[IL RUOLO POLITICO DEL SINDACATO]

Scritto di Riccardo Terzi decontestualizzato

Il ruolo politico del sindacato e la sua autorevolezza come interlocutore del governo nella determinazione delle politiche economiche e sociali è un dato che si è consolidato nella storia italiana, e che viene ora considerato da più parti come una anomalia da rimuovere come un residuo di consociativismo da prima repubblica che dovrebbe essere finalmente sacrificato sull’altare del “primato della politica”.

Nell’epoca della democrazia referendaria, legittimata direttamente dai cittadini, non c’è spazio per la mediazione degli interessi sociali, perché la politica prende la forma del sondaggio d’opinione, il quale per definizione esclude l’esistenza di soggetti collettivi.

 

Al coro tradizionale delle destre si è ultimamente associato anche il partito di Rifondazione Comunista che pretende di assumere direttamente un ruolo di rappresentanza sociale e punta alla delegittimazione del sindacalismo confederale, fino al punto da denunciare, con toni thatcheriani, l’invadenza e lo strapotere dei sindacati. Penso che nei prossimi mesi si giocherà, su questo terreno, una partita assai aspra. La posta in gioco e il rapporto tra politica e forze sociali, è quindi un aspetto essenziale del nostro sistema democratico. La politica si apre al riconoscimento dell’autonomia della società civile, oppure si rinchiude in se stessa e si organizza come un’oligarchia autoritaria?

 

Il pericolo non viene solo da destra, ma è insito nelle varie forme di populismo, oggi così diffuse in Italia, le quali hanno in comune il misconoscimento della società intermedia e la riduzione della politica al rapporto plebiscitario tra i cittadini e il leader carismatico. Per il populismo, di destra o di sinistra che esso sia, il tessuto delle rappresentanze sociali è solo un intralcio.

 

In questo contesto, va segnalato il recente lavoro di Mimmo Carrieri, Seconda Repubblica senza sindacati?, edizioni Ediesse, nel quale si esplorano le possibili tendenze evolutive della politica di concertazione e degli strumenti di partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale, Carrieri si colloca agli antipodi rispetto a tutte le varie suggestioni populiste o plebiscitarie, e rivendica con forza il ruolo politico del sindacato.

 

Non inganni il titolo, di stampo giornalistico-provocatorio, del libro. Seconda Repubblica senza sindacati? Per Carrieri è un pericolo da scongiurare. Ma, nel contempo, un pericolo reale con cui fare i conti, e sotto questo profilo l’azione attuale dei gruppi dirigenti del sindacato non sembra essere abbastanza avvertita e consapevole, nell’illusione che sia sufficiente la forza fin qui acquisita.

 

Dunque se i sindacati intendono rimanere stabilmente e con un ruolo certo nell’arena politica, non possono aggrapparsi alla consuetudine o ai rapporti di forza: tanto la prima che i secondi possono diventare meno favorevoli. Nel momento in cui si e aperta una battaglia di ordine politico che riguarda il ruolo delle organizzazioni sindacali nella società italiana, questa battaglia va apertamente affrontata, il che richiede necessariamente scelte nette e innovative, per riposizionare efficacemente il sindacato nel nuovo contesto istituzionale che si viene delineando. Il pericolo è il prevalere della forza di inerzia della stanca ripetizione del sindacalismo contrattualista e rivendicativo fin qui conosciuto, senza avvertire il rischio di un processo strisciante di svuotamento del mestiere tradizionale del sindacato.

 

Fin qui io condivido in toto i giudizi di Carrieri, e anche il suo allarme per i pericoli di declino e per l’insidia di una offensiva antisindacale che si sta dispiegando, in diverse direzioni. L’unità sindacale può essere una risposta, non risolutiva ma capace di rimettere in moto tutta la situazione. Una condizione non sufficiente, ma necessaria. Ma occorre che il progetto unitario venga costruito non in termini burocratici come un patto tra i vertici sindacali, ma come un processo di attivazione di valorizzazione del tessuto unitario che in questi anni si e costruito nei luoghi di lavoro con l’elezione delle nuove RSU. La grande potenzialità innovativa delle RSU non è stata colta, e non si è costruito un rapporto organico e vitale tra sindacato e rappresentanze aziendali, per cui sopravvivono logiche e comportamenti burocratici, il cui effetto è quello di avvitare la crisi del sindacato in una spirale senza sbocco.

 

La costruzione del sindacato unitario è anche il mezzo per consolidare il ruolo del sindacalismo confederale nel processo politico della concertazione, in quanto si rafforzano contestualmente sia i requisiti di rappresentatività sociale sia le condizioni di autonomia. La concertazione è il punto necessario di congiunzione tra rappresentanza politica e rappresentanza sociale. L’alternativa è la politica come sfera separata e autoreferenziale riservata ad un ceto professionale, di tecnocrati e di avventurieri, e parallelamente l’azione sociale come fatto meramente corporativo, e quindi irresponsabile.

 

Ma la concertazione può essere, come propone Carrieri, un principio costituzionale? La concertazione è una politica, che può essere adottata o rifiutata sulla base di libere scelte di comportamento dei diversi attori sociali e politici. Sarebbe già un fatto importante se le organizzazioni sindacali rendessero del tutto esplicita una scelta netta in questa direzione, eliminando incertezze e ambiguità tuttora esistenti. E nello scontro politico tra destra e sinistra, in Italia come nel resto dell’Europa, uno dei punti discriminanti è appunto la scelta di governare con il consenso sociale o prescindendo da esso.

 

Ma non mi pare che si possa “costituzionalizzare” la concertazione, proprio perché essa è una delle ipotesi politiche in campo, ma non l’unica possibile e non l’unica legittima.

 

La battaglia per la concertazione, come grande scelta strategica per la sinistra e per il movimento sindacale, va condotta sul terreno politico, senza pretendere forzature costituzionali. La Costituzione ha già in sé elementi sufficienti di apertura al riconoscimento del ruolo delle forze sociali e all’esigenza di una organizzazione della vita economica nella quale possano concorrere i lavoratori e le loro rappresentanze. Occorre salvaguardare questa “vocazione sociale” della Costituzione, e su questa base costruire una politica che sviluppi concretamente tutte queste potenzialità innovative.

 

Comunque, la direzione di marcia che il libro di Carrieri indica è quella giusta, al di là di questi aspetti di carattere costituzionale. È una strada intricata, non solo per le ostilità e le resistenze di carattere politico, ma anche per il peso delle spinte corporative o movimentiste dentro il sindacato.

Aprire una battaglia chiara su questo fronte, nel sindacato e nel dibattito politico, sarebbe già un elemento di novità, e di chiarezza, sul quale costruire un possibile futuro.


Numero progressivo: B3
Busta: 2
Estremi cronologici: [2000]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -