LA RAPPRESENTANZA DEI PENSIONATI E DEGLI ANZIANI IN EUROPA

Desenzano del Garda 13-14 ottobre 2005

Relazione di Riccardo Terzi – Segretario Generale SPI CGIL Lombardia

Parlare della rappresentanza vuoi dire interrogarsi sul senso del nostro lavoro, su ciò che siamo e vogliamo essere, perché sta proprio nella rappresentanza la ragion d’essere del sindacato. E nella rappresentanza sta il fondamento della nostra autonomia, del nostro rapporto con la politica in cui è sempre essenziale mantenere una distanza, un distacco critico, perché rappresentare e decidere sono funzioni distinte, entrambe essenziali per la vita democratica, ma non sovrapponibili. Un sistema democratico funziona se decisione politica e rappresentanza si sanno mettere in relazione, sanno comunicare tra loro, mantenendo la loro distinzione.

Questo tema va oggi affrontato nella dimensione europea, perché è questo lo scenario obbligato nel quale dobbiamo collocare tutte le nostre scelte. E allora non possiamo sfuggire al grande nodo della crisi politica dell’Europa, della situazione di impasse che si è determinata dopo l’esito dei referendum in Francia e in Olanda. Da allora è tutto fermo. Si è parlato di una necessaria pausa di riflessione: la pausa è prolungata, mentre della riflessione non si vede traccia. Si è aperta una fase nuova, con molte incognite, con molti cruciali interrogativi che restano aperti, per cui tutta la discussione sul futuro dell’Europa viene riaperta e deve essere reimpostata e chiarita nelle sue premesse di fondo.

Non si tratta di una semplice fase di assestamento, di una battuta di arresto momentanea, che sarà inevitabilmente superata, e non basta per ciò affidarsi alle sottigliezze dell’arte diplomatica. È una crisi che va presa molto sul serio. Essa si manifesta nella distanza tra i cittadini e le istituzioni europee, che vengono percepite come una burocrazia invadente, come un potere fuori controllo che non risponde democraticamente delle sue decisioni. E questa percezione, questo senso di “distanza”, ha avuto una forte accelerazione con l’allargamento dell’Unione verso le nuove democrazie dell’est europeo, perché ciò che si sta formando è una istituzione estremamente complessa, che si fa fatica a cogliere nella sua dinamica, nei suoi meccanismi politici, e ne viene un senso di impotenza e di inquietudine, come se fossimo dominati da un potere che non sappiamo più controllare.

Che questa sia una percezione deviata, fondata sulle paure ancestrali di un vecchio spirito nazionalistico che vede, fuori dal suo raggio d’azione, solo la minaccia del “diverso”, è certamente vero, ma ciò non toglie nulla alla pericolosità politica di questa situazione. C’è un grande deposito di spirito anti-europeo che rischia di esplodere. Dietro l’ufficialità delle dichiarazioni di fede europeista, vengono sempre più alla luce delle profonde sconnessioni, un insieme di diffidenze e di resistenze variamente motivate. Anche in Italia sentiamo un clima mutato, e viene per la prima volta allo scoperto il partito dei nemici dell’Europa, che gioca cinicamente sulle incertezze dei cittadini, cercando di indirizzare tutta la loro protesta verso il capro espiatorio dell’euro e della burocrazia di Bruxelles. Approssimandosi le elezioni politiche, questo gioco diviene più pesante, perché con Prodi candidato, sinistra ed Europa finiscono per essere accomunati, sono lo stesso bersaglio che deve essere abbattuto per lasciare il Paese nelle mani degli avventurieri che l’hanno fin qui governato.

E allora è urgente mettere mano a questa situazione di crisi e colmare la distanza che si è creata tra istituzioni europee e cittadini, tra élites politiche e popolo. L’errore è stato quello di tenere tutte le grandi scelte nel circolo ristretto dei vertici politici, senza aprire una grande discussione pubblica. Così è stato per l’allargamento, così per il nuovo trattato costituzionale: due scelte strategiche di straordinaria portata, che avrebbero dovuto segnare una decisa spinta in avanti sulla via dell’integrazione politica, e che invece, non avendo attivato un processo di partecipazione popolare, hanno determinato l’attuale situazione di paralisi.

