IMPIEGATI E SINDACATO
Convegno FIOM Milano del novembre 1985
Intervento di Riccardo Terzi su impiegati e sindacato al convegno Fiom Milano
Mi pare evidente non solo l’utilità di un convegno come questo, ma il fatto che il problema degli impiegati è un problema per il sindacato di grande consistenza, di grande rilievo. E questo risulta dai dati di fatto che sono usciti con chiarezza nel corso del dibattito, dati di fatto preoccupanti che dimostrano il nostro ritardo sensibile: a partire dai livelli di sindacalizzazione degli impiegati, al grado di partecipazione all’attività sindacale. C’è piuttosto da domandarsi perché questo problema, che è così corposo, venga molto spesso occultato e rimosso nella nostra discussione interna. Forse dobbiamo guardare un po’ indietro, fare un’analisi storica per capire meglio le ragioni dei nostri ritardi di oggi, le cause di questi ritardi. Nel passato ha funzionato un certo tipo di modello, un modello politico e organizzativo del sindacato imperniato sulla centralità operaia. Credo che sia corretta questa espressione, perché effettivamente c’era un punto centrale, un nucleo centrale a partire dal quale prendeva forma un movimento più largo, un’influenza sociale più ampia, un rapporto di egemonia, di questo nucleo centrale di classe operaia su altri strati sociali.
Non c’è dubbio che questo modello ha avuto un suo ruolo di grande importanza nella storia del sindacato, quindi evitiamo assolutamente di farne la caricatura. In quel tipo di impostazione il mondo impiegatizio veniva coinvolto in via indiretta, veniva coinvolto soltanto come effetto di un’iniziativa egemonica della classe operaia, e non riusciva a esprimere e non aveva bisogno di esprimere una sua specificità, una sua autonomia reale. Ora, a me pare che questo modello sia, per varie ragioni, entrato in crisi ormai da qualche tempo, non perché si sia determinata una nuova centralità, ma perché non esiste più un luogo privilegiato dello scontro sociale: lo scontro è molto più diffuso, disperso, l’unità di classe si fa molto problematica e non può che essere il risultato di un processo molto complesso. E vediamo tutta una serie di rapporti: rapporti tra operai e impiegati, rapporto tra industria e terziario, tra grande impresa e piccola impresa, tra occupati e disoccupati o sottoccupati. Tutti questi rapporti non sono rapporti lineari ma sono rapporti che hanno in sé degli elementi di contraddizione che devono essere affrontati come tali.
Per questo io do un giudizio diverso da quello che dava Castano (se ho capito bene il suo intervento) in cui parlava di una tendenza oggettiva all’unificazione del mondo del lavoro: a me pare francamente vero l’opposto, pare che i processi reali sono processi che disarticolano il mondo del lavoro, che provocano elementi di frammentazione. C’è piuttosto da vedere dove sta il punto critico oggi, se il punto critico è nel rapporto tra lavoro manuale e lavoro non manuale.
Su questo credo che qualche riflessione debba essere fatta. È evidente, per tutte le ragioni dette, che questa distinzione di lavoro manuale e lavoro non manuale mantiene il suo significato politico, però è una distinzione sempre meno rigida in seguito proprio ai processi di innovazione, per cui sia il lavoro operaio e sia il lavoro impiegatizio per certi aspetti sono unificati dal fatto di essere dei lavori di controllo su processi automatizzati.
Il punto critico mi pare si sia spostato, sia nella divaricazione tra lavoro esecutivo (comprendendo in questo anche il lavoro impiegatizio di basso profilo, di basso livello) e il lavoro ad alta professionalità e responsabilità. Per questo ha preso rilievo, anche politico, in quest’ultimo periodo la questione dei quadri, perché è questa: dell’emergere di uno strato di lavoratori, non assimilabile alla massa impiegatizia e che assume un rilievo crescente nella vita e nell’organizzazione delle imprese. Ed è qui il punto di rottura con il sindacato, anche in forme organizzative esplicite, fuori e contro il sindacato.
Le nostre difficoltà però sono duplici: da un lato c’è questa questione dei quadri come problema nuovo, su cui si misura la capacità del sindacato di affrontare a livello più alto i processi di trasformazione; ed insieme però resta ancora aperto il problema più generale del mondo impiegatizio, dove i ritardi nostri esistono, e tra l’altro dove si stanno verificando processi intensi di trasformazione proprio delle condizioni materiali del lavoro impiegatizio, sulle quali è urgente un’analisi e un intervento.
Vorrei tenere abbastanza distinte queste due questioni, degli impiegati e dei quadri. Mi pare che siano due problemi che richiedono due approcci diversi, pur sapendo che non c’è una linea di confine tracciata in modo rigido, ma comunque si tratta di due questioni che hanno una loro distinzione sul piano politico.
