LE CONTRADDIZIONI DEL MONDO DOMINANTE

Nuovi rapporti tra le forze politiche milanesi

di Riccardo Terzi

Basi sociali e caratteristiche della svolta a destra. Un legame organico unisce la questione delle alleanze e quella delle relazioni tra i partiti. Le teorie spontaneistiche e il culto del “sociale” sono al di fuori della tradizione del nostro partito e della realtà italiana. Le mediazioni politiche non sono un ostacolo ma sono invece il canale di un rapporto reale tra le diverse formazioni sociali

 

Gli ultimi avvenimenti che hanno caratterizzato la vita politica milanese – ivi comprese la costituzione e l’attività del Comitato Interpartitico sui problemi delle Università – pongono una serie di interrogativi più generali circa i rapporti oggi esistenti fra le forze politiche a Milano. In effetti nel corso anni, la nella organizzazione comunista nella capitale lombarda è stata severamente impegnata in un lavoro attento di analisi, e in una messa a punto della nostra linea politica. Non occorre certamente richiamare l’ampiezza dello scontro politico e sociale che si è sviluppato a Milano: esso ha messo in evidenza sia la forza e la maturità del movimento operaio e popolare, che dall’autunno del ‘69 in avanti è impegnato senza soluzione di continuità in una difficile battaglia di rinnovamento democratico, sia nel contempo l’intensità della controffensiva delle forze economiche dominanti, che hanno reagito con estrema decisione, ricorrendo ad una politica di provocazione e cercando di coalizzare in un fronte antioperaio uno schieramento largo di forze conservatrici e moderate.

Non può esser dubbio, riflettendo sulle vicende di questi anni, che la situazione di Milano è stata ed è tuttora uno dei poli fondamentali della vita politica italiana, e quindi dall’analisi di questa situazione possono venire delle risposte ai numerosi problemi che vengono posti dalla svolta politica conservatrice che si è attuata nel paese, e che ancora non possono dirsi pienamente chiariti. La profondità di questa svolta è tale da modificare sensibilmente il quadro politico rispetto al nostro XIII Congresso: ciò non comporta certamente una ridefinizione delle scelte generali e strategiche, ma richiede tuttavia un lavoro di aggiornamento, di analisi dei nuovi sviluppi, e quindi rende necessario un dibattito approfondito, dal quale soltanto potrà uscire una più salda coscienza dei nostri compiti attuali.

Non possiamo infatti considerare scontato il giudizio sull’attuale fase politica, né ci possiamo acquietare nella considerazione che la nostra opposizione al governo di centro-destra appare a tutti in modo assolutamente chiaro e indiscutibile.

Questa chiarezza della situazione contiene in sé una tentazione di pigrizia e di superficialità, che può essere gravemente dannosa, che può dar luogo cioè a forme di massimalismo, ad un immiserimento della battaglia politica, ridotta ad essere solo verbale e propagandistica. È questo un   pericolo non immaginario, è una tendenza che si può affermare spontaneamente in alcuni settori del movimento, che già parzialmente si è manifestata. Questa pigrizia massimalistica conduce, sia pure inavvertitamente, ad una concezione politica errata: all’idea che ora finalmente si è operata una salutare distinzione dei due campi contrapposti, che gli schieramenti sono tracciati in modo chiaro, che siamo dunque entrati in una fase di lotta frontale.

Si tratterebbe, in questo caso, soltanto di rendere più decisa, più vigorosa la nostra opposizione, di raccogliere tutte le forze che stanno all’opposizione (anche quelle estremiste, perché no?) e di impegnarle in una offensiva generale.

Tutte le iniziative politiche che si muovono in questa logica, che partono da questo presupposto, sono viziate da un errore di fondo: esse infatti concorrono, tutto sommato, a stabilizzare la situazione, a cristallizzare gli schieramenti, e quindi danno respiro all’attuale, ancora precario, equilibrio politico. Occorre invece individuare le basi su cui si regge il governo Andreotti, i suoi elementi di debolezza e di contraddizione, così da poter operare efficacemente per scalzare queste basi e creare nei fatti delle nuove condizioni politiche. Ora, dovrebbe essere chiaro che la svolta a destra non è l’effetto di un “colpo di mano”, di una manovra di vertice, ma è l’espressione di un mutamento non superficiale avvenuto nelle forze sociali del paese e nei loro rapporti, ed è il tentativo organico di dar vita ad un nuovo equilibrio politico nel paese.