Ed è proprio questa situazione che ci fa capire come la questione della rappresentanza sia decisiva. Perché, a ben guardare, oggi non ci sono, se non in modo episodico, rappresentanze europee. Se l’Europa ci appare con un volto burocratico, è perché tutti gli strumenti della partecipazione democratica e dell’identità collettiva (partiti politici, sindacati, associazionismo) non hanno oltrepassato la soglia nazionale. C’è il Parlamento Europeo, che è l’unica forma di rappresentanza democratica, ma da solo non riesce ad essere un forte punto di riferimento, anche per la limitatezza dei suoi poteri. L’Europa è in crisi perché non c’è un tessuto europeo della rappresentanza. La costruzione della cittadinanza europea sarà un processo lungo, ed è del tutto illusorio pensare che possa nascere ex novo un’identità europea sulle rovine delle vecchie identità nazionali.

Il cammino dell’Europa non può ripercorrere lo stesso processo che ha dato vita alle nazioni, e la cittadinanza europea, che per ora è solo un progetto e non ancora una realtà, non potrà che essere una dimensione nuova che si integra con le appartenenze nazionali. L’Europa è un processo di accumulazione, di stratificazione, che arricchisce e allarga la nostra identità, dando vita ad una dimensione sovrannazionale che non si sostituisce alle storie nazionali, ma le integra in un senso più largo di appartenenza ad una storia e ad un destino comuni. Questo cammino è solo agli inizi. Ma è da questo cammino che dipende il futuro dell’Europa, dalla capacità cioè di creare, al livello della coscienza popolare di massa, un movimento reale di integrazione, di comunicazione, in modo che l’Europa non sia un’astrazione, ma una concreta esperienza di vita.

Ciò dà un senso preciso a tutto il nostro lavoro. La rappresentanza che noi vogliamo costruire è questa rete di relazioni, multiculturale, multinazionale, che può dare forza e consenso sociale al progetto europeo. Se questo lavoro fallisce, l’Europa resterà un’utopia passeggera, e ciascuno tornerà a rinchiudersi nel localismo, nell’appagamento di una vita chiusa in se stessa.

Senza avere nessuna presunzione, e con il senso preciso dei nostri limiti, possiamo però dire che Arge Alp si muove nella direzione giusta, e che dunque vale la pena di continuare e forse anche di assegnare obbiettivi più ambiziosi al nostro comune lavoro, perché se si moltiplicano e si rafforzano esperienze come la nostra, è l’Europa che comincia a prendere forma.

Voglio insistere su un concetto: l’Europa è una costruzione complessa, e implica una pluralità di piani, sia sotto il profilo istituzionale, sia dal punto di vista delle identità culturali. Non può funzionare una semplificazione, una reductio ad unum. Se l’Europa viene rattrappita in una sola dimensione, essa perde la sua ricchezza culturale e la sua capacità di svolgere nel mondo la sua funzione di dialogo, di ponte tra le diverse culture. Per questo è priva di senso la disputa sulle radici, perché le radici sono molteplici e in questa molteplicità è la forza dell’Europa. Dire “radici cristiane” vuoi dire pretendere che ci sia solo una lettura possibile della storia europea, e quindi amputarla, impoverirla. L’Europa è altro: è il luogo del confronto, del pluralismo delle idee, e quindi della democrazia come confronto pubblico, come competizione sempre aperta tra diversi progetti.

Per questo essa sfugge a qualsiasi definizione unilaterale, e rifiuta ogni forma di fondamentalismo. Lo stesso avviene sul piano istituzionale: ci sono gli Stati, le Regioni, le istituzioni locali. C’è un’architettura complessa, in cui nessun livello di potere può escludere gli altri. Noi operiamo nella dimensione regionale, che è un momento di vitalità, di articolazione feconda all’interno degli stati nazionali. Le Regioni non possono sostituire gli Stati, ma non sono una semplice suddivisione amministrativa, burocratica, ma realtà politiche con una loro autonomia. E per questo è molto importante il dialogo inter-regionale, tra realtà che hanno vicinanza territoriale, interessi comuni, culture che si incrociano, e che possono lavorare alla realizzazione di comuni progetti di cooperazione. Milano e Monaco, Bolzano e Innsbruck, possono tra loro comunicare direttamente, senza dovere necessariamente passare dalle rispettive burocrazie nazionali. Questo è il senso del principio di sussidiarietà: per ogni problema si trovi la via più semplice ed efficace, più diretta, valorizzando le autonomie e incentivando il libero incontro tra i diversi soggetti, sociali e istituzionali. Si costruisce così una forte rete democratica, e in questa rete prendono forma nuove strutture di rappresentanza. In questo lavoro, difficile ma prezioso e necessario, dobbiamo solo avere più slancio, più coraggio, e vederlo come un momento, come un passaggio parziale che aiuta la formazione della cittadinanza europea.

Tutto questo impianto politico generale come si rapporta con il tema degli anziani e dei pensionati, che sono i soggetti che noi vogliamo rappresentare? In Europa, date le tendenze demografiche in atto, il tema dell’invecchiamento è cruciale. È uno dei problemi politici più rilevanti, che chiama in causa il modello sociale, i sistemi di welfare, nell’alternativa tra una politica di competizione senza regole, che genera marginalità ed esclusione, ed una politica che punta alla coesione sociale e all’universalità dei diritti. Destra e sinistra, in Europa, si definiscono intorno a questa alternativa. Fare rappresentanza, nel vasto campo sociale dei pensionati e delle persone anziane, vuoi dire quindi dare forza ad una prospettiva politica che assuma la solidarietà e l’inclusione sociale come suo parametro fondamentale.

Gli anziani sono il metro di misura con cui si può giudicare la qualità sociale di un determinato sistema politico. Se la società sa accogliere il processo di invecchiamento, allora essa può essere in generale una società accogliente e ospitale per tutti quelli che rischiano di essere estromessi: immigrati, giovani precari, lavori deboli, persone a vario titolo svantaggiate nella dura competizione della vita. Noi dobbiamo avere sempre questo sguardo su tutto l’insieme delle grandi emergenze sociali. Non siamo una corporazione, ma un sindacato che si occupa dei problemi generali, e che quindi vuole costruire un’alleanza intergenerazionale, per una società che sia più giusta per tutti.

Ma c’è un altro tema, più politico: nella costruzione dell’Europa, gli anziani che ruolo possono svolgere? Possono partecipare attivamente a questo processo, o tendono ad essere un elemento di freno, un ostacolo, in quanto appesantiti dal loro passato e incapaci di guardare con fiducia al futuro? È una domanda difficile, a cui non saprei dare una risposta univoca. Forse sarebbe utile fare qualche indagine più accurata, per capire come stanno oggi le cose. Su un piano generale, di principio, credo che gli anziani, proprio perché hanno una memoria più ravvicinata della grande catastrofe della guerra, possono più di altri capire il grande significato che ha la costruzione di una Europa unita, che scongiura per il futuro il ritorno alla violenza nei rapporti tra i diversi popoli europei. Invece, su un piano più immediato, che riguarda la quotidianità della loro vita, possono essere quelli più facilmente permeabili alla demagogia anti-europea, perché fanno fatica a cambiare le loro abitudini, a uscire dalla cerchia ristretta delle loro relazioni, a orientarsi in un mondo che cambia, a confrontarsi con i problemi di una società multietnica e a padroneggiare i nuovi strumenti della comunicazione. Anche l’introduzione della moneta unica può avere creato una situazione di più forte disagio. Non è certo una novità il rischio di diventare, invecchiando, dei nostalgici conservatori. Ma questo rischio può essere contrastato se noi sappiamo offrire delle occasioni di socializzazione, di crescita culturale, di partecipazione attiva all’intera vita sociale. È questo il nostro compito: organizzare le condizioni perché la vita degli anziani sia una vita attiva e consapevole. In questo senso, noi possiamo esercitare bene la nostra funzione di rappresentanza solo se allarghiamo il nostro orizzonte, andando oltre una visione strettamente economica, se ci occupiamo cioè dell’invecchiamento in tutti i suoi diversi e molteplici aspetti, culturali, esistenziali, relazionali, per offrire agli anziani non solo un supporto economico, ma tutti gli strumenti necessari per una vita dotata di senso.

