L’ARMONIA DEI PRODUTTORI
Impresa, sindacato e amministrazione a Monza 1893-1963
I saggi contenuti in questo volume derivano dai lavori del convegno svoltosi a Monza il 4 novembre 1993 in occasione delle celebrazioni per il centenario della Camera del Lavoro. La direzione scientifica del convegno è stata affidata a Ivano Granata, Giuseppe M. Longoni e Adolfo Scalpelli, mentre Giovanna Fassi si è occupata della segreteria organizzativa.
Indice
Introduzione – Loris Maconi
Parte prima – La Camera del lavoro di Monza dalle origini ai giorni nostri
Maurizio Antonioli – Dal 1893 alla prima guerra mondiale
Ivano Granata – Tra «rivoluzione» e fascismo (1919-1925)
Ernesto Marelli – 1945-1960: la difficile riconquista dell’unità
Sandro Antoniazzi – Il dovere delle scelte sindacali
Parte seconda – Monza e la Brianza in cento anni di storia
Maurizio Punzo – L’amministrazione socialista (1914-1922)
Alfredo Canavero – La vita politica e amministrativa dal 1945 agli esordi del centro-sinistra
Roberto Romano – Un secolo di industria tessile a Monza: dall’apogeo alla decadenza
Giuseppe M. Longoni – Cultura dell’impresa e cultura del lavoro
Guido Martinotti – Trasformazioni urbane e cambiamenti sociali
Riccardo Terzi – Il sindacato prossimo venturo
IL SINDACATO PROSSIMO VENTURO
di Riccardo Terzi
Mi limito a pochissime considerazioni. Dall’insieme dei contributi qui raccolti emerge un quadro molto interessante dell’esperienza storica del movimento sindacale con un riferimento particolare alla Brianza. Un quadro dal quale esce con evidenza il fatto che il movimento sindacale è stato in tutti questi decenni un protagonista dei grandi processi di cambiamento sociale, politico e culturale, naturalmente con luci e ombre, ma un protagonista attivo e in alcuni passaggi decisivo. Appare chiaro inoltre che il sindacato entra in crisi proprio nel momento in cui non riesce a capire questi cambiamenti, che non vengono analizzati per tempo in tutte le loro implicazioni. In questa ricostruzione storica risulta con chiarezza l’intreccio molto stretto tra la vicenda sindacale e la vicenda politica. Il sindacato ha una sua autonomia come soggetto sociale, ma non opera in un’area separata rispetto a quello che avviene sulla scena politica. Tutta la nostra storia è segnata da questo rapporto difficile, in molti casi anche conflittuale, con la sfera della politica. Il sindacato nasce con un legame molto stretto con il movimento socialista, come nel caso del sindacalismo cattolico, con una sua fitta rete di relazioni politiche, sociali, culturali. In questo dopoguerra, la vicenda che ha portato prima a una breve esperienza unitaria e successivamente alla rottura, alla scissione, alla divisione sindacale, ha avuto alla base evidenti ragioni politiche. Noi oggi giustamente cerchiamo di sottolineare con più forza le ragioni dell’autonomia sindacale, ma ciò non significa che possiamo prescindere da quello che accade fuori di noi. Credo che anche oggi, per rispondere al difficile quesito di quali siano le prospettive che ci diamo per i prossimi anni, dobbiamo saper vedere i grandi cambiamenti che sono in corso, e valutare quindi come il sindacato possa costruire una propria risposta ai processi che ci stanno di fronte.
Questo mi pare possa valere come premessa. Credo che sia un presupposto importante capire bene la storia della CGIL, la storia del sindacalismo italiano, anche per trovare un filo di continuità, una linea di coerenza con tutto un patrimonio storico che non va disperso, anche se le situazioni oggi sono completamente diverse. Detto questo, e sulla base di questa consapevolezza della nostra storia, resta aperto il problema di come rispondiamo agli interrogativi che riguardano il futuro, come ci collochiamo di fronte ai nuovi scenari che ci stanno davanti. Oggi davvero siamo in una fase di straordinario cambiamento. In situazioni tutto sommato statiche si può sbagliare con meno conseguenze, o comunque c’è il tempo di correggere gli errori perché intanto la situazione non ha delle accelerazioni particolarmente violente. Oggi siamo in un momento in cui gli equilibri si stanno modificando con una straordinaria velocità e dove quindi i rischi sono maggiori, le conseguenze negative di scelte sbagliate sono molto più gravi.
Per questo avremmo bisogno innanzi tutto di fare un’analisi più precisa e approfondita di quello che sta accadendo, dei cambiamenti che sono in atto nella società italiana e nella società mondiale, perché, sc ci limitiamo a seguire una politica di routine pensando che basti quello che abbiamo imparato a fare, noi rischiamo davvero di essere spiazzati, cioè di non capire le cose essenziali che stanno avvenendo e che saranno decisive nei prossimi anni.
