LA DC SENZA PROGETTO

La tavola rotonda, di cui riportiamo il testo, si è svolta nell’ultima settimana di maggio con la partecipazione di Gaspare Barbiellini Amidei, vice-direttore vicario del Corriere della Sera, Riccardo Terzi, membro del Comitato centrale del PCI, già segretario provinciale, attualmente consigliere comunale di Milano, e Guglielmo Zucconi, direttore de Il Giorno, già deputato al parlamento per la Democrazia Cristiana.
Dibarrito condotto da Carlo Tognoli

Le conclusioni dell’assemblea democristiana e gli sviluppi della situazione politica vengono analizzati da Gaspare Barbiellini Amidei, Riccardo Terzi e Guglielmo Zucconi in questa tavola rotonda diretta, per Critica sociale, da Carlo Tognoli

Critica Sociale Nell’ultimo congresso democristiano sono stati affrontati problemi relativi al rinnovamento del gruppo dirigente della DC e, in questo senso, a un maggiore collegamento con quella che viene definita la società civile. D’altra parte la precedente assemblea, quella dell’autunno 1981, aveva dato un certo spazio ai cosiddetti “esterni” che nel corso dell’ultimo congresso hanno anche potuto esprimersi e votare. Si è però avuta l’impressione che al di là delle proclamazioni di principio, i problemi concreti che riguardano il paese, dalla situazione economica alla disoccupazione – che è una conseguenza del quadro economico – al problema del costo del denaro – che è legato agli investimenti e, quindi alla ripresa dell’economia non siano stati approfonditi, anche se bisogna dare atto al segretario uscito dal congresso di avere guardato con attenzione a un’altra delle questioni che sono sul tappeto: la riforma delle istituzioni. Possiamo quindi dire che, in questo senso e schematizzando un po’: solo il segretario ha risposto ad una delle domande più pressanti che venivano dalle forze politiche, e soprattutto dal paese.

 

Barbiellini Amidei «L’annotazione è molto giusta, però ci riporta immediatamente ad un discorso che svilupperemo dopo, perché, secondo me, il fatto che i problemi concreti del paese siano rimasti fuori da questo congresso deriva in parte da due ragioni: che ormai i partiti, non solo la DC – basta vedere i socialisti a – vivono in una dimensione di meditazione continua, di occasioni continue di verifiche dei problemi e di dibattito. Mi sembra che i congressi politici, cioè quelli istituzionali, quelli ai quali partecipano i delegati nominati proporzionalmente, diventino sempre più un momento di chiarimento della strategia di partito, intesa come gestione di potere nel partito, mentre l’elaborazione dei temi politici o programmatici sia ormai delegata a una serie di altre occasioni che tendono a diventare istituzionali. Questo fatto è legato a un fenomeno di “americanizzazione” dei partiti italiani. C’è una trasformazione dalla corrente di tipo italiano a una visione da city boss all’americana. Per ora io risponderei in questo modo alla osservazione di Tognoli. Per dare un giudizio, positivo o negativo, del congresso democristiano, bisogna considerare altre cose, perché non poteva non essere, dopo i risultati elettorali che ci sono alle spalle e dopo una serie di vicende particolari oltre alla tendenza alla trasformazione dei partiti italiani, non poteva non essere un congresso sul partito e non un congresso sui problemi.»

 

