[LE ALTE PROFESSIONALITÀ NELL’IMPRESA]

Convegno PCI del 5 dicembre 1986

Intervento di Riccardo Terzi – Segretario regionale CGIL Lombardia

È stata ricordata nella relazione di Dainotto la conferenza dei quadri indetta dal partito nell’82. Consentitemi di partire da qui, anche perché allora mi ero direttamente occupato dell’organizzazione di quella conferenza, per fare un po’ un bilancio politico di questi quattro anni.

Qual era in quel momento il problema che avevamo di fronte? Il problema era il riconoscimento politico di un movimento reale, del movimento dei quadri, nelle sue diverse articolazioni, un movimento di cui appunto andava riconosciuta la legittimità come parte della realtà del mondo del lavoro, una parte con sue proprie specificità, un movimento portatore di esigenze diverse, non riconducibili alle esigenze generali complessive del movimento operaio.

E allora si cercava di dare a questo movimento uno sbocco che non fosse uno sbocco corporativo, di separazione, che non si riducesse a una rivendicazione di status, a una rivendicazione di tipo giuridico. Di qui anche un atteggiamento, che abbiamo avuto sia come partito che come sindacato, di non particolare entusiasmo nei confronti delle proposte legislative che tendevano invece a ridurre il tutto a un fatto puramente formale di riconoscimento astratto, anche se la legge, a un certo punto, l’abbiamo accolta come un compromesso accettabile, in quanto, sostanzialmente, rinviava alla contrattazione collettiva, quindi manteneva un ruolo all’insieme del movimento sindacale di una contrattazione del rapporto di lavoro anche per quanto riguarda i quadri.

Ebbene, io credo che su questi punti politici quella battaglia politica che abbiamo aperto nella sinistra è stata sostanzialmente vinta, perché ormai è quasi un luogo comune il riconoscimento delle differenziazioni interne al mondo del lavoro. In questo senso aveva ragione Vigevani a dire che non siamo più al momento in cui si trattava di fare la battaglia contro l’egualitarismo, perché proprio non c’è più il nemico.

Il movimento sindacale in questi anni ha fatto dei passi rilevanti. Il cambiamento è nei fatti, non soltanto nei documenti, nelle dichiarazioni, e lo hanno ricordato stamattina Trentin, Garavini, Vigevani. Oggi siamo impegnati su un terreno molto concreto che dà corpo a una svolta che è avvenuta nei comportamenti del movimento sindacale.

Oggi le questioni sono essenzialmente due, almeno quelle più rilevanti: prima, nei contratti andare concretamente a un riconoscimento della professionalità dei quadri, avere qui, sul piano contrattuale, lo sbocco della legge 190; in secondo luogo, affrontare i problemi della rappresentanza tentando, tra il sindacato e le associazioni dei quadri, un compromesso politico che consenta di affrontare i problemi della rappresentanza dei quadri partendo dalla realtà, da una realtà in cui c’è il sindacato confederale, ci sono altri momenti di organizzazione autonoma dei quadri.

È un compromesso può essere trovato non delegando altri, non con una delega in bianco alle associazioni dei quadri, ma individuando dei percorsi di democrazia sindacale, di partecipazione effettiva dei quadri a tutti i momenti di decisione, di scelta delle piattaforme, degli accordi, e così via, e, in questo ambito, dentro un ruolo unitario del sindacato, avere anche momenti specifici di organizzazione professionale dei quadri. Questo può essere un terreno su cui lavorare.

Ma, detto questo, siccome io non voglio ripetere cose già dette molto bene questa mattina, vinta questa battaglia politica e culturale, in quale direzione andiamo? Io sento da molto tempo una tendenza nelle analisi, nei ragionamenti correnti, secondo la quale ormai il mondo del lavoro, la società nel suo complesso è una società non riconducibile a grandi opzioni politiche unitarie. C’è una somma di corporazioni di interessi tutti inevitabilmente parziali, o perfino una individualizzazione.

Io credo che noi dobbiamo reagire a questa tendenza. Abbiamo fatto una battaglia per riconoscere delle specificità, ma oggi il problema politico è quello di ritrovare delle ragioni forti di unità del movimento di classe, non abbiamo condotto quella battaglia per essere noi veicoli di tendenza alla frantumazione corporativa. Oggi c’è il problema di ritrovare delle ragioni politiche generali di unità di classe del movimento dei lavoratori, e questo problema non lo risolviamo sul piano sociologico, sul piano degli interessi immediati. È evidente che il movimento dei lavoratori, la realtà del mondo, dell’universo del lavoro dipendente è una realtà molto differenziata, con esigenze diverse, interessi diversi, posizioni diverse nel processo produttivo, e così via.

