LE PROPOSTE DEI GIOVANI COMUNISTI PER L’ORGANIZZAZIONE DEMOCRATICA DEL MOVIMENTO DEGLI STUDENTI MEDI
di Riccardo Terzi
Lo sviluppo capitalistico tende a mutare il ruolo che, tradizionalmente, la scuola ha assunto nella società. Le nuove esigenze tecnologiche dell’industria moderna fanno sì che il capitalismo abbia bisogno di una scuola che sia funzionale allo sviluppo produttivo, che ne assecondi i ritmi, che si adegui alle sue forme organizzative. Di qui viene tutta la vasta problematica del rapporto fra scuola e società, fra cultura e professione, tema questo che è al centro della prima relazione del convegno.
Finita l’epoca della scuola per élites, con la funzione di formare la classe dirigente mediante una cultura di impronta idealistica, il rapporto fra scuola e società deve trovare nuove risposte. Si tratta di stabilire che tipo di congiunzione deve esistere fra il mondo della produzione e dell’organizzazione sociale e il mondo della cultura. E l’alternativa che a questo punto si apre non è già quella, propria di una battaglia democratica ormai insufficiente, fra una scuola arretrata e incapace di sviluppo e una scuola che, comunque, sia “moderna”; ma è l’alternativa fra i due modi qualitativamente diversi di intendere la modernità, fattualità della scuola. La linea discriminante è rappresentata dalla capacità o meno di garantire l’autonomia critica della cultura e il suo carattere unitario; autonomia, beninteso, non come indifferenza della cultura nei confronti della realtà sociale ed economica, secondo .il vecchio modello della cultura accademica, ma come rapporto di interazione fra questi due momenti e possibilità di un atteggiamento « critico» nei confronti della realtà sociale; il che comporta una cultura che assuma in sé il problema professionale e le categorie della vita sociale, divenendo organo di una unificazione non astratta. Ora, la linea di tendenza che informa di sé le scelte governative va in una direzione opposta. Alla questione di fondo, quale sia il ruolo della scuola nella società, si risponde con una soluzione che postula, in via immediata, il subordinarsi della scuola alle esigenze di sviluppo e di qualificazione tecnica aperte dalla produzione moderna.
Si rimane così disarmati di fronte alle richieste pressanti che i centri di potere economico avanzano, e si apre un processo di ammodernamento delle strutture scolastiche a cui non corrisponde un potenziamento delle capacità culturali, uno sforzo di sintesi e di organicità che permetta alla cultura di essere guida e non appendice della vita sociale; si viene creando quindi una scuola parcellizzata, incapace di produrre cultura, a cui il movimento operaio deve fin d’ora contrapporre un’alternativa che prefiguri la risposta che la società socialista deve fornire al problema della cultura e della sua autonomia.
Queste considerazioni generali, non certo nuove per il movimento operaio, era necessario fossero qui poste per intendere, nella sua reale dimensione, il senso delle scelte che il movimento studentesco ha di fronte, e per non ridurre i problemi di organizzazione a problemi di mera funzionalità tecnica. In realtà, l’organizzazione del movimento studentesco vuole essere, in se stessa, una risposta positiva ai problemi aperti dallo sviluppo capitalistico, il presupposto di una nuova democrazia. Le tendenze tecnocratiche che investono la scuola e ne minano l’unitarietà culturale fanno sorgere, in termini nuovi, la minaccia dell’autoritarismo. Cultura e democrazia si garantiscono a vicenda; e come un regime autoritario aggredisce la libertà della cultura e dà origine ad una cultura sterilizzata, così altrettanto la frantumazione della cultura favorisce lo svilupparsi di tendenze autoritarie e impedisce una reale democrazia. Il neocapitalismo, in piena coerenza coi suoi presupposti, propugna una cultura che abbia perduto la capacità di sintesi, e quindi di critica, che sia funzionale ad una società in cui il momento decisionale è separato dal momento della democrazia, ad una società fondata sull’automatismo della accumulazione capitalistica, sulla riduzione dell’intervento dell’uomo a funzioni puramente tecniche. Di fronte a questa prospettiva mortificante, particolare importanza assume l’esperienza di lotta del movente studentesco: essa rappresenta la necessaria forza motrice di un movimento generale per la riforma della scuola, ad essa devono riferirsi e collegarsi le forze politiche e culturali che respingono la prospettiva del neocapitalismo. Ma qui ci importa soprattutto individuare il significato originale che può assumere l’organizzazione autonoma degli studenti. Essa può e deve rappresentare un momento positivo di costruzione di un nuovo ordine culturale nella scuola; non si tratta quindi solo di uno strumento pratico per condurre avanti determinate rivendicazioni e per soddisfare esigenze tecniche. Nella loro organizzazione, gli studenti devono anzitutto far confluire quell’esigenza di sintesi unitaria che è propria della cultura e che è il necessario fondamento di una ricostruzione culturale; sintesi, abbiamo già specificato, non idealistica, ma che tende a trasferirsi nella società e a verificare qui la sua validità teorica. Il che significa, concretamente, darsi un’organizzazione che sia il momento unitario di un dibattito generale che investa la totalità dei problemi e affronti la condizione dello studente in tutte le sue componenti -culturali, sociali, professionali-; intendere quindi la propria organizzazione non come un ché di aggiuntivo e complementare rispetto alle strutture scolastiche esistenti, ma come proposta embrionale di una nuova sintesi, che non vuole prescindere dalla maturazione cosciente degli studenti, ma vuole anzi trovare in essa il suo fondamento, respingendo ogni proposta di ricostruzione che abbia in sé i germi dell’autoritarismo.
Per questa via, il movimento studentesco si qualifica come portatore di nuove istanze democratiche, e la sua azione esce dagli schemi tradizionali. L’istanza democratica, se non vuole ridursi ad una semplice mascheratura ideologica, deve darsi degli obiettivi politici, arricchire i propri contenuti. Il movimento studentesco è quindi spinto a superare ogni residuo di formalismo, ad andare oltre l’esperienza di tipo “goliardico”.
Vi sono oggi le condizioni oggettive per una larga convergenza intorno a prospettive che superano l’attuale assetto sociale, e si viene evidenziando in termini nuovi il nesso di continuità fra democrazia e socialismo.
La società borghese, nel suo sviluppo, è incapace di garantire quelle istanze democratiche che essa stessa ha generato, e rivela il carattere astratto della sua pretesa all’universalità. Quale sia l’ostacolo di fondo all’estensione della democrazia appare oggi, in una società capitalistica che ha maturato pienamente i suoi contenuti, nei termini dell’evidenza: esso sta nell’assetto sociale esistente e nelle istituzioni che vi corrispondono. Questo ci fa comprendere la funzione d’avanguardia che possono assumere il movimento studentesco e il mondo della cultura, partendo dalle loro stesse premesse, e la necessità obiettiva di un loro collegamento permanente con la classe operaia e col partito che ne dirige la lotta.
A questo punto, dopo le necessarie considerazioni generali, dobbiamo avviare un bilancio delle esperienze di organizzazione studentesca al livello della scuola media superiore. Ci si rende conto, a prima vista, di una certa “immaturità” del movimento, nel duplice senso che le esperienze sono ancora troppo poco generalizzate e che la riflessione sulle strutture organizzative appare più arretrata e travagliata di quanto non sia per il movimento universitario.
È inutile soffermarsi a lungo sulle cause, abbastanza evidenti, di questa relativa immaturità: esse stanno anzitutto nella struttura più rigida e costrittiva dell’ordinamento scolastico a questo livello, per cui più numerosi sono i freni all’iniziativa autonoma degli studenti; le associazioni d’istituto sono tuttora soggette all’arbitrio individuale dei presidi, e si trovano quindi in una situazione di precarietà. Va tenuto inoltre presente il carattere tradizionalmente più chiuso e corporativo dell’esperienza degli studenti medi, la loro formazione culturale che non ha certo favorito un’apertura verso i problemi generali della società. È esemplare, a questo proposito, il caso dei licei: la loro difficoltà di trovare una mediazione concreta fra l’impegno culturale e la propria collocazione nella società ha influito negativamente sulle esperienze associative degli studenti di questi istituti, e pone tuttora problemi e interrogativi di una certa portata. Infine, se vogliamo, possiamo ricondurre i ritardi dell’esperienza complessiva degli studenti medi alla loro formazione ancora in atto, e quindi spesso contraddittoria e con elementi di provvisorietà: certamente, a questo livello, incide maggiormente il momento passivo dell’educazione, e più pesanti sono le eredità negative di una scuola nel suo complesso arretrata e coercitiva.
