[L’ATTUALE PANORAMA DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI]

Bozza di intervento di Riccardo Terzi decontestualizzato

1) L’attuale panorama delle relazioni industriali è segnato da un brusco deterioramento.

Nell’orientamento dei gruppi economici dominanti sembra prevalere una scelta dichiaratamente restauratrice, che punta, a ripristinare nel sistema delle imprese metodi di direzione del tutto discrezionali e unilaterali e a ridimensionare in modo sostanziale il potere di contrattazione conquistato dal movimento sindacale.

Questa tendenza ad esautorare il potere del sindacato non si manifesta soltanto nel campo delle scelte di politica industriale, dove in verità è sempre stata debole la capacità di contrattazione, ma anche sul terreno più tradizionalmente proprio dell’azione sindacale, come ad esempio nella politica salariale. La campagna violentissima sul costo del lavoro e sulla scala mobile è lo schermo dietro il quale ha preso sempre più consistenza la pratica degli aumenti di merito decisi al di fuori di ogni confronto col sindacato, con la conseguenza non già di contenere la dinamica complessiva delle retribuzioni, ma di modificare radicalmente il rapporto tra salario contrattato e non contrattato.

La parte non contrattata raggiunge ormai, nelle categorie più elevate, percentuali che oscillano intorno al 20%.

E all’iniziativa del sindacato per una contrattazione aziendale integrativa, che consenta di recuperare un controllo democratico sui cambiamenti che stanno avvenendo nelle imprese, la Confindustria risponde con una pregiudiziale politica e col tentativo di rinviare ogni decisione ad una nuova trattativa centralizzata.

C’è, più in generale, il ritorno ad una concezione dell’impresa che elimina ogni considerazione degli aspetti sociali: nell’impresa deve valere il criterio esclusivo del profitto, e quindi deve essere garantita l’univocità del comando, senza condizionamenti, e le conseguenze di ordine sociale, a partire dall’occupazione, sono scaricate sulla responsabilità del potere politico.

Questo è il linguaggio dei fatti. Ed è quindi sempre più stridente la contraddizione della realtà effettiva delle cose con le esigenze, più volte affermate anche da parte padronale, di uno sviluppo nuovo delle relazioni industriali nel senso di una partecipazione più diffusa e di una risoluzione degli elementi più acuti di conflittualità attraverso il perfezionamento di metodi di confronto che consentano la responsabilizzazione reciproca delle parti sociali.

Non si può che partire, quindi, dalla premessa che in questi anni in materia di relazioni industriali non c’è stato nessuno sviluppo positivo, almeno per quanto riguarda le tendenze generali, che non risultano smentite da singole e circoscritte situazioni dove la tendenza è stata diversa. Il traguardo di una moderna democrazia industriale non è il naturale punto d’arrivo dell’evoluzione spontanea della società, ma è l’obiettivo di una lotta politica e sociale carica di difficoltà e di ostacoli. Si tratta di un tema che non può procedere solo con i mezzi dei convegni e delle tavole rotonde, ma richiede strumenti efficaci di mobilitazione e di lotta.

 

2) Il ritardo grave che abbiamo accumulato su questo terreno è anche il frutto di un complesso di incertezze, di timidezze e di remore ideologiche che hanno impacciato e frenato l’iniziativa del movimento operaio.

La tendenza è stata quella ad affidarsi esclusivamente alla forza della mobilitazione di classe e all’iniziativa autonoma degli strumenti di rappresentanza sindacale dei lavoratori, diffidando di ogni ipotesi di regolamentazione dei rapporti sociali, rifiutando in via di principio la definizione di norme, di procedure istituzionalizzate, in quanto esse avrebbero inevitabilmente menomato l’autonomia di classe del movimento e l’avrebbero trascinato sul terreno scivoloso di una collaborazione subalterna. Tali rischi naturalmente esistono, e questa diffidenza storica non è priva di motivazioni.

Ma il movimento operaio non può rifiutarsi di affrontare questo problema, se non al rischio di subire senza difese efficaci tutti i contraccolpi dell’offensiva dei gruppi capitalistici nei momenti in cui i rapporti di forza evolvono in senso meno favorevole. E oggi ci troviamo appunto in presenza di una tale offensiva, e appaiono quindi in evidenza i nostri ritardi, e si fa urgente l’esigenza di una correzione di rotta, e quindi di una nostra elaborazione concreta capace di delineare il modello di una democrazia industriale che dia ai lavoratori e alle loro rappresentanze garanzie certe e strumenti efficaci di controllo e di contrattazione.

