IL SINDACATO NON PUÒ ESSERE CASSA DI RISONANZA DI ATTACCHI ALLA BICAMERALE

di Riccardo Terzi e Michele Magno

Dopo che la Commissione Bicamerale ha varato, a larga maggioranza, una proposta di riforma costituzionale, si deve aprire un ampio dibattito politico, non solo nel Parlamento, ma nel paese. Non c’è dubbio che anche le organizzazioni sindacali debbano sentirsi impegnate in questo confronto, in quanto si tratta di definire un progetto complessivo di riforma dello Stato, per superare positivamente la difficile fase di transizione e di incertezza che ha segnato la recente storia politica dell’Italia.

Sono dunque condivisibili le sollecitazioni che sono giunte da varie parti, a partire da Pietro Ingrao, per una visibile ed impegnata iniziativa politica del sindacato sul terreno istituzionale. In questa medesima direzione si pronuncia un documento collettivo di dirigenti della CGIL, il cui primo firmatario è Mario Agostinelli, nel quale è convincente il senso dell’urgenza di un confronto di massa sulle linee portanti della riforma.

Ma tutte queste sollecitazioni, giuste dal punto di vista del metodo, a che cosa puntano nella sostanza? Se si pensa che il sindacato debba partecipare alla confusa campagna di attacco pregiudiziale alle conclusioni della Bicamerale, liquidate sbrigativamente con un pasticcio prima ancora di avere studiato attentamente i testi, siamo allora del tutto fuori strada. Il sindacato non può rischiare di restare invischiato in manovre politiche.

Se veniamo dunque al merito dei problemi politici, i giudizi formulati nei documento di Agostinelli non reggono alla prova dei fatti, perché parlano di un testo costituzionale immaginario, di un attacco ai diritti di cittadinanza, di un liberismo sfrenato e vincente, di un arretramento della democrazia sociale, senza poter indicare nessuna prova documentata a sostegno di questa tesi. La discussione è utile, ma solo a condizione che sia rigorosa. Non si può andare a spanne, per impressioni o per pregiudizi. Il lavoro della Bicamerale si è svolto nella conferma dei principi fondamentali sanciti nella prima parte della Costituzione, e si dimostra quanto sia stata saggia la decisione di escludere lo strumento dell’Assemblea Costituente, che avrebbe rimesso in discussione l’intero impianto costituzionale.

Restano aperti problemi di attuazione di alcuni importanti principi costituzionali, e in particolare per il sindacato è essenziale che si dia vita finalmente ad una legislazione organica e coerente per quanto riguarda sia le regole della rappresentanza, sia gli strumenti della partecipazione dei lavoratori e della concertazione, per consolidare un sistema di democrazia economica. Il nuovo clima “costituente” che si è realizzato può rappresentare un’occasione favorevole permettere mano a questi problemi. Sotto questo profilo, l’esito politico della Commissione Bicamerale rappresenta non un rischio di arretramento, ma al contrario una straordinaria risorsa, perché le forze politiche sono riuscite a superare il clima di rissosità pregiudiziale e a costituire il terreno di una possibile convergenza.

È questo il risultato più rilevante, in quanto consente di affrontare i problemi che restano aperti in un clima costruttivo, senza fondamentalismi e senza reciproche denominazioni. In realtà, l’attacco alla Bicamerale viene da tutti quelli che, per diverse motivazioni, da destra o da sinistra, si oppongono in via di principio ad ogni ipotesi di compromesso e di intesa. Queste posizioni vanno contrastate e sconfitte, perché impediscono di conseguire qualsiasi risultato positivo: secondo questa logica in ogni intesa c’è sempre il compromesso deteriore, il pasticcio, il cedimento al consociativismo, ed è sempre meglio non fare nulla piuttosto che fare qualche ragionevole mediazione.

