L’EDUCAZIONE DEL CAPO E L’ARTE DI DECIDERE

Largo consenso, decisioni rapide ecco l’economia che proponiamo

di Riccardo Terzi

Dice Riccardo Terzi, CGIL: occorre individuare procedure di confronto e di partecipazione del sindacato che non abbiano un effetto paralizzante. D’altra parte i processi di innovazione tecnologica e organizzativa sono davvero incisivi se si basano su una consapevole partecipazione dei lavoratori interessati. Lo sbocco? Non è la cogestione.

 

È in atto un inasprimento dello scontro sociale. L’offensiva dei gruppi dirigenti capitalistici è condotta a viso aperto, con una enunciazione esplicita dei propri obiettivi. Il fatto nuovo è che viene posta, in modo diretto, una questione di potere, di spostamento dei rapporti di forza, di recupero di potere decisionale autonomo da parte delle imprese.

L’oggetto del conflitto non è qualche singolo aspetto della politica sindacale, ma è il ruolo del sindacato, la sua forza contrattuale quindi la ridefinizione dei rapporti di potere all’interno dell’impresa. La linea della Confindustria ha una sua coerenza e compattezza in quanto è finalizzata a un obiettivo preciso, quello appunto di ristabilire le condizioni per una gestione “autocratica”, sottratta il più possibile ai vincoli della contrattazione sindacale.

Per questo il negoziato in corso è di così ardua soluzione, perché è in gioco una questione di principio, una pregiudiziale politica, di fronte alla quale gli spazi di mediazione sono estremamente ristretti. È aperto dunque un problema non solo sindacale, ma politico, perché si tratta di definire questi assetti di potere e quali procedure decisionali debbano valere nella sfera economica. La sinistra, in tutte le sue diverse espressioni politiche, non può non essere investita da questo problema e coinvolta in questo scontro sociale, che tocca la sua stessa ragion d’essere. Se infatti ha ancora un senso il concetto di “sinistra”, esso si riferisce in primo luogo alla necessità di una redistribuzione democratica del potere, e il filo conduttore di un partito di sinistra non può che essere in una linea di democratizzazione, di riappropriazione sociale dei poteri di decisione, nei diversi campi.

Nella sfera economica, i processi democratici si sono sviluppati con più lentezza e con più difficoltà, non solo per la resistenza degli interessi costituiti, ma anche per una debolezza di elaborazione della sinistra, che non ha saputo definire in modo compiuto un sistema di regole e di procedure capaci di configurare un sistema di “democrazia economica”, Anche per questo l’attuale offensiva dei gruppi capitalistici costituisce un’insidia reale, perché non si è costruito un sistema efficace di difesa.

La sinistra non ha saputo definire in modo chiaro una propria concezione dell’impresa, oscillando tra velleità dirigistiche, che hanno sistematicamente fatto fallimento, e atteggiamenti di rinuncia, che hanno assunto in modo acritico e subalterno il principio dell’autonomia dell’impresa.

A questo stato di cose ha certamente concorso una posizione presente nel movimento sindacale, e tuttora radicata, secondo la quale contano soltanto i rapporti di forza che si conquistano nella lotta, escludendo pertanto ogni intervento “esterno”, ogni regolamentazione di natura legislativa.

Si tratta, a mio giudizio, di un errore, di cui si possono misurare oggi tutte le conseguenze negative. Le conquiste ottenute nella fase ascendente del movimento non si sono tradotte, infatti, in un sistema di norme impegnative per le parti sociali, ma sono rimaste affidate solo ai rapporti di forza, e possono quindi oggi essere rimesse brutalmente in discussione nel momento in cui si è fatta più debole la forza contrattuale del movimento operaio. C’è bisogno, quindi, di un quadro legislativo che dia certezza e stabilità a un sistema di relazioni industriali nel quale il ruolo del sindacato sia esplicitamente sancito e riconosciuto. L’esigenza di affrontare questo tema si è fatta urgente, non solo perché siamo in presenza di uno scontro sociale che riguarda essenzialmente questioni di potere, ma anche perché l’attuale fase, caratterizzata da intense trasformazioni tecnologiche e organizzative, pone in termini nuovi il problema del ruolo del sindacato e del suo rapporto con l’impresa.

Di fronte ai processi di innovazione, il movimento sindacale non può che assumere una posizione volta a favorire l’estensione e l’accelerazione di questi processi. Si tratta infatti di una condizione necessaria per lo sviluppo dell’intera economia nazionale che può essere frenata da interessi immediati parziali, o di natura corporativa. Dall’altro lato l’organicazione sindacale non può in nessun modo rinunciare alle sue peculiari funzioni di contrattazione, non può quindi subire passivamente i processi innovativi così come vengono progettati e decisi dai gruppi dirigenti delle imprese. Si pone allora l’esigenza di un intervento sindacale a partire dalla fase di progettazione, perché solo a questo livello è possibile incidere effettivamente sulle decisioni, sui modelli organizzativi e quindi anche sulle conseguenze che ne derivano per i lavoratori per le loro professionalità, per le loro concrete condizioni di lavoro. Ciò richiede uno sviluppo nuovo e originale delle relazioni industriali, ed è proprio su questo punto sulla possibilità o meno di contrattare i contenuti e le modalità dell’innovazione, che è aperto il confronto fra sindacato e imprese.

 

Dalla rigidità alle proposte

Rispetto all’esperienza sindacale degli anni ‘60 e ‘70, c’è bisogno oggi di un salto di qualità, di un nuovo modello di relazioni sindacali. Quell’esperienza infatti era caratterizzata soprattutto da rapporti di tipo conflittuale, e da un’azione di difesa basata sull’affermazione di “rigidità” nell’uso della forza lavoro. Tutto ciò oggi, nella fase dell’innovazione tecnologica, non è più sufficiente, perché non reggono più le rigidità del passato e perché il problema dell’innovazione richiede di essere affrontato in una logica globale, facendo cioè i conti con le esigenze complessive e strategiche dell’impresa, con i problemi di efficienza, di produttività, di rapporto con il mercato. C’è quindi il rischio di restare bloccati in un’azione solo difensiva, in una sorta di resistenza passiva, e necessariamente perdente, ai processi di innovazione e di ristrutturazione dell’apparato industriale.

La definizione di un nuovo modello è oggetto di una discussione e di una ricerca tutt’altro che concluse. Ed è questione che non può risolversi solo sul piano teorico, ma richiede sperimentazioni pratiche, tentativi, approssimazioni anche parziali, nella concretezza di uno scontro sociale di grande difficoltà. Si ripropone un tema di ordine più generale, che è al centro anche della discussione intorno alle istituzioni politiche: il rapporto tra decisione e consenso. Da un lato, si tratta di garantire la tempestività delle decisioni, e dall’altro lato occorre costruire un sistema di garanzie in modo che le decisioni possano essere vagliate attraverso un processo democratico. Nell’attacco antisindacale si assume la premessa che la ricerca del consenso e dell’accordo con il sindacato conduce ad uno stato di paralisi, di indecisione, di rinvio sistematico di ogni scelta, il che rappresenta per l’impresa un prezzo non sopportabile.

A questa obiezione occorre offrire una risposta concreta e convincente, individuando procedure di confronto e di partecipazione del sindacato che non abbiano un effetto paralizzante, e che salvaguardino l’efficacia e la necessaria rapidità delle decisioni. D’altra parte, i processi di innovazione sono tali da essere efficaci solo a condizione di potersi basare su un largo consenso e su una consapevole partecipazione dei lavoratori interessati. Modelli organizzativi di tipo autoritario, fortemente gerarchizzati e burocratizzati, sono di ostacolo all’innovazione: e sta qui una delle ragioni del ritardo italiano rispetto agli altri paesi, il quale è anche, in larga misura, un ritardo culturale, di mentalità, di intelligenza politica, dei gruppi imprenditoriali. Quando, dunque, il sindacato pone il problema di uno sviluppo delle relazioni industriali che sia improntato alla ricerca del consenso, non pone solo una questione di parte, ma coglie un’esigenza oggettiva. Non c’è un’opposizione di principio tra decisione e consenso, ma al contrario il consenso è una condizione perché si possano assumere decisioni efficaci.

I circoli di qualità

Questo tema è presente anche nella discussione interna al mondo imprenditoriale, come dimostrano, ad esempio, gli esperimenti dei “circoli di qualità”, i quali appunto sono un tentativo di risposta a questa esigenza di costruzione di un livello soddisfacente di consenso e di partecipazione attiva dei lavoratori, e come dimostra, soprattutto, l’accordo sottoscritto dall’IRI, che costituisce il primo tentativo organico di definizione di un nuovo quadro di relazioni industriali. L’aspetto essenziale del protocollo IRI sta nella definizione di procedure di consultazione preventiva, che lasciano intatta l’autonomia reciproca delle parti, anche se, ovviamente, tendono a favorire comportamenti di minore conflittualità e a determinare un clima più favorevole al raggiungimento di un’intesa.

È in questa linea che dobbiamo muoverei, riconoscendo il ruolo proprio dell’impresa e dei suoi gruppi dirigenti, il quale però si deve svolgere all’interno di regole, di procedure democratiche, e pertanto l’”autonomia” dell’impresa non è un dato assoluto, ma subisce un condizionamento, sia dal basso, in quanto si esercita un controllo democratico dei lavoratori e delle loro rappresentanze, sia dall’alto, in quanto le scelte strategiche dell’impresa, in particolare dell’impresa pubblica, sono orientate e condizionate dagli obiettivi che deve fissare l’autorità politica, nell’interesse generale del paese.

Lo sbocco non è la cogestione, non è la corresponsabilizzazione del sindacato nella gestione dell’impresa, che non è un punto di approdo auspicabile, in quanto potrebbe snaturare il ruolo autonomo dell’organizzazione sindacale. Tuttavia, questa legittima preoccupazione di salvaguardare l’autonomia del sindacato non deve fare da freno alla ricerca di nuove soluzioni, alla sperimentazione di nuovi rapporti. L’obiettivo generale a cui tendere è quello della democratizzazione dei processi decisionali nell’impresa, a cui si collega anche l’esigenza di conquistare nuove forme di organizzazione del lavoro, che consentano momenti di autonoma responsabilizzazione dei lavoratori, di autogestione del processo produttivo.

Non solo conflittualità

Dovrebbe essere chiaro che una tale linea di ricerca non ha un carattere subalterno, non ha il significato di un facile accomodamento, perché è proprio su questo terreno che più rigida è la resistenza dei gruppi capitalistici dominanti, i quali puntano a una gestione autocratica, che esclude ogni forma di controllo. Ma, appunto, questa linea del padronato non può essere battuta solo con il ricorso alla combattività, solo con la ragione che deriva dai rapporti di forza, ma con una proposta politica di riforma democratica dell’impresa intorno a cui costruire un ampio schieramento di consenso, e che sia sorretta da un’azione convergente dal movimento sindacale e delle forze politiche di sinistra.


Numero progressivo: H99
Busta: 8
Estremi cronologici: 1985, dicembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “Il moderno”, 1985, pp. 18-19