Tutto ciò non autorizza alcun giudizio pessimistico; si tratta invece di vagliare con obiettività le esperienze finora compiute e di fornire indicazioni nuove, perché il movimento studentesco possa darsi forme organizzative che siano adeguate allo stadio attuale dei rapporti sociali e della loro incidenza sulle strutture scolastiche. Le associazioni d’istituto nelle scuole medie superiori sono nate sotto il segno di una volontà precisa e positiva di impegno culturale e democratico. Di fronte ad una scuola incapace di garantire una formazione culturale adeguata e moderna, ancorata agli schemi e ai metodi dell’idealismo gentiliano, sorgeva l’esigenza di un impegno autonomo degli studenti intorno ai temi più vivi e attuali della problematica culturale; di fronte ad una struttura rigidamente gerarchica e autoritaria, che si rifletteva negativamente sui metodi di insegnamento, nasceva l’istanza di una presenza attiva, che rompesse questo circolo chiuso e umiliante e permettesse un’espressione libera della propria personalità, una maturazione nuova. Non a caso questa esperienza ha trovato nei licei il suo terreno più fecondo: qui, la formazione umanistica generale, il carattere disinteressato della cultura sono stati, pur nella loro contraddittorietà, premesse positive per una sensibilità verso quelle esigenze che hanno animato l’esperienza delle associazioni d’istituto. Si trattava, se vogliamo, di un fenomeno di élites culturalmente impegnate e conquistate agli ideali della democrazia. Da ciò derivava anche un impegno esterno, nella società: ricordiamo la presenza attiva degli studenti nelle lotte democratiche e antifasciste, la solidarietà più volte espressa nei confronti delle battaglie del movimento operaio. Accanto a questi elementi positivi, sono altrettanto evidenti i limiti: limiti quantitativi soprattutto. L’esperienza rimase piuttosto entro i confini dei licei, e fu limitata soltanto ad alcune città. Ebbe quindi caratteri della avanguardia più che del movimento di massa. Vi era inoltre il rischio, almeno implicito, di una concezione formale della democrazia: la difficoltà di incidere immediatamente sulle strutture scolastiche, di trovare una propria collocazione positiva e originale, non solo solidaristica, nel contesto delle lotte sociali, poteva far recedere il movimento verso un godimento sterile della propria astratta democraticità e del proprio impegno culturale, alimentare l’illusione di una pretesa autosufficienza. Intendiamoci, non vogliamo qui fare una autocritica tardiva: sono questi invece rischi e limiti obiettivi, che è utile oggi individuare per intendere in quale direzione è necessario spingere il movimento; tenendo fermi, naturalmente, e valorizzando ulteriormente quei dati positivi che abbiano riscontrato, i quali ci consentono, in ultima istanza, un bilancio positivo. Il bagaglio delle esperienze compiute, purché sia compreso fino in fondo, è la premessa necessaria dell’azione che noi dobbiamo oggi sviluppare, in un contesto sociale e culturale rinnovato.
Questa analisi retrospettiva assume un particolare significato politico, nel momento in cui i principi fondamentali su cui si è retta l’esperienza delle associazioni d’istituto vengono contestati dalla parte più retriva del mondo cattolico, e si apre una polemica ideale che investe necessariamente la concezione stessa del processo educativo e del ruolo riservato alle giovani generazioni. Ci riferiamo, come è evidente, alle posizioni assunte da Gioventù Studentesca a Milano e al dibattito intenso e polemico che ne è derivato. Tale dibattito è servito essenzialmente a due scopi: a porre con forza di fronte all’opinione pubblica il problema delle associazioni d’istituto, e a rinsaldare l’unità di quelle forze che nelle associazioni d’istituto si riconoscono, spingendole avanti nella ricerca e nell’impegno operativo. Se vi è stato un limite è quello connesso al carattere polemico del dibattito, per cui si è stentato ad innestare nell’esperienza del movimento studentesco, un discorso che abbia forza egemonica e possa misurarsi positivamente coi problemi e con le prospettive ideali proprie dei giovani cattolici. All’associazione d’istituto, intesa come organismo rappresentativo unitario, è stata contrapposta una concezione pluralistica della vita associativa degli studenti. Questa proposta nasce conseguentemente da una visione complessiva del processo educativo e della “libertà” dello studente. L’accusa di fondo che viene infatti rivolta dai giovani di Gioventù Studentesca alle associazioni unitarie è quella di voler instaurare un “clima di regime” in cui non c’è spazio per una libera espressione individuale: pretendendo di rappresentare la totalità degli studenti, le associazioni d’istituto ne forzano gli orientamenti culturali e ideologici, escludendo la possibilità del dibattito. Di qui l’esigenza espressa di una visione pluralistica, che riconosce la vitalità e la funzione delle singole associazioni, lasciate alla loro autonomia. Noi raccogliamo, naturalmente, l’invito al dialogo e alla libertà implicito in questa formulazione, ma denunciamo come illusoria la pretesa di trovare in una struttura pluralistica lo strumento più adeguato a questo scopo. Si può parlare propriamente di dialogo solo se esiste un primo momento di unificazione, un punto di partenza comune; in caso contrario vi è solo l’apparenza del dialogo e la realtà di una sterile contrapposizione. Ora; le associazioni di istituto devono appunto fornire questo iniziale tessuto unitario, all’interno del quale sviluppare liberamente il confronto delle idee. La possibilità di questa unificazione esiste nelle scuole medie superiori più che altrove; non solo perché esiste una condizione vissuta in comune, e quindi dei problemi e delle esigenze che si pongono per la totalità degli studenti, ma sempre soprattutto il processo di formazione è ancora in atto, e meno rigide sono le divisioni, di classe o di ideologia.