Per questo, non ci siamo illusi che fosse sufficiente una generica agitazione, in quanto si tratta di invertire una tendenza che ha i suoi presupposti nello sfaldamento della coalizione di centro-sinistra nella nuova collocazione della DC all’insegna della “centralità”, nello sbandamento di estesi gruppi sociali, nell’offensiva conservatrice delle forze dominanti. A sostegno del governo stanno delle basi reali, le quali però hanno ancora un carattere precario, non consolidato. Queste basi possono infatti essere individuate in quelle forze che avvertono un’esigenza indistinta di ordine, di stabilità, che hanno potuto vedere nell’attuale governo, nella sua posizione di efficienza operativa, una certa garanzia per uno svolgimento regolato della vita civile; si tratta quindi in primo luogo, di strati sociali intermedi, che hanno una posizione di attesa, che, scoraggiati e delusi dalle negative esperienze del recente passato, sono rifluiti su una linea di passività e di qualunquismo, ma che possono tuttavia essere riconquistati ad una battaglia democratica, se questa riesce a svilupparsi nel paese con forza e con chiarezza di obiettivi, sostenuta da un arco di forze largo e qualificato.

Il tema centrale è quindi oggi quello delle alleanze, del rapporto con quelle forze sociali per loro natura oscillanti, il cui orientamento finisce per essere l’elemento decisivo nella definizione di rapporti di forza. Ciò forse può spiegare, almeno parzialmente, il fatto che l’offensiva conservatrice e reazionaria si sia concentrata in alcuni punti: a Milano, grande concentrazione urbana ricca di stratificazioni sociali complesse, e nel Mezzogiorno, in una realtà sociale disgregata nella quale il peso degli strati semiproletari o sottoproletari può offrire un terreno d’azione favorevole alle forze di destra.

In entrambi i casi, la lotta politica si svolge attorno ad un nodo centrale, quello appunto del blocco di forze sociali da organizzare nell’una o nell’altra direzione.

D’altra parte, abbiamo giustamente identificato la natura del governo di centro-destra nel suo carattere “conservatore”, rifiutandoci di dare spazio a quelle interpretazioni demagogiche e propagandistiche che pretendono di cogliere nella situazione una svolta reazionaria generale, un processo di fascistizzazione, tale da richiedere quindi forme di lotta eccezionali ed estreme. Il governo Andreotti va fronteggiato, infatti, sul suo stesso terreno, e a nulla servono le forzature propagandistiche, perché, come è noto, la demagogia è un’arma a doppio taglio e si ritorce, alla fine, contro chi la usa. Andreotti si muove con abilità e con senso di realismo: la sua politica non è la disperata avventura reazionaria, ma è il tentativo di spegnere le istanze di rinnovamento nel culto della “buona amministrazione”, di svilire la vita democratica, senza spezzarne le basi istituzionali, di diffondere la passività e la miopia corporativa, a prezzo anche, se è necessario, di concessioni.

II bilancio di questi primi mesi di centro-destra è ancora contraddittorio. Le debolezze del governo si sono, per un verso, accentuate, e ne è prova la situazione interna alla DC, nella quale si fanno sempre più esplicite le prese di posizione che tendono ad un mutamento di indirizzo politico. Evidentemente la Democrazia cristiana, posta di fronte all’ampiezza del movimento di lotta nel paese, non vuole identificare le proprie sorti con quelle di questo governo, e si appresta cautamente a preparare una possibile via di uscita. D’altra parte, però, il governo dispone ancora di margini di manovra, e non ha acquistato ancora sufficiente forza e chiarezza la prospettiva di un nuovo sbocco politico.

La situazione milanese è abbastanza indicativa di questo stato di incertezza, di questa fluidità della situazione politica. Il centro-sinistra, che ha avuto proprio a Milano il suo atto di nascita, sopravvive stancamente, paralizzato dai suoi interni contrasti, privo di una linea politica organica, continuamente insidiato da manovre di carattere conservatore, le quali però non sembrano puntare seriamente, almeno fino ad ora, ad un rovesciamento di maggioranza, ma piuttosto tendono a logorare e a deteriorare la vita democratica a condizionare la politica di centro-sinistra , ridimensionando e snaturando ogni tentativo anche timido di rinnovamento. La Democrazia cristiana, pur avendo irrigidito le sue posizioni, si limita a minacciare continuamente la rottura, a tenere la coalizione di centro-sinistra in uno stato permanente di crisi strisciante, senza forzare oltre le cose.

Il risultato più preoccupante di questa fragilità degli equilibri politici è la spinta alla paralisi delle istituzioni democratiche, la loro inefficienza, da cui traggono ovviamente profitto le forze economiche dominanti. È inoltre da valutare con attenzione il peso politico che hanno a Milano i “partiti minori”, come quello socialdemocratico, repubblicano e liberale, i quali si configurano come partiti essenzialmente urbani, espressione di un elettorato piccolo borghese di ceto medio. Si Si viene così determinando un’area di “democrazia laica” che non rientra nelle tre grandi correnti storiche del nostro paese, e che conserva una sua vitalità, pur presentando al proprio interno una notevole oscillazione, in quanto appunto riflette gli umori variabili di un elettorato scarsamente politicizzato, che di volta in volta, si riconosce nell’una o nell’altra formazione politica, ora orientato in senso riformista, ora in senso moderato e conservatore.

È questo un fenomeno che non abbiamo finora analizzato attentamente, rischiando così di non cogliere uno degli aspetti essenziali dell’equilibrio politico complessivo della città. Queste forze intermedie hanno avuto una parte di primo piano in tutto il processo politico che ha condotto al centro-destra, e ciò mette in evidenza un limite della nostra azione, il fatto che nella costruzione di uno schieramento unitario non abbiamo saputo stabilire un rapporto reale con il ceto medio urbano, pur affermando in teoria che esso è un potenziale alleato della classe operaia.

Mi pare importante mettere in luce il legame organico che unisce la questione delle alleanze a quella della costruzione di nuovi rapporti politici: se si dimentica questo legame tutta la nostra politica rischia di incepparsi, di perdere concretezza. Abbiamo da tempo acquisito l’idea che, nella realtà italiana, le forze sociali, gli interessi di classe, trovano la loro espressione reale nel sistema delle forze politiche, che sarebbe pertanto artificiosa ogni contrapposizione di questi due momenti. Ed è questo un’dato di grande valore positivo: non vi può essere infatti reale democrazia – ce lo ha insegnato Togliatti – senza la funzione di partiti politici, che siano il momento di sintesi e di rielaborazione dei molteplici interessi di classe. È questa una delle condizioni essenziali da cui muove la stessa idea della via democratica al socialismo, la quale presuppone appunto l’esistenza di forze politiche realmente significative, di un sistema politico che sia un confronto aperto di posizioni. Le teorie spontaneistiche, il culto del “sociale” dell’immediato, del movimento informale e spontaneo, sono al di fuori della nostra tradizione di pensiero, e sono, soprattutto, al di fuori della realtà italiana cosi come si è storicamente configurata. Queste teorie finiscono per essere delle varianti di “sinistra” del qualunquismo conservatore, ci riportano indietro, ad una fase elementare, primitiva, della lotta di classe.