Se è da respingere in quanto astratta ed illusoria l’idea di una cogestione che elimini le radici del conflitto sociale, si pone invece, in modo assai concreto, il problema degli strumenti e delle procedure per esercitare, come movimento sindacale, un ruolo effettivo di contrattazione su, tutti i diversi aspetti della vita dell’impresa. D’altra parte dovrebbe essere chiaro che il pericolo, in una fase come quella attuale, non è quello di un eccessivo coinvolgimento del sindacato nelle decisioni, ma al contrario di una sua definitiva estromissione. Il timore ossessivo della cogestione è del tutto fuori dall’orizzonte dei problemi reali, e ha, nella pratica, l’effetto di spingere il movimento sindacale in una posizione di isolamento e di inerzia, così che non riesce a cogliere e a utilizzare gli spazi di iniziativa che, pur in una situazione difficile, si possono aprire.

 

3) Il quadro generale appare in una luce meno negativa se consideriamo la situazione delle aziende pubbliche, e in modo particolare il negoziato che è stato aperto con l’IRI e che sta entrando nella sua fase conclusiva.

La piattaforma unitaria presentata all’IRI dalle organizzazioni sindacali si basa su due obiettivi fondamentali: riconoscimento al sindacato di un ruolo di contrattazione preventiva sulle linee di politica industriale e delle scelte di ristrutturazione delle imprese, costituzione di comitati paritetici di consultazione a livello aziendale, territoriale, e di settore. Questi due obiettivi sono evidentemente tra loro collegati, in quanto i comitati sono lo strumento per garantire l’informazione e la consultazione preventiva.

Se questa impostazione riuscirà ad essere affermata nelle trattative con l’IRI, ci troveremo di fronte ad una svolta politica di grande importanza, e. un fatto innovativo che ribalta la pratica attualmente vigente. Infatti, in tutte le imprese, anche in quelle pubbliche, il sindacato riesce ad intervenire solo sugli effetti delle decisioni prese, e i processi di ristrutturazione e di innovazione avvengono sulla base di decisioni unilaterali che sono sottratte ad ogni forma di contrattazione.

L’esame preventivo dei progetti può consentire di controllare e di prevenire la conflittualità, in quanto si può concordare un periodo di tempo entro il quale il sindacato non ricorre all’azione diretta e l’azienda non dà luogo alla realizzazione pratica delle decisioni che sono oggetto della controversia. Resta l’autonomia reciproca delle parti, ma si individua un percorso che consente di verificare preventivamente tutte le possibilità di intesa. Non si tratta quindi di cogestione, perché il sindacato non ha alcuna responsabilità diretta nella gestione dell’impresa, e in caso di mancato accordo può decidere in tutta autonomia le proprie iniziative di lotta.

Per questa via si può ottenere un controllo della conflittualità, ma non a scapito dell’autonomia sindacale, non con forme di regolamentazione dall’alto, di tipo burocratico, ma al contrario allargando i diritti di informazione e di partecipazione, riconoscendo a pieno titolo il sindacato come interlocutore in tutte le decisioni che riguardano l’impresa.

È evidente che si tratta di una concezione delle relazioni industriali che si muove in una direzione opposta rispetto alle tendenze che oggi sono prevalenti nella Confindustria. Per questo la conquista di un accordo di questo tipo con l’IRI avrebbe un grande significato politico, e introdurrebbe nel panorama dei rapporti sindacali un elemento forte di novità e di svolta.

Intorno a questo nodo politico è aperta una battaglia all’interno dei gruppi dirigenti del settore pubblico, e la stessa trattativa con l’IRI avviene in mezzo a difficoltà, e in presenza di spinte contrapposte. Non c’è ancora, a me pare, nell’insieme del movimento sindacale un’attenzione sufficiente e una consapevolezza piena della posta politica che è in gioco. Pesano quelle inerzie e quelle diffidenze di cui si è detto. Ma guai a farci condizionare da questa forza d’inerzia: si tratta invece di affrontare con i lavoratori una discussione chiara ed esplicita, e di dare risposta agli interrogativi e alle preoccupazioni che possono sorgere. Il problema più rilevante riguarda il ruolo che, nel quadro delle nuove relazioni industriali, spetta al Consiglio dei delegati.