Nella nostra esperienza, in Italia, i sindacati dei pensionati hanno lavorato su tre grandi direttrici: la negoziazione sociale con i governi locali per ottenere dei risultati concreti nella politica sanitaria, nell’assistenza agli anziani, nel controllo delle tariffe, nell’edilizia popolare, e così via; la costruzione di una rete di servizi, nel campo previdenziale e fiscale; l’attività di socializzazione, per cercare di rispondere alla domanda di relazioni, di socialità, di partecipazione. II nostro successo organizzativo dipende, credo, da queste scelte, dal fatto di intendere la rappresentanza con questa ampiezza, con una visione larga dei bisogni a cui vogliamo dare risposta. La nostra funzione di rappresentanza è carica di una forte responsabilità politica, perché tutto il nostro futuro dipenderà molto da come sapranno orientarsi gli anziani di fronte ai grandi nodi del nostro tempo.

Se questo è l’essenziale, le forme organizzative possono essere diverse, tenendo conto dei diversi contesti politici e sindacali. La diversità delle esperienze non è un problema, se c’è una convergenza sugli obiettivi di fondo. Ma comunque a me sembra decisivo un aspetto: che i pensionati e gli anziani siano organizzati come tali, per la loro condizione presente e non per il loro passato lavorativo. Tenerli legati alle loro categorie di provenienza vuoi dire che essi sono riconosciuti solo per il loro passato e non per la loro attuale condizione. Il sindacato dei pensionati deve essere quindi una struttura nuova, autonoma, che dà voce agli anziani per quello che sono oggi, con la specificità dei loro problemi. È su questa intuizione che si è formato in Italia il sindacato dei pensionati, e tutta la nostra esperienza è una conferma della giustezza di questa intuizione.

Naturalmente, ci possono essere diverse soluzioni, diverse modalità di rapporto con il sindacato confederale, diverse soluzioni nella organizzazione concreta del lavoro. In alcune realtà c’è stata una scelta associativa e non sindacale. In altri casi, c’è un processo sindacale che è solo agli inizi e che deve meglio definire il suo percorso. Noi dobbiamo tenere presenti tutte queste situazioni, e incoraggiare tutto ciò che può concorrere, anche con forme diverse, a costruire una autentica rappresentanza sociale degli anziani. E queste diverse esperienze possono trovare nella Ferpa uno strumento comune, per pesare politicamente nella confederazione europea dei sindacati e nel dibattito politico che è aperto in Europa sulle prospettive del welfare e sull’evoluzione del modello sociale europeo.

Tutto questo percorso, in parte avviato, in larga misura da costruire, ha un senso se è un percorso che è finalizzato all’attivazione di una reale rappresentanza, se cioè quello che vogliamo costruire è un rapporto vero, concreto, democratico, con le persone e con i loro bisogni, se c’è una relazione effettiva e continua tra rappresentanti e rappresentati, se troviamo le forme per una verifica democratica delle nostre decisioni, se insomma non siamo una burocrazia autoreferenziale che non deve rispondere a nessuno. La democrazia in quanto partecipazione attiva, è la via per dare una risposta alla crisi dell’Europa e per restituire un senso alla politica. È la risposta con la quale ci opponiamo alle tendenze plebiscitarie, oligarchiche, ad una politica che diviene solo scontro di potere personale e comunicazione mediatica.

A noi spetta una parte non piccola di questo lavoro, proprio perché ci occupiamo di una parte grande e crescente della popolazione, e per questo dobbiamo organizzare tutta la nostra attività come un grande momento di promozione della partecipazione e come un esercizio continuo della democrazia. Rappresentare vuoi dire dare voce alle persone, alle loro domande, ai loro bisogni, in modo che la molteplicità delle storie individuali possa tradursi in una grande forza collettiva.



Numero progressivo: D28
Busta: 4
Estremi cronologici: [2005]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - SPI -