La coscienza della dimensione politica, la capacità di trasferire i propri interessi sul terreno sul terreno generale dello Stato di collocarli all’interno di una visione d’insieme della società, è per la classe operaia la condizione essenziale perché possa divenire classe dirigente, ed è per gli altri gruppi sociali la condizione di una loro emancipazione dall’egemonia della classe dominante e di una loro alleanza con n movimento operaio. La strategia delle alleanze, quindi, passa necessariamente attraverso le mediazioni politiche, che non sono, come qualcuno ritiene, un ostacolo, ma sono invece il canale di un rapporto reale tra le diverse formazioni sociali. È certamente vero che nel processo di formazione di una coscienza politica si inseriscono elementi di mistificazione, ma è pur sempre meglio sbagliare partito che non averne nessuno.

Ho insistito su questo punto, perché mi pare che vi sia ancora un limite nell’azione pratica del partito a Milano, per cui uno degli obiettivi da conseguire è l’impegno di tutte le organizzazioni in una iniziativa che coinvolga, in modo continuo e sistematico, le altre forze politiche, che le impegni in un confronto, che favorisca lo sviluppo di un processo unitario. A Milano, questo lavoro di costruzione di nuovi rapporti politici ha avuto degli sviluppi interessanti e dei risultati concreti, in particolare sui temi della lotta antifascista e democratica e sulla azione per la pace nel Vietnam. Su entrambi questi terreni lo schieramento unitario che si è costruito ha coinvolto la Democrazia cristiana, e altre forze governative, mettendo così in moto un processo di segno opposto rispetto a quello che ha determinato la svolta di centro-destra.

È quella linea politica che ha consentito al movimento operaio di tenere testa all’offensiva delle forze conservatrici, e che può ora far fallire il di segno di stabilizzazione del centro-destra e aprire nuove prospettive politiche. Il piano delle forze dominanti per imporre una battuta d’arresto della politica riformatrice e per spostare a destra l’intero equilibrio politico – un piano che ha avuto a Milano il suo epicentro – non si sviluppa in modo omogeneo, lineare, ma è il risultato dell’azione, ora convergente e ora contraddittoria, di forze diverse, moderate o reazionarie, ed è proprio ciò che ha permesso al movimento operaio di contromanovrare efficacemente, di spezzare la trama della provocazione, di scompaginare i piani della reazione; facendo leva in primo luogo sull’unità antifascista ed impegnando le forze moderate a mantenere lo scontro politico entro il quadro della democrazia costituzionale. Sarebbe, è evidente, un errore suicida quella politica che, rinunciando ad un rapporto con le forze moderate favorisse la formazione di un “blocco d’ordine” compatto. Si tratta invece, come sempre, di seguire il metodo dell’analisi differenziata: di cogliere appieno tutte le contraddizioni interne al blocco dominante, le tendenze diverse, gli interessi oggettivamente divergenti, e di tenere conto di tutto ciò nell’azione pratica, per fronteggiare con successo gli attacchi che vengono mossi contro il movimento operaio.

In questa maturità politica è la garanzia più alta dell’autonomia e del ruolo della classe operaia, che sarebbe invece ridotta in una posizione subalterna e passiva se si lasciasse guidare dal radicalismo intransigente, da una visione chiusa e schematica della propria posizione nella società. Con questa linea giusta, potranno prendere forza tendenze nuove, sbocchi politici più avanzati, a cui dobbiamo guardare senza farci imprigionare in una disputa di formule, e ponendo con forza l’esigenza di un mutamento urgente del quadro politico, di un rovesciamento di tendenza, che appare oggi obiettivo possibile e reale. A sostegno di questa prospettiva sta un movimento di massa robusto, unitario, dotato di una elevata capacità politica, capace di misurarsi con i problemi di fondo del paese.

Il compito essenziale del partito può essere individuato, in questo momento, nell’azione di collegamento tra le lotte sociali e lo sbocco politico, nella capacità di porre al centro della vita politica del paese la questione del rapporto con l’intero movimento operaio, con te sue organizzazioni, con i suoi obiettivi di riforma, essendo questo appunto il nocciolo di una svolta democratica che avvii il paese fuori dalla crisi politica attuale e da ogni tentazione reazionaria.



Numero progressivo: G45
Busta: 7
Estremi cronologici: 1973, 23 febbraio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “Rinascita”, n. 8, 23 febbraio 1973, pp. 9-10