IMPEGNO POLITICO E SOCIALE NEL DOCUMENTO DEI VESCOVI LOMBARDI
di Riccardo Terzi
Il documento dei vescovi lombardi sulla crisi economica e sociale della Lombardia ha avuto una notevole risonanza. Esso contiene, infatti, novità di rilievo, e supera, per molti aspetti, il tradizionale orizzonte, moralistico e conservatore, della dottrina sociale della Chiesa.
La cultura cattolica ha assunto, in generale, di fronte ai problemi della vita economica e sociale, un atteggiamento inadeguato e sterile, in quanto ha cercato di ricondurre i problemi economici e i conflitti sodali nell’ambito di una impostazione esclusivamente morale, col risultato di produrre una predicazione impotente. Ed è a tutti noto ed evidente l’uso conservatore che di tale impostazione è stato largamente fatto, l’effetto di inerzia e di passività che è stato indotto nella coscienza di larghi strati della classe lavoratrice.
Ma ormai da tempo, a partire almeno dagli anni ‘60, all’interno del mondo del lavoro è saltata la tradizionale divisione e contrapposizione tra le forze di orientamento cattolico e quelle di orientamento socialista, ed è maturata non soltanto una coscienza unitaria, ma una esperienza comune di lotta.
Di conseguenza, anche il linguaggio della Chiesa cambia, perché si rivolge a un mondo cattolico più consapevole e non più disposto a recitare la parte della rassegnazione.
Di questo mutamento che si sta verificando negli indirizzi politici e culturali della Chiesa il documento dei vescovi lombardi è un esempio assai significativo.
Pur all’interno di un involucro ideologico ancora tradizionale, vengono rese esplicite alcune scelte politiche impegnative, alcune opzioni tutt’altro che scontate, e si stabilisce un rapporto diretto con il dibattito che è aperto tra i lavoratori e all’interno del movimento sindacale. Si tratta quindi di un intervento politico, con precise e dichiarate finalità, e non di una predicazione astratta buona a tutti gli usi.
L’accento viene posto in primo luogo sulla necessità di una politica economica e sindacale che sia finalizzata all’obiettivo della massima occupazione.
Da questa priorità vengono fatte discendere linee di comportamento conseguenti: per l’intervento dello Stato, che deve realizzare una programmazione economica che fissi in modo certo obiettivi di sviluppo produttivo e di difesa dell’occupazione, e per l’iniziativa sindacale, che deve anteporre a tutti gli altri obiettivi quello del lavoro e che deve, per questo, essere improntata a un criterio di solidarietà fra tutti i lavoratori. Su questa impostazione possiamo convenire.
Ciò pone al movimento sindacale problemi di coerenza nella definizione delle proprie politiche rivendicative, per far sì che la priorità dell’occupazione sia effettiva, e non solo dichiarata nei documenti ufficiali. Ed è in rapporto al tema dell’occupazione che vanno affrontati coraggiosamente i problemi dell’orario di lavoro, della sua progressiva riduzione, dell’uso della Cassa Integrazione e dei contratti di solidarietà, della riforma del mercato del lavoro, della formazione professionale.
Un secondo tema fortemente sottolineato è quello delle innovazioni tecnologiche, di cui si coglie l’ambivalenza: da un lato la straordinaria potenzialità di progresso sociale e di sviluppo delle capacità professionali, dall’altro lato i rischi di espropriazione delle capacità creative del lavoro e di asservimento dell’uomo alla macchina.
Siamo, dunque, nel mezzo di una eccezionale trasformazione dell’apparato tecnico e produttivo, che può avere sviluppi diversi, che può incidere in modo diverso sulle condizioni di vita e di lavoro, e che richiede perciò un’iniziativa e una lotta per il controllo democratico sui processi di ristrutturazione, per la conquista di nuove forme di organizzazione del lavoro, per allargare gli spazi di partecipazione per tutti i lavoratori.
In questa impostazione c’è un dato di estrema importanza: la consapevolezza che il corso delle cose non è scontato, non è fatale, ma dipende dall’intervento degli uomini, dalla loro iniziativa, dal conflitto tra interessi diversi. Ogni forma di fatalismo rassegnato viene così ad essere abbandonata.
«La crisi può essere guidata». Questa affermazione può essere considerata come il concetto centrale che sta alla base di tutto il documento. Con ciò, si propone al mondo cattolico una posizione politica attiva, per il raggiungimento di fini di progresso e di solidarietà sociale: non una semplice opera di mediazione, come è avvenuto tradizionalmente per le forze cattoliche, ma invece una pienezza di impegno politico e sociale per guidare la società italiana fuori dalla crisi.
Mi sembra importante cogliere e sottolineare questo dato di fondo, al di là di singoli giudizi e valutazioni su cui è possibile esprimere delle riserve.
In generale, il discorso diviene meno lucido e meno convincente ogni volta che il giudizio morale si sostituisce all’analisi obiettiva dei fatti. Così, ad esempio, nella valutazione delle nuove forme di soggettività presenti nel mondo del lavoro si avverte come un rimpianto per gli antichi valori, per l’etica del lavoro”, e si corre perciò il rischio di giudicare i cambiamenti in atto come decadenza, come crisi, come ricaduta nell’individualismo, mentre le cose sono in realtà più complesse e più ricche di potenzialità positive.
Ma si tratta di aspetti secondari, che non possono modificare il giudizio d’insieme. Si può aprire, dunque, un nuovo terreno di dialogo e di collaborazione tra il movimento dei lavoratori e le forze cattoliche organizzate, e questa nuova possibilità deve essere pienamente colta, perché da essa può venir un impulso nuovo e positivo alla battaglia per lo sviluppo civile ed economico della nostra regione, per una politica che si proponga di “guidare” la crisi, e di mobilitare tutte le energie della società per un obiettivo chiaro di progresso e di giustizia sociale.
Busta: 2
Estremi cronologici: 1984, febbraio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Battaglie del lavoro”, n. 1-2, gennaio-febbraio 1984, p. 3