LA DIMENSIONE MORALE DEL MILITANTE COMUNISTA

Recensione di Riccardo Terzi al libro di Alessandro Vaia “Da galeotto a generale”

Da galeotto a generale di Alessandro Vaia (Teti Ed.) è la storia di una scelta di vita compiuta con naturalezza e senza misticismi: una lunga militanza comunista raccontata senza retorica che fa capire fino in fondo cosa sia lo “spirito di partito”.

Il libro di Alessandro Vaia mi pare degno di attenzione non solo per il contributo che esso dà alla conoscenza delle vicende del movimento operaio e del Partito Comunista, ma soprattutto perché ci aiuta a comprendere la particolare dimensione morale in cui si è trovato e si trova ad agire il militante comunista.

A ben guardare, è questo il vero tema del libro, che racconta l’esperienza politica dell’autore, la sua vita così densa di avvenimenti, in modo impersonale e oggettivo, senza nessuna concessione alla retorica e all’autocompiacimento. Anche i momenti di più aspra difficoltà, anche le scelte più impegnative, trovano la loro spiegazione semplice e limpida nell’attitudine morale di fondo che contraddistingue la storia dei comunisti, nella loro convinzione che le esigenze della vita soggettiva trovino il loro fondamentale principio ordinatore nelle necessità della lotta rivoluzionaria, e quindi nelle regole della milizia politica.

Il libro di Vaia è la storia di questa scelta di vita, che è stata compiuta con naturalezza e senza misticismi. Esso si apre, significativamente, con la decisione di aderire al Partito Comunista, «in una bella e tiepida giornata di settembre del 1925», una decisione certamente meditata, ma che appare come una conclusione assolutamente necessaria e naturale di tutta l’esperienza umana e intellettuale maturata precedentemente, che ha la medesima limpidezza di quella giornata di settembre.

Mi è sempre parsa fastidiosa la sottolineatura enfatica dei sacrifici e dello spirito di dedizione che sono richiesti dalla lotta rivoluzionaria. Il Partito Comunista non è una setta ascetica che predica la mortificazione degli istinti vitali, ma è un’associazione di uomini liberi che in tutta consapevolezza decidono secondo quale scala di valori organizzare la propria presenza nella società. Qualsiasi forma di retorica lamentosa è fuori luogo: chi sceglie di dedicare tutto il proprio impegno alla milizia comunista lo fa con conoscenza di causa, e lo fa perché in questa scelta trova una pienezza di vita maggiore, trova quindi una realizzazione di sé di gran lunga più completa e dispiegata.

Vaia rifugge dalla retorica, e credo che questo sia uno dei suoi meriti più apprezzabili. Egli ha vissuto l’esperienza storica del Partito con un atteggiamento di profonda e naturale immedesimazione; non con modestia, perché anzi tale atteggiamento comporta una coscienza assai elevata della propria funzione.

Non era certo facile, negli anni della più aspra tirannide fascista, attenersi in modo coerente a questa linea di condotta, e vi era anche, d’altro lato, il rischio di perdere il contatto con la vita reale, di cadere in una posizione di astratto moralismo.

«A venticinque anni – scrive Vaia – io non avevo ancora compreso la vita: non la vita in generale, non gli avvenimenti che accadono nel mondo, ma la vita della gente nella sua realtà quotidiana. La verità è che a quella vita io non avevo partecipato, anzi me ne ero estraniato per quanto avevo potuto. Pensavo e dicevo che la gente non capiva, ma ero io invece che non capivo il mondo che mi circondava».

È qui delineata una questione essenziale, perché il rischio di trasformare l’azione politica in un meccanismo staccato dalla realtà quotidiana è un pericolo che continuamente si può presentare. Occorre dunque saper combinare il rigore morale alla capacità di una larga comprensione della realtà effettiva degli uomini e dei loro problemi.

Forse è proprio questo che ha consentito ai comunisti di diventare una grande forza politica nazionale.

Agli osservatori esterni sfuggono spesso le ragioni di questa forza: la severità dello “spirito di partito” viene deformata fino ad assumere i caratteri di un burocratismo ottuso, e d’altro lato si dimentica che la grande influenza di massa non è stata conquistata con una facile retorica populistica (altri sarebbero stati certamente più capaci di noi), ma con un grande dispiegamento di azione organizzata e molecolare.

Altro che burocratismo! L’esempio di Vaia può essere indicativo, in quanto egli ha dimostrato di conservare un’ammirevole libertà di giudizio, e ha rifiutato di concludere la sua milizia politica nella posizione comoda di chi è onorato per il suo passato, di chi è solo testimonianza di un’epoca gloriosa, ma ha invece continuato ad essere un membro del Partito come gli altri, che vuole lavorare e discutere senza impacci, nella pienezza delle sue possibilità.

Anche scrivendo le sue memorie, egli guarda al presente, e introduce di frequente annotazioni critiche, che in alcuni casi hanno il carattere di una polemica pungente.

Debbo dire, per chiarezza, che non condivido molte di queste “escursioni” di Vaia nella discussione politica attuale.

Mi pare, ad esempio, forzata l’analisi che egli, ad un certo punto, compie dei rapporti tra il Partito e le giovani generazioni. In questa analisi non si tiene conto del fatto che l’esplosione del movimento giovanile nel ‘68 e negli anni successivi avviene con una marcata connotazione borghese, come tentativo di risposta alla crisi interna della classe dominante. Le difficoltà di collegamento che il movimento operaio ha avuto con questa realtà non possono dunque essere interpretate soltanto come il segno di un ritardo, di una posizione di chiusura.

E, d’altra parte, come non vedere dietro certe esasperazioni irrazionalistiche, dietro il livore anticomunista di certi gruppi, il segno di una posizione di classe che si può facilmente prestare alle manipolazioni della destra reazionaria?

Ma non è questa la sede per aprire una discussione su questi problemi Vaia ha certamente scritto con un intento politico, e non solo per fare un’opera di rievocazione storica. È bene che sia così, perché abbiamo bisogno in ogni modo del contributo di intelligenza critica che ciascuno può dare.


Numero progressivo: L27
Busta: 9
Estremi cronologici: 1978, luglio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fotocopia e scansione pagine rivista
Tipo: Recensioni
Serie: Cultura -
Pubblicazione: “Calendario del popolo”, luglio 1978