Zucconi «L’impressione di Tognoli risulta esatta se si fa un raffronto fra questo ultimo congresso della DC e i due ultimi congressi del PSI, forse più ancora quello di Torino del 1978 rispetto a quello di Palermo del 1981. C’è un motivo: il PSI aveva cambiato la sua leadership dopo il comitato centrale del Midas, quando c’era stato il famoso “parricidio” da parte della nuova generazione. Il biglietto da visita che la nuova dirigenza, impersonata da Craxi, presentava agli iscritti e ai delegati era un atto dovuto, occorreva chiarire un programma, soprattutto occorreva lasciarsi alle spalle tutti i luoghi comuni, tutte le utopie che hanno frenato, dal 1946 ad oggi, il partito socialista. Venendo ora al congresso della DC e fatta salva questa premessa, concordo in parte con quello che ha detto Barbiellini con una aggiunta però: è verissimo che il problema era di assetto interno, è verissima questa tendenza delle assise di partito a diventare sempre più convention americane, però non dimentichiamo che non solo Piccoli ha parlato a lungo della riforma delle istituzioni, anche tutta la parte centrale del discorso di De Mita è fortemente caratterizzata da una attenzione ai problemi dello stato. C’è questo senso forte che direi è quasi tradizione dei politici meridionali, da Nitti a Sturzo e ad altri, di tornare a reincentrare il problema della società attraverso lo strumento di modifica che è lo stato e che fino ad oggi non ha funzionato, o per lo meno non è stato all’altezza delle richieste dei politici. Non dimentichiamo che se il centro-sinistra degli anni ‘60, accanto, secondo me, a fatti molto positivi che oggi stiamo riscoprendo, ha fornito· soprattutto· amare delusioni, ciò fu dovuto anche al fatto che ci si illudeva di avere una macchina statale che in realtà non rispondeva ai comandi; quindi il porre al centro dell’attenzione il problema dello stato, delle riforme dello stato e della sua funzionalità significa richiamare l’attenzione del congresso sullo strumento principale che i partiti, quali che essi siano, devono adoperare ed affinare per potere rinnovare la politica italiana.»

 

Terzi «Sono d’accordo con l’osservazione che ha fatto Tognoli che quest’ultimo congresso della DC sembra abbastanza deludente come capacità di analisi dei problemi reali della società italiana. E questo nei congressi della DC non è una novità perché è abbastanza tipico di un partito come quello democristiano che nei congressi sia prevalente il problema della gestione interna del partito, degli equilibri di potere tra i vari gruppi e tra le varie correnti. Non direi che questo sia un tratto oramai divenuto tipico di tutte le forze politiche italiane, non condivido l’opinione di Barbiellini su questo punto e comunque a me sembra che nel panorama delle forze politiche italiane, mentre in altri partiti c’è sempre uno sforzo di proposta, di analisi dei problemi, nella DC questo c’è molto meno. Soprattutto in questo congresso non erano chiare le alternative politiche tra i due schieramenti e la discussione si concentrava più sull’assetto di vertice del partito tanto che l’unico momento di passione politica che animava i delegati era la questione di chi potesse fare il segretario, De Mita o Forlani, senza che dietro a questi due nomi ci fossero analisi, proposte sufficientemente chiare, motivate. Questo mi pare soprattutto il dato che emerge dal congresso. È vero che non si può certamente giudicare l’elaborazione politica di un partito soltanto o esclusivamente dal congresso, ci sono i convegni, le varie iniziative, e anche la DC qualche iniziativa di questo tipo l’ha fatta nell’ultimo periodo. Mi pare però abbastanza grave che nel congresso della DC ci siano stati alcuni silenzi su questioni che invece sono decisive in questo momento e alcune delle quali la coinvolgono direttamente. Pensiamo ad esempio a tutta la questione dell’iniziativa politica, dell’atteggiamento politico verso il terrorismo. Di questo non si è parlato, c’è stato il silenzio completo. Anche quella parte della DC che ha cercato di prendere nelle proprie mani la bandiera del rinnovamento ha però evitato questi punti. Quindi c’è stato un tentativo di fare blocco e di eludere le responsabilità, così come è abbastanza sorprendente che un congresso che si è tenuto nel vivo di una crisi economica, nel pieno di uno scontro sociale che sta diventando molto pericoloso – l’atteggiamento assunto dalla Confindustria e il clima che si sta creando in preparazione alle prossime lotte contrattuali – non assuma una posizione. Capisco che certo non si possa dire tutto in un congresso, ci sono altri momenti, altre sedi, altre occasioni, ma ci sono alcuni nodi politici di fondo che questo congresso avrebbe dovuto chiarire e che invece non ha chiarito.»

 

Critica sociale Al congresso della DC hanno parlato gli esterni. Non hanno parlato, invece, i sindacalisti che, per altro, hanno avuto largo spazio nel PSI a Rimini e lo hanno costantemente nell’ambito del PCI. Questo significa, forse, che la DC, contraddicendo la propria vocazione popolare, ha relegato ai margini, in questo congresso, la funzione del sindacalismo? È una battuta d’arresto momentanea, dovuta a contingenze esterne e interne al partito, oppure si tratta di qualcosa d’altro, di qualcosa di più vasto e complesso?