Queste considerazioni ci mostrano chiaramente il carattere chiuso e conservatore della proposta pluralistica. Un sistema di associazioni chiusa ciascuna nella sua autonomia, è in realtà assai più coercitivo, in quanto cristallizza delle scelte ideologiche non -ancora motivate, frutto soltanto della tradizione familiare o dell’influenza -ambientale. Per questa via, invece che correggere le tendenze negative di una educazione prevalentemente passiva esse vengono accentuate. Si scopre qui il contenuto oggettivamente autoritario della proposta cattolica. Il momento associativo degli studenti è ridotta ad una funzione solo integrativa, complementare, senza possibilità di intervenire sulle scelte culturali che nella scuola vengono operate. In realtà, ciò che qui viene sottinteso è la convinzione che l’educazione consista nel tramandare, come per via ereditaria, un sapere già costituito, e non nel suscitare energie e capacità nuove, che possano poi ricostruire ex novo una cultura mediante una verifica critica. Partendo da questa premessa, si respinge ogni elemento che possa turbare l’ordine costituito, e si propone al mondo studentesco un sistema associativo che ne confermi la posizione subalterna, e cioè un sistema chiuso di associazioni in cui ancora una volta venga fornito un sapere precostituito. Non sono queste delle deduzioni arbitrarie, sono invece princìpi chiaramente impliciti nella critica che Gioventù Studentesca rivolge alle associazioni d’istituto; si sostiene infatti che l’associazione unitaria è antieducativa in quanto esclude la figura dell’educatore, e irrigidisce “i meccanismi psichiatrici di autodifesa e aggressività”, creando un “clima precocemente politicizzante”, capace di educare soltanto alla faziosità. Vi è quindi una sfiducia nella possibilità di una ricerca autonoma e originale degli studenti, sfiducia che autorizza una visione conservatrice dei problemi della scuola.
Noi partiamo da un principio opposto: l’organizzazione autonoma degli studenti è il necessario punto di partenza di una ristrutturazione democratica della scuola, e se ciò significa anche politicizzazione degli studenti non è questo un dato negativo, purché avvenga mediante il dibattito e l’apertura critica. E soprattutto politicizzazione non deve significare verticismo di tipo parlamentare che si riflette meccanicamente sulla massa degli studenti, ma impegno di ricerca, che parte dal basso, tendenzialmente unitario, e che per logica interna e non per interventi esterni giunge ad assumere un significato politico. Non intendiamo quindi strumentalizzare le associazioni unitarie, ma assumere in esse quell’impegno politico che deve essere proprio dei giovani comunisti. D’altro canto, è illusorio pensare che il grado di coscienza degli studenti non abbia, in se stesso, un valore politico: il disegno di impedire una presa di coscienza del mondo studentesco intorno ai problemi politici del nostro tempo, la netta separazione di politica e cultura rappresentano in realtà delle scelte politiche precise, di tipo conservatore, tese a salvaguardare l’ordine costituito. Noi riconfermiamo quindi oggi i valori di fondo che hanno guidato l’esperienza del movimento studentesco unitario: e cioè la volontà di segnare una presenza attiva degli studenti che si opponga alle tendenze autoritarie di una scuola ancorata agli schemi idealistici, e la ricerca quotidiana di runa unità non fittizia, non patteggiata fra le varia correnti politiche, ma espressione reale degli interessi comuni del mondo studentesco. Questa volontà unitaria non esclude di certo i giovani cattolici, non è una forma mascherata di anticlericalismo. Riteniamo anzi indispensabile per la vitalità stessa delle associazioni di istituto la presenza attiva dei giovani cattolici, il confronto con le loro prospettive. Ma perché questo sia possibile, perché siano superate le riserve e le diffidenze, è necessario che i cattolici abbandonino non già la loro concezione del mondo, ma lo spirito integralista, l’atteggiamento dogmatico di chi si sente il portatore della verità e non sa assumere, nei confronti di altre correnti di pensiero, altro atteggiamento che quello dello scontro frontale.
Questi sono, i princìpi da cui partiamo, che costituiscono, a nostro giudizio, un quadro organico e coerente. Ma questa chiarezza di princìpi non basta: è necessaria una analisi attenta dello stato del movimento, delle esigenze di sviluppo che gli si pongono oggi, in una situazione sociale mutata. Qui riscontriamo degli elementi di debolezza. In primo luogo, il ruolo dei licei ha subito indubbiamente un certo ridimensionamento. Oggi, assai meno che nel passato, essi possono riassumere in sé i compiti generali del movimento studentesco. Lo sviluppo impetuoso di scuole professionali e serali, il peso maggiore assunto dagli istituti tecnici, l’allargamento quantitativo quindi della scuola italiana, non più scuola di élites privilegiate, tutto questo muta anche da un punto di vista qualitativo il quadro complessivo entro cui si deve sviluppare il movimento, Emerge in primo piano il problema del rapporto fra formazione culturale e professione, sorgono obiettivi di lotta immediati e concreti, si pone l’esigenza di un movimento di massa e quindi di parole d’ordine chiare e stimolanti. Le esperienze di organizzazione del movimento studentesco devono quindi estendersi e assumere un’articolazione nuova. Questa situazione mutata non può non avere influenza anche sui licei. Non a caso oggi assistiamo, se non ad una crisi, ad una stagnazione delle associazioni di istituto a questo livello: esse hanno perso in parte la loro funzione di guida, spesso non hanno inteso il quadro complessivo in cui sono chiamate