 

La CGIL, che è una grande organizzazione di massa politicamente responsabile, non può che avere un atteggiamento propositivo e costruttivo. Non è vero che c’è stato fin qui il silenzio, perché ci sono stati atti politici e deliberati congressuali. In particolare, si sono poste al centro due grandi questioni: la necessità di un equilibrio dei poteri, contro i rischi di concentrazione e contro modelli della democrazia plebiscitaria, e la necessità di una riforma federalista dello Stato, per ricostruire su nuove basi l’amministrazione pubblica in un rapporto di integrazione con la domanda sociale differenziata dei diversi sistemi territoriali.

Sul primo punto, le conclusioni della Bicamerale sono soddisfacenti, perché configurano un sistema nel quale Presidente della Repubblica, Governo e Parlamento concorrono a costruire un equilibrio nel quale non c’è un dominus assoluto.

Per quanto riguarda invece la riforma federalista, i risultati sono ancora insufficienti, tanto è vero che viene espunto dal nuovo testo costituzionale ogni riferimento alla struttura “federale” dello Stato. In sostanza, ci si è limitati a “costituzionalizzare” le scelte della legge Bassanini, con un trasferimento di poteri e di risorse dal centro alla periferia, privilegiando essenzialmente il livello più vicino ai cittadini, ovvero la rete dei Comuni e delle Provincie. È il contrario di quanto si dice nel documento di Agostinelli, che sembra paventare un neo-centralismo regionale di cui francamente non c’è traccia.

Si può lavorare per una soluzione più coerentemente federalista, rafforzando il ruolo delle Regioni e soprattutto adottando la scelta di una seconda Camera che sia rappresentativa delle istituzioni locali, e che funzioni come necessario raccordo tra lo Stato centrale e il sistema delle autonomie. Su questo punto c’è una convinzione diffusa che si debba costruire una nuova proposta, più innovativa, e lo ha riconosciuto esplicitamente lo stesso presidente della Commissione Bicamerale.

C’è infine un altro terreno di innovazione, da esplorare con maggiore attenzione e con adeguati strumenti giuridici. È il campo della “sussidiarietà orizzontale”, ovvero del rapporto tra il pubblico e l’autonomia dei privati e dei soggetti sociali. Vi è infatti l’esigenza non solo di decentrare, ma anche di sburocratizzare e di correggere i limiti di una importazione statalistica, per aprire nuovi spazi di iniziativa all’autonomia della società civile. La formulazione adottata nell’art. 56 del testo approvato nella Commissione Bicamerale solleva legittime riserve, in quanto può essere intesa come un privilegiamento di principio del privato rispetto al pubblico.

Si tratta allora di precisare meglio il senso e la portata del principio di sussidiarietà, tenendo comunque aperta una prospettiva di innovazione, verso un modello sociale nei quale si realizzi una integrazione tra pubblico e privato, tra Stato e società civile.

L’apertura di questo spazio innovativo è un’apertura anche all’iniziativa e al ruolo del sindacato e di tutta la complessa rete dell’associazionismo democratico.

Sono del tutto fuori luogo, quindi, battaglie ideologiche in nome di un “primato della politica”, che si tradurrebbe solo in una restaurazione dello Stato burocratico e centralizzato.

Il sindacato, dunque, deve parlare e intervenire con forza nel dibattito costituzionale che si è aperto. Ma non può iscriversi al “fronte del no”, non può adottare una posizione agitatoria contro pericoli astratti e immaginari, né può chiudersi nella difesa di un vecchio statalismo ormai inservibile. Il sindacato può e deve essere un attore del processo di cambiamento. E quindi è vitalmente interessato ai cammino riformatore che con la Bicamerale si è aperto. In questo cammino ci stiamo, con le nostre proposte e la nostra autonomia, come un soggetto politico maturo che si misura con i nodi complessi del cambiamento istituzionale, non per rallentare questo processo, ma per renderlo più incisivo e più coerente.



Numero progressivo: C40
Busta: 3
Estremi cronologici: 1997, 8 luglio
Autore: Riccardo Terzi, Michele Magno
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CRS -
Pubblicazione: “L’Unità”, 8 luglio 1997