 

Barbiellini Amidei «Due novità ci si poteva attendere da questo congresso. La prima era il chiarimento dei rapporti fra questo partito e una parte del suo elettorato, che è ormai chiaramente una minoranza, censita del resto nel referendum sull’aborto intorno al 30 per cento della popolazione italiana. La Chiesa non è più disposta a dare deleghe in bianco al partito dei cattolici; da parte del partito dei cattolici il nuovo segretario De Mita ha detto: noi intendiamo meritarci questi voti. Ciò è un’apparente contraddizione perché da una parte il partito sostiene questo mentre tende a sottolineare una sua laicizzazione. In realtà si tratta semplicemente della promessa, che poi vedremo se sarà mantenuta, che la DC sarà un partito di cattolici, non un partito cattolico. L’altra novità era se questo partito era in grado di darsi una dirigenza che fosse poi, a sua volta, in grado di esprimere una politica. Questo congresso ha espresso una dirigenza, l’ha espressa intorno al 56/60 per cento dei suoi voti rompendo lo schema tradizionale delle correnti e immettendo in circolazione uno schema diverso. Queste sono le due novità espresse dal congresso.»

 

Zucconi «I due temi fondamentali del congresso della DC erano i rapporti con il PCI e con il PSI. Ciò che doveva esprimere questo congresso era un nuovo modo di dialogare e con l’uno e con l’altro dei partiti della sinistra. Non è vero, come è stato scritto alla vigilia, che c’era soltanto la questione socialista e che la questione comunista era passata in secondo piano, dato che erano tutte e due interconnesse, interagenti e molto precise. Ora, quando Terzi sostiene che la scelta è stata semplicemente una scelta di nomi, De Mita piuttosto che Forlani, mi pare che non sia un giudizio che corrisponda all’obiettiva verità dei fatti. Direi che la differenza tra De Mita e Forlani può essere così riassunta: per Forlani la questione comunista si pone a tempi che potremo chiamare “in mente di Giove”, quando e se avverranno determinati cambiamenti. Per De Mita è semplicemente una questione rinviata a tempi lontani ma sempre molto presente con, certo anche per lui, una nuova attenzione verso il PSI, tanto che io ritengo che uno dei grandi elettori di De Mita sia stato indirettamente proprio Craxi con la sua nuova politica dinamica e aggressiva che ha provocato nella DC questa “sindrome” difensiva e a sua volta una aggressività.»

 

Terzi «Tornando alla questione degli esterni, a me sembra che l’operazione che si era tentata con l’assemblea di qualche mese fa avesse un significato politico abbastanza comprensibile, cioè il tentativo da parte della DC di ristabilire un rapporto con tutta un’area cattolica che per varie ragioni aveva preso le distanze nei confronti del partito democristiano. Dubito che questa operazione abbia portato a risultati politici di rilievo, mi pare anzi che dall’andamento del congresso il ruolo giocato dagli esterni sia stato molto marginale e che anche in queste forze si sia manifestato poi sostanzialmente un atteggiamento di delusione per non sentirsi parte attiva di un processo reale di rinnovamento, chiamati in sostanza a ratificare decisioni prese in altra sede. Comunque potranno valutarlo meglio quelli che hanno seguito più direttamente questa vicenda. Non mi pare che questa operazione abbia portato a dei risultati.»

 

Zucconi «Terzi parla di mondo cattolico. Io direi mondi cattolici. La profonda differenza tra oggi e gli anni ‘50 è che noi oggi ci troviamo di fronte a dei mondi cattolici; le differenze tra il Movimento popolare e la Lega democratica sono, sul piano della gestione della proposta politica, profonde e abissali. Tuttavia è vero che resta un denominatore comune, e cioè che ci sono alcuni valori di fondo ed era alla ricerca di questo denominatore comune che la DC ha indetto l’assemblea di novembre. Non bisogna dimenticare che a Milano si è svolto il congresso della Federazione giovanile comunista e l’accento anche lì è stato posto verso una maggiore attenzione ai giovani cattolici, pur tenendo conto, con una giusta visione laica, che i giovani cattolici sono di vario genere e di varia estrazione. C’è quindi questo problema di fondo di una idealità che continua a permeare la nostra storia, che si riduce nei comportamenti pratici come abbiamo visto nel referendum sull’aborto, ma che continua ad essere una questione centrale che si esprime con diramazioni e con ramificazioni diverse nel dato politico, anche se continua a succhiare lo stesso humus da un’opinione pubblica che ha duemila anni.»

 

Critica sociale Dai vostri interventi appare evidente che nella sinistra c’è stato un mutamento. Ad esempio: il PCI, per primo, ha dimostrato una nuova attenzione nei confronti sia del mondo cattolico, sia dei valori cristiani. E il PSI, che aveva alle spalle una tradizione fortemente anticlericale e laicista, cerca di approfondire sempre di più il problema dei valori cristiani. Questo fatto cambia i rapporti fra mondo cattolico e forze politiche e, soprattutto, all’interno degli aderenti e degli elettori delle forze politiche laiche: c’è la possibilità di salvaguardare una presenza cristiana e cattolica anche dal punto di vista della fede. Ad esempio: il divorzio e l’aborto sono questioni di fede, ma toccano anche interessi immediati che hanno una portata sociale. Per cui è sbagliato dire che l’area cattolica in Italia è limitata al 25 o al 30 per cento. L’area dei valori cristiani è molto più ampia e trova spazio, fra comunisti e socialisti, in un ambito più strettamente politico.

 

Barbiellini Amidei «L’esempio del divorzio e dell’aborto non sono in sé omologabili però, perché mentre per il divorzio una grande parte dei cattolici hanno votato per il no, per l’aborto era un po’ diverso, e i sociologi individuano un 25 per cento di area diciamo così, non di valori latamente cristiani, ma di cattolici che abbiano un minimo anche di pratica, cioè che abbiano anche un raccordo con la gerarchia. A volte non si capisce che cosa i comunisti vogliono da questa DC, lasciatelo dire a uno che proprio non è democristiano. Quando si vede che De Mita dice: «Occorre adeguare il partito alle sue strutture, alla ricchezza di un mondo cattolico che si è rinnovato e che è portatore di nuovi valori, al quale occorre offrire rappresentanza e garanzia», in qualche modo tende ad ancorarsi a dei valori cristiani. L’analisi che abbiamo dato tutti noi laici, tutti noi osservatori esterni alla DC e che è stata portata avanti in modo molto duro e, secondo me, esemplare dal PCI intorno al ‘75/’76, era di un partito in disfacimento, assolutamente privo di valori, espressione di interessi talvolta anche corrotti. C’è stato un momento in cui veramente si è ipotizzata in Italia la possibilità della scomparsa di questo partito, addirittura c’è stato qualcuno che ha pensato alla sostituzione, e l’attacco maggiore è stato quello che in qualche modo questo partito non era più capace di esprimere autentici valori. Nel momento in cui invece vuole raccordarsi a quei valori, non dico che bisogna dargli una fiducia in bianco, ma non si può affermare che sono clericali perché a un certo punto vogliono richiamarsi ai valori del cristianesimo della Chiesa cattolica.»

 

Terzi «Ritengo che questo richiamo, o tentativo di richiamo, a valori del cattolicesimo sia un po’ un equivoco nella vita interna della DC, o comunque non mi bastano certo delle dichiarazioni verbali fatte da De Mita o da qualcun altro, perché poi il giudizio va dato sui comportamenti politici effettivi. Ritengo del resto che sia da auspicare una evoluzione del sistema politico italiano, per cui pesino meno gli elementi di carattere ideologico. Oggi c’è una maggiore mobilità elettorale, un comportamento del singolo cittadino elettore che giudica meno sulle grandi opzioni ideologiche e giudica di più sulla base dei fatti e dei comportamenti concreti, delle proposte politiche e programmatiche dei partiti. Credo che nessuno possa ritenere che in un breve periodo vengano meno le ragioni di fondo che stanno alla base dell’esistenza di un partito un po’ singolare come è il partito della DC, però il giudizio sul congresso non lo darei guardando a quel tanto di idealità cattolica e di richiamo ai valori che c’è stato nei discorsi di questo o di quel dirigente. Il giudizio lo do e cerco di darlo sulla base delle posizioni politiche e da questo punto di vista non mi pare che nel congresso ci siano fatti di grande novità, anche se qui naturalmente l’analisi va fatta più attentamente, soprattutto rispetto al congresso precedente. Nel congresso precedente c’è stata una divisione del partito in due grandi campi, in due grandi aree sulla base di un dissenso politico chiaro; quello che allora era la minoranza, l’area Zac più Andreotti, sosteneva che si dovesse verificare la possibilità di un accordo di governo con il PCI.  La maggioranza del preambolo rifiutava invece questa ipotesi. È invece molto più difficile dire dov’è il punto di divergenza che si è formato in questo ultimo congresso: è stato infatti sconfitto il preambolo, sono stati sconfitti alcuni dirigenti che allora erano stati i protagonisti della operazione del preambolo (Donat Cattin, Bisaglia), sono state sconfitte alcune posizioni diciamo più visceralmente anticomuniste. La nuova maggioranza non propone però un atteggiamento come quello che sosteneva l’area Zac al congresso precedente e in qualche modo la politica del preambolo rimane, anche se viene, forse, un po’ attenuata. Si cerca di avere una iniziativa più complessa, meno legata all’attuale formula politica, però non vedo una distinzione chiara tra maggioranza e minoranza in questo ultimo congresso e neppure mi pare che sia di particolare rilievo e novità il fatto che ci sia stato un rimescolamento delle correnti. È una cosa questa che alla DC è avvenuta mille volte.»

 

Critica sociale Ancora due domande: la prima si riferisce a una certa carica antisocialista emersa nel congresso democristiano, anche se, passati alcuni giorni, l’effetto sembra essersi stemperato. La seconda nasce da un’osservazione molto giusta fatta da Terzi: sta emergendo una sorta di revival o di rilancio del patriottismo di partito. È emerso nel PSI, in una certa fase di rinnovamento, c’è nel PCI e adesso affiora anche nella DC. Terzi sottolineava questo elemento come un fatto negativo, perché rende più difficili i rapporti fra i partiti e lascia le cose, in fondo, a un livello epidermico. A questo proposito, faccio un’osservazione che riguarda casa mia: il PSI ha cercato di difendersi a Torino, con il progetto socialista per l’alternativa che era un’ipotesi interessante ma avulsa dalla realtà politica quotidiana e che è stato quindi non messo in un cassetto, ma in un angolo della scrivania. Con il convegno di Rimini, e prima col congresso di Palermo, c’è stata la precisazione, il ridimensionamento di un’alternativa a nostro avviso oggi impossibile. A Rimini in particolare, si è fatto un approfondimento delle questioni concrete, si è sviluppata una certa visione della società che riprende i temi di Torino ma li rende più attuali per la situazione del paese. Vi chiedo: in che cosa a vostro avviso l’antisocialismo del congresso DC è un fatto epidermico e in che cosa invece può essere un fenomeno preoccupante? E, infine, è valido il rimedio che i socialisti hanno apportato a questa tendenza, registrata anche in loro stessi?

 

Barbiellini Amidei «Per rispondere a questa domanda bisogna tenere conto di due fatti: il primo è che se come è stato sottolineato da tutti noi, punto sul quale mi sembra che concordiamo, c’è poco dissenso oggi nella DC, la differenza che c’era tra la maggioranza del preambolo e il resto è dovuta essenzialmente al fatto che è cambiato il panorama intorno alla DC. I due grandi verificatori della DC cioè il PCI e il PSI sono due verificatori proprio in termini chimici della realtà stagionale della DC. Da una parte il PSI è, diciamo, molto cresciuto, cresciuto come consapevolezza di se stesso, cresciuto come voti, è diventato un grosso partito. Dall’altra parte il PCI è un partito che a me sembra, e sembra a molti altri oltre a me, si sia dato o sia stato costretto a tempi più lunghi rispetto a ciò che travagliava la DC nei rapporti con il PCI. Oggi ci troviamo di fronte a una situazione che tendenzialmente per la DC potrebbe arrivare un giorno a uno sbocco di tre partiti con tre aree di elettorato: trenta, trenta e trenta. Anche nella DC c’è una accentuazione del patriottismo, perché nel momento in cui non è più il centro che può far gravitare verso di sé uno dei due poli: il polo socialista, o il polo comunista, l’identità viene ritrovata sulla base dei valori cristiani.

Comunque, mi interessa notare questo fatto, rispondere a questa domanda: diventerà più antisocialista la DC, diventerà meno antisocialista? Secondo me più la DC riesce a trovare una sua identità, più riesce a non essere soltanto partito di potere; più non è ossessionata dall’idea che solo se è più grossa degli altri due vive, e meno sarà partito antisocialista. Il pericolo è che la DC diventi antisocialista unicamente perché sentendo il PSI il più attiguo alle sue zone di potere, in qualche modo riesca ad avere voti soltanto dichiarandosi antisocialista. Secondo me, la DC più mantiene un collegamento con la parte vitale del cattolicesimo, più prende consapevolezza di essere in minoranza politica come il cattolicesimo è minoranza conoscitiva, e più probabilmente ritrova degli elementi di pacatezza sia nei confronti del partito socialista sia nei confronti del partito comunista. Se ritrova degli elementi di pacatezza allora si può fare politica perché a quel punto la scelta di collaborazioni più accentuate oppure di esclusione di rapporti, voglio dire di collaborazione di potere, di gestione della cosa pubblica, con uno di questi partiti viene ricondotta a un tema di politica e non nuovamente di partito o di propria identità. Forse sono stato un poco confuso ma se vuoi poi una risposta proprio telegrafica, per me, secondo me se vogliamo che cose in Italia vadano bene – e non possono andare bene sui tempi medi, con una DC impazzita, cioè che voglia soltanto potere e distruggere le zone di aggregazione intorno a sé degli altri partiti – deve cadere una pregiudiziale, voglio dire un atteggiamento irrazionale nei confronti di altri partiti che ha di fronte: questo sia che riguarda il PCI sia che riguarda il PSI.»

 

Zucconi «Credo che l’antisocialismo viscerale manifestato dalla DC vada visto anche in funzione dei precedenti storici. La DC ha compiuto due operazioni politiche nel passato, dopo la stagione del centrismo e dopo la stagione degasperiana: il centrosinistra con i socialisti che, come dice la parola centrosinistra, tentava di cooptare almeno una parte della sinistra attraverso l’alleanza con il PSI partendo però sempre dal presupposto che l’occupazione del centro era compito e diritto immortale e ineliminabile della DC. Lo stesso compromesso storico, nell’accezione che gli è stata data, era un’alleanza che partiva dal centro ed allargava verso sinistra. Ciò che ha fatto scattare una sindrome apparentemente antisocialista nella DC, a parte le intemperanze verbali di alcuni ministri socialisti che fanno il paio con quelle di alcuni personaggi democristiani, è il fatto che la DC si è sentita insidiata dal nuovo corso del PSI nella sua supremazia centrista. Il convegno di Rimini ha accentuato questa sensazione perché nel convegno di Rimini, se si andasse ad analizzare i discorsi che sono stati fatti, troveremmo in positivo quello che al tempo del centrosinistra Lombardi o una parte del PSI denunciava come negativo. Cioè, la DC ha creduto di vedere l’appropriazione di certi valori da parte dei socialisti che lei ritiene che siano una sua invenzione, che le appartengono e che in passato sono stati contestati proprio dal PSI. Però certe riscoperte di valori, di iniziativa privata, di responsabilizzazione degli individui, di premio al merito, sono valori che sono stati duramente contestati in altre stagioni non soltanto dal PSI e che ora vengono riscoperti. Ma a parte questo particolare, non c’è dubbio che la DC si senta insidiata al centro. A me che il centro venga occupato dalla DC o dal PSI, come italiano interessa poco, a me interessa che il centro sia occupato da un partito che lo sappia gestire. Come diceva Barbiellini Amidei, se si farà chiarezza nei rapporti io preferisco partitiche siano profondamente consapevoli dei propri valori. Credo che se ciascuno giocherà il proprio ruolo sarà possibile costruire una DC più corretta, meno schizofrenica.»

 

Terzi «Vorrei riprendere un attimo il ragionamento che faceva ora Zucconi che credo corrisponda abbastanza alla situazione attuale, al quadro dei rapporti politici attuali. La DC si trova, come diceva Zucconi, minacciata nella sua posizione centrale che ha occupato per tanti anni, per tanti decenni. Oggi sente il pericolo del declino di questa funzione, un declino di cui fra l’altro si sono avuti segni visibili: un partito che non ha il presidente del Consiglio, non ha più la presidenza della Repubblica, non governa nessuna delle grandi città – non è cosa da poco e capisco che scattino dei meccanismi di reazione, di patriottismo – e si trova a misurarsi con un PSI che tende per un verso ad accentuare la propria autonomia politica rispetto al PCI, quindi ad avere una maggiore capacità di iniziativa, di manovra e tende appunto anche a conquistare strati sociali che tradizionalmente erano la base elettorale della DC, a conquistare posizioni di potere in punti chiave dello stato e della vita politica. Credo quindi che molta dell’animosità antisocialista che si è manifestata al congresso della DC venga da questi fatti. Anch’io però non darei molto credito a queste cose, perché non è detto che con la vittoria di De Mita necessariamente si giunga a un inasprimento generale dei rapporti tra la DC e il PSI. Comunque il tentativo fatto con il congresso è quello di galvanizzare il partito e dire: «noi non vogliamo modificare le nostre alleanze, però le vogliamo gestire con un po’ più di aggressività, non diamo per scontato un declino della DC, ci vogliamo battere fino in fondo per tenere le nostre posizioni». Questo è un po’, mi pare, il senso, e anche la ragione psicologica, della vittoria di De Mita, mentre Forlani appare sempre un po’ come uno che rinuncia a combattere, dando l’immagine di un partito avviato al declino. De Mita è invece uscito vincente grazie ad una linea di maggiore aggressività ed i maggiore orgoglio di partito. Per quanto riguarda il modo con cui noi vediamo, come comunisti, il rapporto con la DC, torno a ripetere cose già dette: io continuo a non credere molto a una possibilità di ridefinizione di una identità della DC, basata sull’iniezione di un po’ di valori cattolici. Noi comunisti abbiamo fatto un’esperienza negli anni passati, tentato la via di un’intesa programmatica, basandoci su un certo ragionamento: c’è una situazione grave di emergenza del paese, cerchiamo di avere almeno una fase di solidarietà fra le forze democratiche, dopo di che cadranno certe barriere ideologiche, le pregiudiziali, si può riaprire una dialettica più sciolta tra le forze politiche; il risultato è quello che sappiamo.

Questa via almeno per il momento appare chiusa, e credo non soltanto per il momento. Ritengo infatti che un’evoluzione del sistema politico richieda appunto una competizione fra le forze politiche. Si tratta, di volta in volta, di vedere se prevale un blocco di forze a egemonia moderata, e la DC è essenzialmente un partito moderato, o si aprono le condizioni anche in Italia così come si sono aperte in altri paesi dell’Europa, per un’alternativa di sinistra, cioè per un’ampia maggioranza con un’egemonia diversa, in cui il peso essenziale sia dato dal movimento operaio, dalle forze della sinistra. Il rapporto tra il PCI e la DC è antagonistico, ma mi auguro sia un antagonismo non in senso quarantottesco, quando appunto c’era la lotta faziosa, il disprezzo per l’avversario e tutto un clima ideologico di fanatismo che rendeva impossibile qualunque accordo.

Noi lavoriamo oggi per una prospettiva e alternativa che avrà i tempi che avrà e da questo punto di vista il fatto che si cerchi di insidiare la posizione centrale della DC credo sia un fatto positivo. Cioè, la sinistra può governare, può diventare forza maggioritaria del paese se riesce ad allargare la propria area, se non raccoglie soltanto i consensi nelle proprie tradizionali basi sociali, ma se riesce ad andare oltre, se riesce appunto a sostituirsi alla DC. In questo quadro, pur con tutti gli elementi di polemica che possiamo avere con i compagni socialisti, io vedo nella posizione attuale del PSI una possibilità di rafforzamento complessivo della sinistra e di rafforzamento di una prospettiva di alternativa.»