oggi ad operare e non hanno saputo quindi tradurre il loro impegno democratico in obiettivi di lotta che facciano superare i limiti attuali del movimento. Cominciamo con i licei, con le scuole tradizionali di tipo umanistico, nelle quali le associazioni di istituto hanno avuto finora il maggiore sviluppo. Qui appare a prima vista la difficoltà di indicare degli obiettivi immediati intorno a cui suscitare il movimento. La composizione sociale degli studenti, poco modificata rispetto al passato, il carattere aristocratico dell’insegnamento che non pone in via immediata il problema della professione, fanno sì che la parola d’ordine del diritto allo studio, nella sua formulazione più elementare, abbia qui poco significato. D’altro canto, i licei non sono certo un’isola di perfezione in mezzo ad una scuola in rovina, ma anzi proprio qui il movimento democratico ha da condurre una battaglia di fondo, per il rinnovamento delle scelte culturali, per l’affermazione di nuovi contenuti educativi. La difficoltà sta quindi nel saper portare a questo livello di consapevolezza l’organizzazione degli studenti medi. Noi riteniamo comunque che questa possibilità possa essere realizzata. Vi è anzitutto una considerazione importante da fare: le associazioni di istituto si scontrano oggi con la realtà arretrata di una scuola a struttura gerarchica e vedono in più occasioni ostacolata la propria attività. Da un punto di vista giuridico, in realtà, esse dipendono dall’arbitrio del preside, che può anche, come talora è avvenuto, impedirne la nascita o scioglierle d’autorità. Ma accanto a questi casi di maggiore gravità, vi sono i casi più frequenti del controllo e degli impedimenti burocratici, della censura esercitata sul giornale studentesco, e così via. Le circolari ministeriali sono, sulle questioni dell’associazionismo studentesco, estremamente generiche e non vincolanti. Vi è quindi una situazione complessiva regolata dall’arbitrio, che esige una risposta del movimento studentesco. Tale risposta si deve svolgere lungo due piani: da un lato è necessario condurre una battaglia democratica immediata contro gli abusi e gli interventi burocratici, per una diversa strutturazione del “governo” della scuola, che ridimensioni la figura del preside, dando nuovi poteri al consiglio dei professori e alla rappresentanza studentesca. Su questi temi è necessario sollecitare l’opinione pubblica e le forze politiche, affinché le associazioni d’istituto siano una realtà riconosciuta e possano ulteriormente svilupparsi. A questo proposito, si apre anche una questione collaterale, quella di una definizione giuridica degli organismi studenteschi, che ponga fine allo stato di arbitrio, o per lo meno ne limiti le possibilità. Va comunque precisato che questo obiettivo, in se stesso certamente giustificato, non può essere scisso dalla necessità di un movimento di massa che gli studenti devono creare, e che soltanto su questa base l’obiettivo del “riconoscimento” diventa qualcosa di realistico e può assumere di fatto dei contenuti positivi.
Ma soprattutto questa questione, relativa allo stato di arbitrio esistente, ci riporta alla seconda linea di intervento, cui prima abbiamo accennato.
Le associazioni d’istituto, nel momento in cui si inseriscono in una struttura autoritaria e gerarchica, e vedono in essa un ostacolo obiettivo, si trovano allora di fronte ad un compito di più ampia portata: quello di essere parte viva del movimento per un riforma democratica della scuola. Questa esigenza più generale nasce dall’esperienza stessa del movimento studentesco e dalle difficoltà che esso incontra. Per questa via quindi è possibile raggiungere quella qualificazione ulteriore dell’esperienza degli studenti, di cui prima abbiamo posto l’esigenza.
Ora, una riforma democratica, capace quindi di soddisfare le esigenze di sviluppo del movimento studentesco, non può prescindere dai nodi reali a cui è vincolato il problema della scuola. E quindi l’impegno degli studenti per la riforma si connette necessariamente a due questioni di fondo: la prima è data dal riflesso della struttura sociale sulla scuola, e costringe il movimento studentesco a fare una scelta di classe e ad assumere una dimensione politica; la seconda riguarda la direzione culturale, che è comunque in funzione di una concezione della società e della democrazia. Bisogna quindi precisare la natura dell’impegno culturale degli studenti, nelle scuole umanistiche, e individuare le possibilità positive che ne discendono.
Questo impegno culturale, che ha avuto larga parte nella creazione degli organismi studenteschi, rischierebbe di essere sterile se si limitasse a svolgere una funzione integrativa, collocandosi lungo una linea semplicemente parallela rispetto al processo educativo che nella scuola si realizza. Questa impostazione sarebbe di fatto conservatrice, e bloccherebbe il movimento studentesco in un’azione improduttiva e in una posizione subordinata. È necessario qualcosa di più: e cioè saper contestare, sulla base della propria originale sperimentazione, le scelte culturali e metodiche che nella scuola vengono operate, dibattere criticamente i metodi di insegnamento, i criteri di valutazione, il rapporto fra insegnanti e discenti. Dalla capacità di intervenire seriamente su queste questioni discendono anche gli obiettivi ben definiti, delle iniziative concrete. Si apre così un nuovo terreno di lavoro: discutere con gli insegnanti questi problemi, chiedere che ad una serie di decisioni partecipi una rappresentanza degli studenti, tendere verso l’instaurazione di rapporti nuovi all’interno della scuola, concepita come una libera comunità di ricerca, senza piedistalli e barriere psicologiche.