Io credo che questo tema della ricomposizione unitaria del mondo del lavoro sia un tema essenzialmente di natura politica. E allora si tratta di vedere che cosa sta accadendo oggi nella società italiana, nel capitalismo italiano così com’è oggi. Vanno avanti processi di riorganizzazione del potere economico, di concentrazione del potere in grandi gruppi, c’è un dominio dei grandi apparati sull’insieme della vita economica.

E allora, la questione che a me pare davvero decisiva è quella del controllo democratico dei processi economici, come grande tema di riunificazione politica del mondo del lavoro.

Io credo che noi su questi temi dovremmo un po’ spostare la discussione e il confronto con i quadri.

Io ho partecipato più volte a vari convegni, sento però una certa angustia, che resta nelle cose anche dette questa mattina da Rossitto, da altri, come se l’unico problema per i quadri fosse soltanto quello di un riconoscimento salariale, di un riconoscimento professionale, o non anche, invece, una questione più generale di come si partecipa a un’iniziativa politica per definire le grandi scelte di sviluppo del nostro paese.

Io credo che come partito in particolare, su questi temi noi dobbiamo impegnarci.

Nell’ultima riunione del Comitato centrale del partito c’è stata un’analisi interessante, a questo proposito, nella relazione di Occhetto, che metteva appunto l’accento sui processi reali di trasformazione degli assetti di potere nel nostro paese e che metteva al centro appunto la questione democratica: come riconquistare un controllo democratico sui grandi processi di sviluppo, sui grandi processi di trasformazione economica.

Ecco che allora su questi temi noi possiamo fare un lavoro politico, non sociologico e non soltanto sindacale, verso i quadri e i tecnici (lo diceva anche la relazione). Io credo che noi potremmo darci un calendario di lavoro per cui, a partire da qui, poi affrontiamo con i quadri queste questioni nei vati settori della vita economica, ma per discutere non in quale categoria vengono inquadrati i quadri e quant’è il differenziale salariale, anche perché questa è una materia, più che di competenza di un partito politico, di competenza del sindacato, ma per discutere sulle prospettive della vita .economica del paese, quale tipo di sviluppo, quali scelte di politica industriale, quale ruolo delle Partecipazioni Statali, quali forme di controllo, di programmazione democratica dell’economia.

I quadri non hanno nulla da dire su questo? Sono preoccupati soltanto delle pensioni integrative? O pensano invece di essere una forza che ha qualche cosa da dire sulle grandi scelte politiche?

Io credo che questa sia la sfida in positivo da fare per uscire fuori da una discussione che rischia di rinchiudersi in un’ottica sempre più ristretta e qualche volta un po’ angusta.

Quindi, un programma di lavoro politico, affrontando i problemi della democrazia economica. Chi decide nell’impresa? Che tipo di proposte possiamo fare per realizzare nell’impresa relazioni industriali di tipo nuovo, che consentano il massimo di coinvolgimento, di partecipazione dei lavoratori, di controllo democratico, di valorizzazione delle competenze, delle professionalità, contro i tentativi di ricondurre l’impresa dentro una logica autoritaria, dentro una logica autocratica, per cui il quadro conta ma conta soltanto in quanto ha un ruolo gerarchico?

E qui si aprono anche problemi più generali di rapporto tra la politica e le competenze e le professionalità! Ci sono vicende politiche anche recenti che hanno riproposto con grande forza questo tema, pensiamo a tutta la discussione sulle nomine bancarie, in particolare in questi ultimi tempi. Qui c’è un problema che credo sia anche un problema nostro, non è soltanto un problema di De Mita, è anche un problema della sinistra, di individuare con più chiarezza una riforma della politica, un nuovo modo di essere delle forze politiche nel rapporto con la società, nel rapporto con le competenze, per far sì che le competenze possano pesare, essere un momento che conta nella definizione delle scelte politiche. Questo è un problema anche per il partito, come ci organizziamo, come valorizziamo questi apporti, come stabiliamo un rapporto più aperto con la società, con le competenze, con le forze professionalizzate.

Io ho buttato lì molto sommariamente questi temi, senza nessuna pretesa di approfondimento anche per i tempi stretti. Però questo è il bivio che ha davanti oggi il movimento dei quadri: o punta soltanto a un riconoscimento formale di status, ad avere qualche privilegio, ad avere ribadito un ruolo gerarchico nell’impresa e un insieme di privilegi sociali (le pensioni integrative e altri trattamenti separati, diversi da quelli degli altri lavoratori), puntando a un prestigio del tutto esteriore, del tutto apparente, oppure può tentare – questa è la strada che a me pare molto più produttiva – di avere davvero un ruolo politico, di pesare nelle decisioni, sia per quanto riguarda le scelte di funzionamento, di organizzazione nelle imprese, sia per quanto riguarda le grandi scelte di sviluppo economico del paese.



Numero progressivo: A48
Busta: 1
Estremi cronologici: 1986, 5 dicembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: ?