LA MAGIA DELLE PAROLE

Programma e fase politica

di Riccardo Terzi

Liberarsi degli opposti ideologismi è la prima cosa da fare. Il documento Bassolino va nella direzione giusta, senza miti né rassegnazione

 

Ho molto apprezzato l’articolo di Asor Rosa che apre, su Rinascita, la discussione sulla bozza di programma. L’ho apprezzato perché lo si può leggere senza sapere in partenza che cosa ci sta scritto, perché non è un’aprioristica dichiarazione di schieramento. È forse possibile pensare che proprio su Rinascita, questa rivista così discussa e criticata e criticabile, ci sia lo spazio per una linea di ricerca aperta, non ripetitiva degli schemi propagandistici dell’una o dell’altra corrente.

Ma il quadro generale del dibattito nel partito è davvero desolante. C’è ancora interesse a discutere liberamente, a ricercare, a pensare senza reti protettive? La mia impressione è che si sia consumato in questi mesi un avvilente imbarbarimento del confronto politico, e che si diffonda uno stato di aridità intellettuale. Non c’è dialogo, ma ripetizione passiva di formule, non c’è comunicazione, ma solidarietà correntizia o diffidenza pregiudiziale. La somma sterminata di articoli, interviste e dichiarazioni provoca ormai un senso di stanchezza e di nausea, perché si tratta di un rituale affatto logoro e prevedibile, dove ciascuno recita la parte che gli è stata assegnata.

Esagero? Ma questa sensazione è ormai diffusa in una parte del partito, e ancor più devastanti mi sembrano essere gli effetti esterni. In questa fase la nostra capacità di parlare alla società si è drammaticamente ristretta. Si è smarrito il senso di fondo della svolta del Congresso di Bologna, che voleva essere in primo luogo l’affermazione di una nuova dimensione della politica, di una comunicazione feconda con la società, spezzando le rigidità burocratiche e i feticci ideologici che hanno minacciato la nostra azione.

La nuova formazione politica può nascere se libera e mette in movimento nuove forze. Ma come abbiamo lavorato in questi mesi? L’assurda contraddizione è che dopo il Congresso tutte le energie sono state assorbite dai problemi interni, dallo scontro delle fazioni, con un’abnorme proliferazione di riunioni di mozione e di sotto-mozione, di gruppo e di sottogruppo. Esattamente il contrario di ciò che il Congresso aveva deciso di fare. Siamo tutti responsabili di questo avvitamento burocratico, e ora è urgente spezzare il circolo vizioso. Il vero pericolo per il partito non è la destra o la sinistra, ma il vuoto.

Il confronto sul programma dovrebbe essere l’occasione per determinare un nuovo clima, all’interno del partito e nei rapporti con l’esterno. Dovrebbe, ma in una situazione deteriorata tutto rischia di essere strumentale, e lo si è visto nei primi commenti al documento di Bassolino, vacuamente faziosi e guidati da una logica esclusivamente burocratica. E lo stesso documento certamente risente di questo clima: non è il risultato di un serio sforzo collettivo, perché i più hanno deciso di restare a guardare, pronti a imbracciare poi i fucili della critica. Nella maggioranza più ancora che nella minoranza. E c’è chi propone addirittura di sopprimere il passaggio del programma, per giungere subito, senza tappe intermedie, all’atto finale del Congresso. Per consumare così la rottura, per sancire teatralmente una vittoria politica fatta solo di immagine, e di simboli. Senza il programma, dove sta il discrimine tra maggioranza e minoranza? Come è possibile prendere posizione su un progetto politico se esso non è esplicitato nei suoi contenuti?

Il programma in effetti ha scarsissima importanza per tutti quelli che si affidano alla certezza aprioristica dell’ideologia. Che si definiscano «comunisti» o «riformisti», hanno la stessa forma mentis. Pensano ideologicamente, o meglio l’ideologia li esime dal pensare. E la discussione si riduce allora alla contrapposizione di «parole magiche». Anche il riformismo, che per sua natura dovrebbe essere refrattario a tali manipolazioni, finisce per essere usato come una formula, come un’identità simbolica. Se a Milano si forma un nuovo centro di «iniziativa riformista», nessuno ragionevolmente pensa che ci sarà una più decisa ed efficace battaglia per le riforme. Si può solo pensare che c’è una nuova fazione politica che ha bisogno di una qualche legittimazione. Un altro capitolo della politica come storia burocratica dei gruppi dirigenti. Per questo la discussione sul programma rischia di essere preventivamente svuotata. Per questo ci sono preliminari questioni politiche e teoriche da chiarire, e occorre ripartire dalle ragioni e dalle motivazioni della «svolta», perché qui si aggrovigliano i contrasti e le tensioni più profonde.

Mi limiterò pertanto a questi ragionamenti preliminari, ritornando successivamente su alcuni punti più concreti del programma. Per ora l’operazione da fare è la liquidazione degli ideologismi, di vario e opposto segno, e l’assunzione del programma come unica base di legittimità di un moderno partito politico della sinistra.

La questione si presenta oggi particolarmente complessa perché è divenuto assai problematico il riferimento del concreto agire politico a un fine ultimo di generale riscatto, a un modello di società, a uno stadio superiore della storia umana. Anche la parola socialismo, non meno che la parola comunismo, ha un significato sfuggente, di assai ardua definizione. È il destino delle parole, di divenire a un certo punto quasi inservibili.

Nel passato lo scontro politico nella sinistra ruotava intorno alla questione dei mezzi (via democratica o via rivoluzionaria), ma per Turati e Bordiga non era impossibile concordare su una definizione comune del socialismo come fine. Ma ora la discussione è sui fini. Ora che è definitivamente acquisito per tutti il metodo democratico, dobbiamo chiarire se esiste un progetto, e quale, e a quali forze esso si affida. Non troviamo risposta nei classici, ma solo in uno sforzo eccezionale di comprensione dei processi di trasformazione che stanno avvenendo su scala mondiale.

La rapidità e «intensità» di tali processi, il loro carattere non deterministico, aperto a diversi sviluppi, la crescente ampiezza del ventaglio delle alternative che possono essere messe in campo, la complessa interrelazione tra risorse tecniche e scelte politiche, e l’integrazione planetaria dei diversi sistemi economici e statali, tutto ciò dà luogo a una configurazione della nostra epoca non più riducibile alla semplice opposizione di capitalismo e socialismo. Come potremmo altrimenti capire i problemi attuali delle società dell’Est europeo? O come affrontare i problemi dell’equilibrio ambientale del pianeta? E per tornare ai problemi della sinistra italiana, se non riusciamo a darci strumenti di analisi e di valutazione più complessi e più capaci di penetrare nel nuovo universo tecnologico, rischiamo di parlare di un socialismo che è solo un insieme di buoni sentimenti, e non più una proposta politica, o di abbandonare il campo e di ridurci all’apologia del capitalismo in quanto unico possibile fondamento della democrazia politica. Quante volte si è già verificato nella storia degli intellettuali di sinistra questo approdo a un realismo senza speranza! I partiti conservatori sono pieni di ex-rivoluzionari.

Se dovesse essere questo il senso del processo, non vale davvero la pena di costituire un nuovo partito. Basta sciogliere quello che c’è. Ecco allora la necessità fondamentale del programma in quanto ridefinizione dei fini. Il programma non può essere di per sé né di governo né di opposizione. Esso indica le linee portanti del cambiamento che vogliamo realizzare, e la collocazione parlamentare del partito dipende dalla variabilità delle situazioni politiche concrete. Per chi pensa che l’essere al governo sia un valore in sé c’è sempre disponibile qualche posto di sottosegretario nei partiti governativi attuali.

Il documento programmatico si colloca, a mio giudizio, nella prospettiva giusta. Non parlo dei singoli punti, ma dell’ispirazione generale. Esso cerca di partire dal processo sociale e politico degli anni 80, dalle contraddizioni, dai conflitti, e dalle nuove risorse della modernizzazione, per ricostruire così, guardando criticamente al futuro, un possibile orizzonte per la sinistra. Senza miti e senza rassegnazione. Il tratto distintivo della sinistra è la capacità di guardare ai problemi della società moderna cercando di individuare le vie attuali che può imboccare il processo di liberazione. Il tema della sinistra è il controllo degli uomini, nella loro dimensione individuale e collettiva, sulle proprie condizioni. È questo il filo che ci collega alle origini del movimento operaio e all’eredità di Marx.

Di qui viene non un elenco indefinito di cose da fare, ma alcuni temi-chiave: la democratizzazione integrale della società, capace di investire tutte le strutture di potere, il controllo sociale, l’autogoverno nel lavoro, la politica del tempo, l’umanizzazione dell’ambiente. Parlo di temi che hanno un rilievo centrale nella bozza di programma, e che sicuramente richiedono molti più puntuali approfondimenti. In questa direzione vedo la possibilità di una nuova identità politica: esplorazione aperta di tutte le possibilità di cambiamento nel quadro della nuova società tecnologica, partendo dai bisogni concreti dei soggetti, nella vita e nel lavoro, e anzitutto dal loro bisogno fondamentale di autonomia e autorealizzazione. In questo senso il progetto della nuova formazione politica sta insieme con un’idea di radicalità dell’agire politico, con quella radicalità che ha caratterizzato tutti i nuovi movimenti, i quali intendono il cambiamento come un compito dell’oggi, senza rinvii a una meta storica finale, e lo intendono nella sua relazione con la vita vissuta.

Per fare questa politica, i confini della nostra tradizione sono ormai insufficienti, e da tempo vediamo in ritardo e non riusciamo a esprimere i nuovi bisogni di libertà, di autonomia, di vita creativa. La contraddizione è stata catastrofica nei paesi dell’Est. Ma è un problema più generale di rinnovamento della cultura politica di tutta la sinistra. Il programma contiene così anche necessariamente le motivazioni della svolta e questo è un punto che deve essere reso più chiaro. Una nuova unità del partito non può certo avvenire sulla base di una piattaforma incolore, ma portando a sintesi, se ne abbiamo la forza, le ragioni ineludibili del cambiamento e la continuità di una tradizione che ha fornito la coscienza di sé di grandi masse. D’altra parte, nulla cambia se la politica non sa comunicare con gli uomini e con le loro passioni.



Numero progressivo: H77
Busta: 8
Estremi cronologici: 1990, 30 settembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “Rinascita”, n. 33, 30 settembre 1990, pp.28-29