Infine, non è certo necessario soffermarsi sulle questioni di minore portata, relative alle attrezzature scolastiche, alle biblioteche, ecc. È evidente infatti che questi problemi vanno tenuti presenti, nel loro giusto peso, e messi in relazione con le questioni più generali. Essi possono qualificare la parola d’ordine del diritto allo studio, che, a questo livello dell’ordinamento scolastico, ha senso solo se viene intesa come diritto a un certo tipo di studio, superiore sul terreno qualitativo.
Il problema di un’estensione delle forme organizzative del movimento studentesco si pone certamente anche per i licei. Vi sono finora soltanto alcune esperienze, localizzate in modo preciso, mentre nella maggioranza delle provincie non si sono sviluppate esperienze originali di organizzazione studentesca. Ma il problema del superamento del carattere di élite e di avanguardia del movimento studentesco si pone soprattutto per una serie di ordini di scuola, relativamente recenti: le scuole professionali di diversa natura e le scuole serali.
È importante qui individuare con precisione il valore che uno sviluppo del movimento studentesco in questi settori può assumere per la battaglia democratica complessiva che nel mondo della scuola si conduce. Abbiamo prima rilevato i limiti istituzionali delle scuole di tipo umanistico, e le difficoltà obiettive che ne derivano al movimento studentesco. Ora, un collegamento con esperienze diverse, con una problematica più direttamente connessa con le questioni di fondo che lo sviluppo capitalistico solleva, permette indubbiamente a tutto il movimento un salto di qualità e una presenza più incisiva nel tessuto sociale. La prima relazione ha già posto un quadro degli obiettivi che dal problema della formazione professionale discendono: sono, questi, obiettivi che spostano in avanti il movimento studentesco, e che assumono un valore esemplare, in quanto non restano localizzati a livello di settore, ma investono tutto l’ordinamento scolastico. A questo grado più avanzato di lotta devono corrispondere nuove forme organizzative. Una riflessione sui problemi di organizzazione che si pongono nelle scuole professionali e serali parte indubbiamente da alcune considerazioni generali che abbiamo già sviluppato. Teniamo ferma anche qui l’esigenza di associazioni unitarie degli studenti per ogni singolo istituto, il loro significato democratico e politico. Ma, d’altro canto, il quadro deve essere parzialmente mutato, data la natura diversa degli obiettivi di lotta: basti qui ricordare il necessario aggancio coi problemi del mondo produttivo – orario di lavoro per gli studenti serali, preparazione professionale e qualifiche – aggancio che sposta in una direzione nuova e di estremo interesse l’azione del movimento studentesco: il rapporto col movimento operaio viene trovato, a questo punto, non più per via solidaristica, ma sulla base di una connessione oggettiva fra mondo della scuola e mondo della produzione, e le proposte di riforma della scuola assumono quindi un più pregnante significato, in quanto sottintendono anche una proposta di rinnovamento sociale.
Nel contesto di questa relazione, sugli strumenti organizzativi, ci importa soprattutto affrontare un problema: quali debbono essere le caratteristiche specifiche dell’organizzazione del movimento in questi settori. Il dato più rilevante è, a nostro giudizio, la possibilità di una dimensione nazionale del movimento, la necessità di non rinchiudere l’esperienza all’interno dei singoli istituti. L’obiettivo deve essere quello della costruzione di un movimento sindacale di massa, articolato a livello d’istituto e capace di esprimere una sua direzione politica. Questa impresa è già in atto nelle scuole serali, mediante l’Associazione Nazionale Studenti Serali, la cui esperienza è per noi un utile punto di riferimento. Crediamo quindi che sia un’esigenza realistica il proporre che si sviluppi un’azione della FGCI per costruire un’organizzazione di massa negli istituti professionali, ed è certo superfluo sottolineare il significato politico che questa proposta assume, e l’impegno, di ricerca e di azione, che ne deve discendere per tutta la nostra organizzazione.
La scelta di concentrare in questa direzione i nostri sforzi di organizzazione e di azione politica discende organicamente dai modelli culturali che abbiamo presupposto e dalle loro implicazioni politiche: assume quindi un significato esemplare, di rottura con ogni impostazione borghese, nella sua duplice manifestazione di idealismo astratto e di reale accomodamento allo sviluppo monopolistico, e di superamento anche di certi limiti che ha assunto la nostra politica nel passato, incapace di ricomporre in una totalità organica la scissione di tecnica e cultura. Dovremmo infine completare questo nostro quadro con un riferimento agli istituti tecnici. Senza ripetere qui le acquisizioni di fondo, valide per tutto il movimento studentesco, e gli elementi che possono giustificare una certa assimilazione ai licei, può essere sufficiente porre qui due considerazioni: da un lato, va tenuto presente il carattere piuttosto arretrato e corporativo del movimento in questo settore, e la superficie più estesa di qualunquismo, di disimpegno politico. Non dimentichiamo certo, d’altro canto, le lotte che, in determinate occasioni, si sono sviluppate, sui programmi di studio ad esempio, o per l’accesso all’Università, e indubbiamente anche qui il movimento rivendicativo pone l’esigenza di un collegamento. Appare però piuttosto difficile un collegamento permanente, che si realizzi sulla base di alcune direttive fondamentali, dato il carattere più frammentario degli obiettivi, e la prevalenza spesso di questioni riguardanti i singoli istituti.