C’è un attacco alla struttura dei consigli, c’è il tentativo di esautorare la loro funzione, mettendo in discussione il loro ruolo di rappresentanza generale di tutti i lavoratori.

Sorge allora il dubbio che la costituzione dei comitati paritetici si inquadri in questa strategia di liquidazione dei consigli.

Bisogna tenere ben fermi due punti. Il primo è che la rappresentanza sindacale nei comitati paritetici deve avere la sua parte di legittimità attraverso una elezione da parte dei Consigli, così da evitare ogni dualismo. Il Consiglio dei delegati non delega ad altri il proprio ruolo, ma può avvalersi, all’interno del comitato paritetico, di particolari competenze tecniche che sono necessarie per reggere il confronto con la controparte. In secondo luogo, ai comitati paritetici non è affidato un ruolo di contrattazione, ma la loro funzione è di tipo istruttorio, e consiste nell’organizzazione delle informazioni, nell’esame delle diverse opzioni possibili, nell’esplorazione preventiva di tutte le diverse e complesse implicazioni di una determinata scelta, così da preparare il terreno ad una trattativa che sia proficua e che possa più agevolmente trovare i punti possibili di intesa.

Sarà necessaria, in ogni caso, una fase di sperimentazione, perché solo sulla base dell’esperienza concreta potranno essere meglio definiti e chiariti questi problemi.

 

4) A partire dalla piattaforma IRI, che non costituisce un modello ma un punto di riferimento utile, va generalizzata l’iniziativa sindacale per una nuova democrazia nelle imprese, per ottenere un nuovo complesso di diritti e di strumenti di contrattazione e di controllo. Ciò riguarda anzitutto le aziende pubbliche; e nell’area milanese un primo terreno di iniziativa può essere quello che riguarda le aziende municipalizzate e le altre società comunali.

Ma la questione della democrazia industriale non può essere limitata al settore pubblico. Occorre definire obiettivi e piattaforme anche per i grandi gruppi privati, e già nel corso della fase di contrattazione integrativa che si è aperta possono essere perseguiti alcuni risultati parziali.

Non c’è infatti una differenza di principio tra il settore pubblico e quello privato. Non riteniamo utile nelle aziende pubbliche una diretta partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori alla gestione, e pensiamo che in queste aziende debbano valere criteri rigorosi di efficienza e di produttività; né d’altra parte passiamo accettare che nell’impresa privata venga meno l’esigenza di un controllo democratico da, parte dei lavoratori e che si debba ritornare ad un metodo di direzione di tipo autocratico.

L’autonomia dell’impresa non è un dato assoluto. Essa deve essere salvaguardata, ma all’interno di alcuni vincoli. Il primo vincolo è dato dagli indirizzi della programmazione economica nazionale, di una programmazione che non sia centralizzata e che non pretenda di regolamentare burocraticamente tutte le scelte produttive, ma che sia tuttavia efficace e capace di orientare secondo determinati obiettivi tutto il complesso dell’attività economica. Il secondo vincolo è quello che viene dalla necessità per l’impresa di una consultazione democratica con i lavoratori, di una ricerca di consenso, di un riconoscimento del ruolo del sindacato e del suo diritto di contrattazione.

C’è quindi, o meglio dovrebbe esserci, un duplice condizionamento, dall’alto e dal basso, e su entrambi questi versanti debbono essere fissate in modo chiaro le procedure necessarie per giungere alle decisioni e le competenze delle diverse parti in causa. Oggi questa chiarezza non c’è, né per quanto riguarda il rapporto impresa-Stato, né per quello impresa-lavoratori. Per questo, è da prendere in seria considerazione l’opportunità di un intervento legislativo di tipo organico che regolamenti tutta questa materia e che definisca le coordinate entro le quali si deve collocare l’iniziativa delle imprese.