Martinotti ha illustrato come stiano cambiando gli equilibri a livello internazionale, nel momento in cui va avanti un processo di mondializzazione dell’economia e si stanno ridislocando le identità nazionali. Quindi abbiamo bisogno davvero di una riflessione di tipo strategico. Una fase come questa necessita un grande sforzo di approfondimento, di analisi, di invenzione strategica, perché la routine ci uccide e un sindacato che continua a ripetere i propri gesti sperando che questo sia sufficiente è un sindacato che rischia di andare incontro a sconfitte molto pesanti. E allora il problema è come ci ricollochiamo, come ridefiniamo il ruolo del sindacato in questo nuovo scenario.
Ci sono i cambiamenti che avvengono sul piano politico e istituzionale: in Italia è in atto uno sconvolgimento ancora molto incerto nei suoi sbocchi. È avviato un processo politico che porterà a definire un nuovo edificio, una nuova architettura istituzionale, un nuovo sistema politico diverso da quello che abbiamo conosciuto e con il quale abbiamo convissuto bene o male in tutti questi anni.
Credo che non si debba avere un atteggiamento conservatore e che sarebbe del tutto sbagliato vedere soltanto i rischi, aver cioè una posizione di freno rispetto ai processi di cambiamento. Essi hanno una forza ineluttabile perché davvero siamo giunti a uno scollamento del vecchio sistema e non c’è nessun miracolo che possa rimettere in piedi un sistema che si sta sfasciando. Certo, bisogna vedere quali sono le soluzioni, come si gestisce questa fase di transizione, di costruzione del nuovo ordinamento democratico, quali sono le forze che sapranno guidare questo processo. E allora è decisivo sapere se il movimento dei lavoratori sarà parte attiva di questo processo. Il cambiamento politico infatti può avere un carattere di destra, può essere un processo di restaurazione autoritaria o tecnocratica, così come invece può esserci una crescita e una qualificazione dello sviluppo anche dal punto di vista sociale. Occorre quindi un ruolo attivo del sindacato dentro una transizione che va assecondata e che va però indirizzata verso degli obiettivi coerenti con quelli che sono i valori che vengono dalla storia del movimento sindacale. Da questo punto di vista, anche nell’autonomia che dobbiamo ribadire, non può esserci un’indifferenza rispetto ai processi politici.
Sicuramente, per dare un segno di progresso al cambiamento in atto c’è bisogno che maturino condizioni politiche che oggi non ci sono, che maturi una maggiore possibilità di intesa, di ampia alleanza tra le forze democratiche, tra le forze della sinistra, così come è necessario che il processo di cambiamento non riguardi soltanto i meccanismi istituzionali, ma anche i contenuti economici e sociali, che si definisca cioè il modello sociale, i contenuti da dare a quella che si annuncia come la seconda Repubblica. Qui c’è spazio per un’iniziativa specifica, per un contributo autonomo del sindacato dentro questa fase di transizione.
Sono inoltre particolarmente d’accordo con la sottolineatura fatta da Antoniazzi sulla necessità di considerare oggi del tutto matura la questione dell’unità sindacale, per le molte ragioni indicate: perché davvero la situazione attuale di divisione ha ormai solo una giustificazione di ordine storico. Se guardiamo alla storia dei rapporti tra il movimento sindacale e il sistema dei partiti si capisce perché ci siano la CGIL, la CISL e la UIL, ma se guardiamo al futuro ciò non ha più senso, è davvero un peso che ci trasciniamo, un elemento di inerzia che ci appesantisce e non ci aiuta ad affrontare i problemi nuovi che sono propri di questa fine di secolo. Allora dobbiamo davvero non soltanto ribadire in astratto il valore dell’unità sindacale, ma vedere come cominciare immediatamente ad avviare un processo reale, nel corso del quale darsi un programma per l’unità sindacale, vedendola non come un assemblaggio delle organizzazioni esistenti, ma come un processo di costruzione di un nuovo sindacato unitario, confederale, pluralista, che deve risolvere in primo luogo il problema del proprio rapporto democratico con gli iscritti e con i lavoratori, per superare quel deficit di democrazia che c’è stato in questi anni nella nostra vita interna. In questo senso il passaggio verso l’elezione delle Rappresentanze sindacali unitarie, cioè delle nuove rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro, è una prima tappa per la costruzione del sindacato unitario. Ed è su questa base che dobbiamo lavorare.