Da tutto quanto precede, appare chiaro il peso crescente che assume l’istanza di una direzione unitaria del movimento studentesco, di un coordinamento delle diverse esperienze. Ciò è vero in misura diversa per i vari ordini di scuola, ma è comunque un dato costante, che deve sollecitare la nostra ricerca. Va qui posta una questione di principio: l’esistenza dì organismi che trascendono il livello dell’istituto presuppone lo sviluppo delle esperienze nei singoli istituti, o per lo meno si deve accompagnare ad uno sforzo in questa direzione. In caso contrario, tali organismi si riducono ad essere espressioni di vertice, facilmente soggetti ad un parlamentarismo deteriore. Varie esperienze negative confermano questo giudizio: là dove è mancato lo sforzo di una costruzione dal basso, gli organismi studenteschi, o presunti tali, hanno costituito un freno più che uno stimolo, non hanno arricchito l’esperienza del movimento nel suo insieme. Con questo chiarimento, possiamo porre per ogni tipo di scuola l’esigenza di un coordinamento almeno a livello cittadino, le cui forme specifiche non possono qui essere rigidamente prefigurate. Il caso più interessante di un coordinamento di questo tipo è dato dalle Consulte comunali o provinciali della gioventù. Non sempre le esperienze delle Consulte sono state positive: talora è prevalsa la logica dell’accordo al vertice, la meccanica trasposizione di formule al livello delle forze giovanili, per cui in questi casi non si è saputa esercitare un’azione di stimolo che facesse maturare tutto il mondo giovanile, impegnandolo sul terreno politico e civile. Ma proprio queste esperienze negative hanno posto in chiaro quale sia la strada da battere: senza rinunciare alla funzione di guida che hanno i movimenti politici, tendere ad una rappresentanza sempre più democratica e diretta, e cioè fare della consulta giovanile il punto di congiunzione del dibattito politico e dei problemi reali della gioventù, nelle sue molteplici manifestazioni. L’introduzione di rappresentanze degli studenti e dei giovani operai fa della consulta l’espressione reale del mondo giovanile nella sua compiutezza; così intesa, essa può rappresentare uno strumento di unificazione delle esperienze che si conducono nei singoli istituti, e può anche favorire attivamente la creazione di nuove associazioni di istituto, impegnando le forze politiche ad un’azione unitaria.
Alle Consulte può essere affidato anche l’importante compito di un’analisi oggettiva delle singole realtà provinciali: tipo di sviluppo delle scuole professionali, rapporti col mondo produttivo, variazioni del livello di scolarità, criteri di investimento nella scuola, sono questi dati che, nella loro apparente freddezza statistica, forniscono il quadro reale entro cui si deve sviluppare un’azione politica.
Abbiamo prima accennato alle forze politiche, alla necessità di un loro impegno nel movimento studentesco. A questo aspetto del problema va prestata particolare attenzione, nelle singole diverse situazioni: deve essere compito costante della FGCI conquistare altre forze politiche alla nostra concezione del movimento studentesco, e spingerlo ad un’azione comune, nella costruzione quotidiana del movimento. Vi è in realtà un processo unitario in atto, che va dal mondo studentesco in generale alle forze politiche. Gli studenti esprimono in varie forme questa loro esigenza unitaria, e trovano negli ideali della democrazia e dell’antifascismo un terreno di iniziativa: la presenza conquistata nelle scuole da Nuova Resistenza è un indice di questa situazione, e tale presenza, che certamente non può sostituirsi alle funzioni delle associazioni d’istituto, favorisce comunque una maturazione del movimento studentesco sul terreno ideale e democratico. Questa situazione si riflette sulle forze politiche: i giovani socialisti hanno confermato recentemente – la loro piena adesione alle associazioni unitarie, e nel mondo cattolico – nello stesso partito democristiano -molte sono le forze che respingono l’intransigente visione integralista di Gioventù Studentesca. A queste forze noi rivolgiamo un appello unitario, affinché queste prese di posizione si traducano in impegno concreto di realizzazione, affinché si uniscano a noi nello sforzo di organizzazione e nell’azione democratica.
Da questo quadro complessivo che pone al centro un’esigenza di unificazione, si può ricavare in prospettiva l’indicazione della creazione di una Consulta nazionale degli studenti medi, intesa non come frutto di un accordo fra i partiti politici, ma come espressione unificata del movimento studentesco di base, nelle sue molteplici manifestazioni.
Nella nostra analisi abbiamo già individuato una serie di sfasature all’interno del movimento, ed una mancanza di collegamenti – fra i licei ed istituti professionali ad esempio – che rende difficile una maturazione complessiva. Una consulta nazionale avrebbe appunto questo scopo, sarebbe il segno visibile di raggiunta maturità, di una accresciuta possibilità di arricchimento e di espansione.
Per questa via, il movimento degli studenti medi può giungere a collegarsi più saldamente alle forze politiche e sindacali, conquistare una sua precisa fisionomia nel quadro della vita democratica del paese.
Non crediamo certo di essere settari, se giudichiamo indispensabile, per la maturazione del movimento nelle scuole secondarie, la presenza e il contributo dei giovani comunisti. Noi siamo venuti elaborando una prospettiva organica e a lunga scadenza e intorno ad essa dobbiamo essere in grado di esercitare una egemonia. Egemonia non certo in termini di potere, ma come capacità di muovere tutto il mondo studentesco nella direzione da noi indicata. Per questo dobbiamo formare dei dirigenti, che sappiano rappresentare al più alto livello il movimento studentesco. Il discorso si deve spostare quindi sugli strumenti organizzativi che noi predisponiamo a questo scopo.
Va anzitutto ribadita una questione di principio. L’analisi abbiamo condotto ha mostrato, nelle sue linee generali, il significato complessivo del movimento studentesco, il suo valore autonomo; il suo obiettivo collocarsi all’interno di un processo di rinnovamento della società. Ora, la presenza degli studenti nella FGCI deve riflettere questa autonomia, queste caratteristiche specifiche, deve essere in funzione della lotta che il movimento studentesco conduce nel paese. Per questo sono necessarie forme organizzative che siano funzionali alle esigenze e ai compiti di questa lotta, che facilitino un’assunzione di responsabilità degli studenti comunisti all’interno del movimento. Ora, il primo terreno naturale di organizzazione è la scuola, in quanto luogo di lavoro, di impegno culturale e politico. Partendo da queste considerazioni, crediamo vada esaltata la funzione dei gruppi di istituto della FGCI. Tali gruppi sono il naturale centro di elaborazione di una linea politica che sia poi trasferita in mezzo agli studenti, nell’associazione unitaria. La loro funzione è quindi del tutto proiettata verso l’istituto. Con questa nostra indicazione, non intendiamo certo reintrodurre una concezione pluralistica. Il gruppo della FGCI non ha una sua dimensione esterna, ma è il necessario momento di riflessione degli studenti comunisti impegnati nel movimento unitario. E qui, nel movimento, in ogni momento della vita scolastica, essi debbono portare i temi che abbiamo elaborato, spostando in avanti le esperienze di lotta degli studenti, proponendo i nostri obiettivi di riforma della scuola, le nostre proposte sul terreno culturale. Noi siamo convinti della possibilità di suscitare un vasto interesse intorno ad alcuni temi da noi elaborati, al problema della professionalità dello studente anzitutto. Sta a noi saper trasformare l’interesse in adesione, in egemonia nostra. D’altro canto, il gruppo d’istituto non può esaurire, date le sue dimensioni ancora limitate, i compiti politici complessivi che sono propri di un circolo; rimanda quindi al momento di unificazione politica ad esso esterno, e cioè al circolo territoriale. È possibile pensare anche a un circolo cittadino degli studenti medi, là dove l’organizzazione registra una scarsa presenza di studenti e non riesce a strutturarsi a livello di istituto. Per le organizzazioni più forti una tale proposta appare poco realistica e politicamente dubbia: sarebbe infatti necessario sottrarre una serie di forze alle organizzazioni territoriali, e ciò non solo incontrerebbe resistenza, ma provocherebbe una poco utile separazione degli studenti dal resto dell’organizzazione, coi rischi evidenti che ciò comporta. Crediamo più utile un’articolazione del lavoro dei circoli e delle zone, che preveda la formazione di commissioni studenti, in modo che tutta la organizzazione sia investita dei problemi del movimento studentesco, e si impegni in una iniziativa politica verso le scuole. Il momento dirigente di tutta la nostra azione negli istituti e nei circoli territoriali deve essere rappresentato da una commissione federale, che preveda anche un’articolazione interna, e che dia garanzia di una direzione politica costante, a contatto diretto con gli organismi dirigenti della Federazione. Esistono ancora casi di incomprensione e sottovalutazione dei problemi qui posti, larga parte dell’organizzazione non è stata sufficientemente sensibilizzata; per cui spesso il nostro lavoro in questa direzione è lasciato alla spontaneità. Questo nostro convegno deve rappresentare, anche sotto questo aspetto, una svolta per tutta l’organizzazione.
Busta: 10
Estremi cronologici: 1964, marzo
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Volume, b/n, 129 pp.
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “La città futura. Mensile degli studenti comunisti” n. 2-3, anno 1, marzo-aprile 1964, pp.116-129