Nel momento in cui si diffonde una pericolosa ondata neo-liberistica, che rischia di fare breccia anche nella cultura della sinistra, credo sia utile prendere per tempo delle contromisure, e riaprire una discussione sugli strumenti per una programmazione democratica dell’economia. Per quanto riguarda più direttamente il tema delle relazioni industriali, l’intervento legislativo può consistere nella definizione di procedure obbligatorie di consultazione su determinate materie, ed eventualmente anche, sulla base delle esperienze che potranno essere fatte, nell’istituzionalizzazione di comitati paritetici nei grandi gruppi e nelle singole imprese di una data dimensione.

 

5) Il tema della costruzione di nuove relazioni industriali ci è imposto, come questione cruciale ed urgente, dalla rapidità e profondità delle trasformazioni tecnologiche e organizzative che sono in atto nell’apparato produttivo e nei servizi.

È un processo che investe direttamente, in tutti i suoi aspetti, la condizione di lavoro, che agisce sull’occupazione, sul mercato del lavoro, sulla professionalità. È del tutto inaccettabile che un tale rivoluzionamento possa avvenire senza che i lavoratori vi possano intervenire come soggetti attivi.

Non solo è in gioco il loro futuro, ma è essenziale, per realizzare su vasta scala i necessari processi di innovazione, che vi sia tra i lavoratori un atteggiamento positivo, una loro partecipazione cosciente.

L’innovazione richiede infatti un cambiamento profondo delle forme tradizionali di organizzazione del lavoro, un superamento della struttura organizzativa eccessivamente rigida e gerarchizza, e sollecita quindi un grado più elevato di autonomia nel lavoro, di responsabilità, di professionalità, di partecipazione attiva.

Un nuovo clima nelle relazioni industriali costituisce quindi una condizione favorevole allo sviluppo dell’innovazione.

Occorre naturalmente che vi sia, in corrispondenza con questo processo, una capacità di rinnovamento culturale nell’organizzazione sindacale.

Non solo deve essere chiara, una opzione politica a sostegno della innovazione, ma si debbono elaborare in modo nuovo i contenuti dell’azione rivendicativa del sindacato, abbandonando rigidità oggi prive di senso, e cercando di cogliere nel processo innovativo tutte le possibilità nuove per una trasformazione qualitativa del lavoro, per uno sviluppo della professionalità, per una valorizzazione delle qualità personali che si affermano nel lavoro.

Non si tratta quindi di avere una posizione difensiva di fronte ai problemi nuovi posti dall’innovazione, ma al contrario di assumere consapevolmente il terreno dell’innovazione come quello più favorevole, come l’occasione per avviare un processo di liberazione del lavoro.

I temi dell’orario, della formazione, dell’organizzazione del lavoro possono essere affrontati in questa nuova prospettiva. Ma il cambiamento non avviene spontaneamente, ed occorre allora che il movimento sindacale conquisti un proprio ruolo nella fase di progettazione dei nuovi modelli organizzativi, che concorra a determinare le scelte, e che si attrezzi quindi per elaborare le proprie proposte.

Queste condizioni più favorevoli che sono indotte dall’innovazione tecnologica richiedono, per potersi esprimere compiutamente, un processo di democratizzazione della vita delle imprese, e quindi una lotta politica contro le tendenze in atto e contro le spinte a centralizzare i processi decisionali, a restaurare rigidi controlli gerarchici sul lavoro, e restringere gli spazi di partecipazione per tutti i lavoratori.

La lotta interna a questo nodo politico sarà decisiva nel prossimo futuro. Per questo il movimento operaio ha bisogno di un’iniziativa che sia in grado di aggregare uno schieramento di forze molto ampio.

Ha bisogno, nelle aziende, di un rapporto nuovo con i tecnici, con i quadri, e anche con i settori più aperti della dirigenza, e deve aprire contraddizioni nello schieramento padronale, isolando i gruppi più retrivi e battendo le ipotesi di restaurazione autoritaria. Ed ha bisogno, inoltre, di collegamenti politici, e di una iniziativa anche sul terreno legislativo a sostegno della battaglia per una nuova democrazia industriale. Se di questo si tratta, di una battaglia che ha un valore strategico, riguarda non solo il sindacato, ma tutta la sinistra e tutte le forze di progresso.



Numero progressivo: B74
Busta: 2
Estremi cronologici: [1984]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -