aspro, perché siamo dentro un quadro politico assai difficile, nel quale le ragioni del lavoro faticano ad essere riconosciute e ad affermarsi. Non c’è una strada agevole, lineare. E quindi la discussione non è tra moderazione e conflitto, tra minimalisti e massimalisti, ma riguarda l’efficacia e la produttività concreta delle diverse possibili linee di iniziativa sindacale. È troppo facile salvarsi l’anima attribuendo tutte le colpe al presunto moderatismo dei gruppi dirigenti del sindacato, senza fare i conti con la durezza materiale dei rapporti di forza. E i rapporti di forza, che sono alla fine l’unica cosa che conta, si spostano in avanti se c’è l’unità, e precipitano quando l’unità viene smarrita. Allora, la CGIL deve ripensare al suo ruolo in questo nuovo contesto. E deve lavorare su quelli che sono oggi i punti critici, gli elementi di debolezza, i quali si riferiscono in primo luogo a tutta l’area del lavoro giovanile, che non ha forza organizzata, non ha diritti consolidati, non ha, in molti casi, nessuna seria prospettiva di affermazione professionale nel lavoro.

Si tratta cioè di agire sui punti più critici per allargare la nostra rappresentanza e aumentare la forza contrattuale. In questa direzione si deve costruire un progetto sindacale unitario, con coraggio innovativo, con un grande investimento di risorse, di progettualità, nella direzione delle nuove forze del lavoro. Altrimenti il sindacato mancherà delle energie necessarie per rinnovarsi e per preparare il proprio futuro. Se guardiamo in avanti, al destino del sindacato nel prossimo futuro, tutto il bagaglio delle appartenenze e delle identità di organizzazione appare solo come il retaggio di una storia passata, e non ci aiuta ad affrontare le nuove sfide. Questo è il punto cruciale: che gli integralismi di organizzazione guardano al passato, mentre l’unità è la chiave per guardare al futuro. In tutta questa discussione, le vicende della politica c’entrano assai poco. Anzi, occorre radicalizzare il principio dell’autonomia sociale, evitando in ogni modo che il sindacato diventi un terreno di conquista e di colonizzazione da asservire a qualche progetto politico, quale che sia. L’autonomia del sindacato è nella sua capacità di fare rappresentanza sociale, di intercettare e rappresentare i bisogni reali del mondo del lavoro, nella loro immediatezza, senza costringerli dentro schemi ideologici precostituiti. La discussione di cui la CGIL ha bisogno riguarda quindi esclusivamente le strategie sindacali.

Ed è proprio per riconquistare autonomia che la CGIL deve compiere oggi delle scelte innovative, perché abbiamo alle spalle un periodo in cui le ragioni dell’autonomia sono state di fatto sacrificate a un progetto politico. Unità e autonomia, d’altra parte, procedono sempre insieme, sono i due lati di uno stesso processo. E sono questi due lati che oggi dobbiamo saper ricongiungere. Io credo che lungo questa prospettiva si possa raccogliere nella CGIL uno schieramento assai largo e maggioritario. I tempi sono maturi per un cambio di marcia. Non servono piccole battaglie correntizie, di testimonianza, ma serve un progetto largo e aperto, che metta la CGIL, con tutte le sue più vitali energie, nelle condizioni migliori per svolgere appieno il suo ruolo nella fase attuale, per il rilancio del sindacalismo confederale e della sua unità strategica.


Numero progressivo: E34
Busta: 5
Estremi cronologici: 2004, maggio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - SPI -
Note: Con bozza
Pubblicazione: “Argomenti umani”, maggio 2004, pp. 54-57