 

Critica sociale Rivolgerò l’ultima domanda: a Zucconi per primo. Riguarda De Mita. Il congresso si è concluso con l’elezione di un nuovo segretario che, nei propositi, ha una funzione rinnovatrice. E voglio fare un parallelo con il PSI: quando fu eletto Craxi. Si disse allora che Craxi difficilmente si sarebbe potuto muovere in modo autonomo perché aveva un padrino, Mancini, e forti contrappesi, Manca e Signorile che rappresentavano la continuità, in un certo senso, di De Martino e Lombardi. Craxi ha dimostrato, e credo fosse indispensabile, che per operare un rinnovamento bisogna chiudere, non con i personaggi di una certa generazione, ma con una politica, con un certo modo di fare politica. De Mita è in grado di fare altrettanto nella DC, visto che anche lui non solo ha dei contrappesi, ma addirittura più padrini di quanti ne avesse Craxi?

 

Zucconi «Il grave scacco che subì di fatto la politica di Zaccagnini dopo il congresso del 1976 nacque dall’elezione diretta del segretario della DC attraverso l’assemblea, senza avere predisposto degli organigrammi che rispettassero poi la stessa proporzione di forze negli organi deliberanti ed esecutivi del partito, il consiglio nazionale e la direzione. Zaccagnini sì trovò a essere eletto con una maggioranza risicata per essere poi in minoranza, sia in Direzione che nel Consiglio nazionale. Le operazioni che sono state fatte prima di arrivare all’elezione diretta, e probabilmente in base alle esperienze del 1976, consentono a De Mita di avere la maggioranza con i suoi nuovi soci. Vedremo poi se li ucciderà o cosa farà anche al Consiglio nazionale e alla Direzione. Questo mi fa presumere che egli abbia maggiori possibilità di agire di quanto non ne ebbe Zaccagnini.»

 

Barbiellini Amidei «Non so fare il futurologo, però il ricordo che tu facevi molto appropriatamente dell’inizio della segreteria Craxi induce all’estrema prudenza perché se si andasse a vedere che cosa avevano scritto i commentatori politici di allora, tutti credo, avevano prefigurato un quadro del PSI diverso da quello di oggi. Quindi credo convenga essere più prudenti. Quello che si può dire al di là di quello che sarà proprio l’esito di De Mita è che, oggi la politica dei partiti, come la politica italiana in genere, è la politica della DC, che comunque per il momento resta centrale, finché almeno il PSI non ha lievitato al di sopra di una certa maggioranza di voti, cosa che io credo abbastanza probabile. Per un partito di maggioranza le possibilità di avere fantasia politica sono praticamente quasi ridotte a zero. Quando prima sì ricordava che la DC in fondo oggi non ha né il presidente del Consiglio, né il presidente della Repubblica, né il sindaco di una grande città, non ha il presidente della Camera, questo è dovuto soprattutto all’attuale situazione italiana. Il governo in mano a Spadolini, che lavora molto bene, è l’esito di una situazione per cui per forza deve governare un piccolo partito che è fuori dalle grandi mischie. È una situazione bloccata e quindi anche la DC di De Mita dipende non tanto dai rapporti fra lui, Andreotti e Fanfani quanto dal quadro generale della situazione.»

 

Terzi «Anch’io non sono certamente in grado di dire che cosa succederà nel prossimo futuro all’interno della DC. Ci vorrà un certo periodo di tempo per dare un giudizio più preciso sulla segreteria De Mita. Non conosco abbastanza il personaggio per dire quanto vale. Sono convinto che per la DC è molto più difficile un’operazione di rinnovamento perché il PSI partiva da una condizione diversa, dato che aveva uno spazio elettorale più limitato e quindi era più facile tentare un rilancio. Pensiamo ad esempio alla DC nel mezzogiorno – e qui De Mita non mi pare che là dove ha potuto pesare di più abbia seguito una strada di grande rinnovamento del sistema di potere della DC – se si vuole cambiare il modo di essere, lo stile bisogna scontrarsi con opposizioni di potere molto forti. La DC è una grande confederazione che sta in piedi attraverso un’opera di mediazione tra interessi diversi sul piano sociale e sul piano politico e quindi, chiunque sia, al di là del valore della persona, De Mita o un altro, persino uno come Moro, ha sempre dovuto muoversi con estrema cautela.»



Numero progressivo: G14
Busta: 7
Estremi cronologici: 1982, maggio
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Interviste/Dibattiti
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “Critica sociale”, n. 5, maggio 1982, pp. 2-7