In Lombardia abbiamo già avviato una ricerca e una riflessione unitaria, decidendo di andare all’appuntamento delle RSU – Rappresentanze sindacali unitarie – sulla base di una posizione politica convergente, sulla base di un patto unitario fra le tre confederazioni e decidendo di realizzare alcune esperienze concrete, ad esempio pensando a un programma straordinario di formazione sindacale per i quadri che usciranno dalle elezioni nei luoghi di lavoro, cominciando così a mettere all’ordine del giorno la costruzione di una nuova leva di quadri, in una prospettiva unitaria che poi abbia la forza di reggere. E questo ci impegna ad affrontare alcuni nodi. Non basta dire unità, bisogna ridefinire quali sono i valori fondativi del sindacato, le sue grandi scelte strategiche, il sistema di regole democratiche. E sono questioni sulle quali dovremo lavorare con molta intensità, con molto impegno nei prossimi mesi, perché il cammino dell’unità possa davvero marciare, non essere solo uno slogan che si ripete continuamente e che poi non si realizza. Bene, io credo sia questo il momento di sciogliere questi nodi, se non vogliamo perdere un’occasione, se non vogliamo arrivare in ritardo, appesantiti dalla nostra storia, dalle nostre divisioni, agli appuntamenti che ci stanno davanti. Inoltre ci sono cambiamenti nella struttura materiale, nell’economia, nelle relazioni sociali, per i quali io credo indispensabile un’analisi impegnata da parte nostra. Vi sono, ricordavo prima, processi di integrazione a livello internazionale. Ecco, di fronte a essi non vedo ancora un’attenzione e un’azione politica conseguente da parte delle organizzazioni sindacali, perché, se i luoghi delle decisioni si spostano e diventano luoghi internazionali, noi invece continuiamo ad andare a Roma, e qualche volta ci andiamo a perdere tempo perché non è là che si decide, perché è in crisi il vecchio modello dello Stato nazionale.
Ci sono contemporaneamente due movimenti, uno verso una dimensione più larga, verso l’Europa, o verso una dimensione più ampia di quella europea, e d’altra parte c’è l’emergere di realtà particolari, regionali, c’è un nuovo ruolo delle città e delle comunità locali che acquistano peso politico e che hanno bisogno di autonomia per potersi sviluppare. Quindi anche le relazioni sindacali vanno riarticolate, riorganizzate. C’è bisogno di un sindacato che sia più europeo di quello che è oggi (oggi lo è pochissimo), e più regionale, più capace di valorizzare gli elementi di autonomia.
Oggi c’è una strozzatura burocratica che va rotta, abbiamo un modello di organizzazione sindacale che corrisponde a una realtà politico-sociale che non c’è più. Cerchiamo almeno di avviare una riflessione, di realizzare qualche prima misura organizzativa che metta il sindacato in condizione di muoversi con più agilità, in rapporto ai processi reali, che sono molto veloci e che richiedono quindi una maggiore velocità delle decisioni. Noi abbiamo tempi di decisione insopportabilmente lunghi, senza avere neanche la giustificazione della democrazia, perché spesso sono lunghi e non democratici. Abbiamo inoltre un modello organizzativo che non corrisponde alla nuova organizzazione dei poteri, alla nuova articolazione della società reale sul piano economico e politico. D’altra parte, abbiamo nella nostra realtà una situazione sociale che presenta dei segni allarmanti, di degrado dell’economia lombarda. Si tratta di una vera e propria deindustrializzazione: mentre negli anni passati avevamo un calo occupazionale, che era la conseguenza non di un degrado dell’apparato produttivo, ma di un suo processo di ristrutturazione, oggi abbiamo segni di un vero e proprio regresso, di un arretramento della capacità produttiva in un’area forte come quella della Lombardia, e infine abbiamo fenomeni di rottura della solidarietà, di corporativizzazione della società, e questo tocca l’anima stessa del sindacato, la sua funzione di sintesi per mettere insieme gli interessi diversi, per far valere una logica di solidarietà, una logica confederale, non una sommatoria di interessi particolari.
Tutto questo oggi diventa sicuramente più difficile. Sentiamo tutti nella società, nel corpo sociale, l’emergere di egoismi, di posizioni chiuse, e quindi la difficoltà a ritrovare un punto solido di convergenza, di unità, di solidarietà. Io credo che per affrontare questo insieme di problemi dobbiamo ridefinire meglio quali sono i nostri fini, i nostri obiettivi, qual è il progetto per un nuovo tipo di sviluppo, che cosa proponiamo per la Lombardia, che cosa diciamo ai lavoratori al di là della quotidianità della nostra azione di difesa in questa o quella situazione, quale linea di marcia riusciamo a definire per una prospettiva nuova di sviluppo economico e di riqualificazione sociale.
Questi sono i temi sui quali dobbiamo lavorare molto intensamente, e che devono accompagnare il processo di costruzione di un nuovo sindacato unitario. Non ho la pretesa di fornire ora delle risposte, e ciascuno può avere le sue risposte personali. Abbiamo bisogno quindi di un confronto collettivo per giungere insieme a delle conclusioni. Riflettendo sulla nostra storia passata, in rapporto ai cambiamenti che stanno avvenendo, ci accorgiamo che siamo a un punto di snodo molto impegnativo, di fronte al quale ci sentiamo tutti ancora un po’ inadeguati, sentiamo di non aver ancora trovato il ritmo giusto, di non aver ancora l’intuizione strategica sufficiente per essere all’altezza di questi cambiamenti. Cerchiamo quindi di ricavare anche da questa riflessione storica gli stimoli per andare avanti, per affrontare con grande impegno, con grande coraggio, i nodi, gli interrogativi che stanno davanti a noi in questa fase di cambiamento.
Busta: 51
Estremi cronologici: 1994
Autore: Ivano Granata e Giuseppe M. Longoni (a cura di)
Descrizione fisica: Volume, b/n, 314 pp.
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: Ediesse, Roma, 1994