Questa situazione di crescente differenziazione del mondo del lavoro mette in crisi tutti quegli istituti che erano costruiti su un modello uniforme: l’inquadramento (che si è inceppato), le politiche salariali che non hanno funzionato in rapporto ai cambiamenti in atto (qui si è aperto un varco crescente all’iniziativa discrezionale dell’impresa), le forme di rappresentanza. Su questo si sono soffermate anche le relazioni, e io credo giusta l’esigenza di individuare forme differenziate, modalità diverse di impegno sindacale per superare anche quella contraddizione tra impegno sindacale e prospettive professionali. Per cui l’impegno in questo caso di certe figure professionali non può svolgersi nelle medesime forme in cui si svolge l’impegno del delegato operaio.
In alcuni casi poi dobbiamo anche prevedere l’opportunità o la necessità di momenti di associazionismo autonomo, che non siano antagonisti rispetto al sindacato, come sta avvenendo largamente nel mondo dei quadri. Ferma restando la funzione dei consigli come organi di rappresentanza generale, che debbono però avere al proprio interno dei momenti di articolazione.
Lavorare in questo modo su una linea che va verso l’articolazione può aprire dei rischi, ma «a me pare» che il rischio maggiore sia la caduta definitiva della nostra capacità di rappresentanza. E questo non è un rischio astratto, è un rischio che già visibilmente è nella realtà di oggi. E allora come e su che cosa possiamo unificare un mondo del lavoro che si presenta così?
Anch’io credo che questo debba essere affrontato a partire da alcune opzioni politiche di carattere generale. Soprattutto è decisivo un punto: la capacità del sindacato di controllo dei processi, di governo del cambiamento. Si tratta quindi di riconquistare un potere reale di contrattazione che ci è sfuggito. Anche sotto questo profilo siamo a un cambiamento di fase rispetto al passato: infatti possiamo pensare per un certo periodo della storia del sindacato a un modello di relazioni industriali caratterizzate semplicemente dal conflitto, in cui tutto era affidato ai rapporti di forza; ora questo cambia nella situazione di oggi, e di fronte ai processi di innovazione abbiamo la necessità di una contrattazione preventiva sui processi; vi è la necessità di definire procedure, diritti, regole, avere quindi un riconoscimento anche formale del ruolo del sindacato, che rischia altrimenti di ridursi ad un’azione solo difensiva, di resistenza passiva e inevitabilmente perdente.
Mi pare che su questo terreno nuovo noi possiamo trovare un diverso rapporto con una serie di strati di lavoratori, i quadri, i tecnici. Vi sono cose interessanti dette dalla relazione sul diverso atteggiamento di queste figure nel loro rapporto con l’impresa. Io non penso che lo sbocco di questo ragionamento sia una soluzione di cogestione, che tra l’altro non ci propone nessuno. Penso piuttosto alla costruzione di un nuovo sistema di relazioni industriali, in cui il sindacato si afferma, tende ad affermarsi come interlocutore necessario in tutte le fasi del processo. Qui abbiamo un punto di riferimento (ancora molto teorico, perché non abbiamo esperienze pratiche significative), in quel tipo di impianto previsto dal protocollo IRI. Il che comporta comunque una diversa attitudine, un diverso orientamento politico, più propositivo da parte del sindacato, una capacità di risposta ai problemi di elaborazione. Insomma, c’è la questione dell’impresa, di come vediamo l’impresa oggi; qui c’è una carenza che è un po’ della cultura della sinistra in generale, che ha oscillato tra illusioni di resistere, da un lato, e qualche volta anche eccessive concessioni al principio dell’autonomia o della centralità dell’impresa. Affrontare il problema dell’impresa, di come funziona, di come si decide il rapporto tra decisione e consenso, sapendo appunto che non c’è un’antinomia rigida, assoluta tra questi due principi· ma che il consenso per molti aspetti è una condizione perché si possano assumere decisioni efficaci.
Qui credo dobbiamo cercare di definire in modo più preciso un nostro progetto, un nostro modello di democrazia d’impresa in cui l’autonomia decisionale del gruppo dirigente dell’impresa è garantita, ma all’interno di regole, di forme di condizionamento dall’alto e dal basso: cioè dall’alto delle decisioni dell’autorità politica, e dal basso, cioè dal lato del controllo democratico dei lavoratori.
Ciò comporta anche nuove forme e nuove esperienze di organizzazione del lavoro, il superamento delle rigidità gerarchiche, dei modelli burocratizzati che, tra l’altro, sono di ostacolo all’accelerazione dei processi innovativi, la conquista di momenti di autogestione del processo produttivo.
A me pare che su questi temi, su queste basi, cioè sulla base di un progetto politico nostro che riaffronti il tema dell’impresa in rapporto all’innovazione, noi possiamo in sostanza stabilire i cardini di un rapporto con il mondo dei tecnici, degli impiegati, dei quadri, al di là degli sforzi organizzativi che pure sono necessarie al di là di una necessaria definizione più puntuale di singoli obiettivi rivendicativi, che tengano maggiormente conto delle caratteristiche peculiari della condizione di lavoro degli impiegati e dei quadri. Comunque quello di cui abbiamo maggiormente bisogno è di un’impostazione politica generale che ci faccia recuperare rapidamente un terreno che abbiamo perso negli anni passati e sul quale oggi abbiamo bisogno di reimpostare una nostra iniziativa.
Busta: 1
Estremi cronologici: 1985, novembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: ?