IL PD E IL RINNOVAMENTO DELLA POLITICA
Con due interventi di Riccardo Terzi
PER UNA RIDEMOCRATIZZAZIONE DEI PROCESSI DECISIONALI
Il depotenziamento della democrazia è un problema generale, più evidente in Italia. Il significato democratico ha senso se prendiamo atto di un nodo critico molto forte. A questo svuotamento della politica, la politica ha cercato di rispondere in questi anni con un tentativo di centralizzazione del potere, con le ricette del decisionismo, per reggere l’urto dei poteri che stanno fuori dal circuito democratico (i poteri economici e finanziari). Da qui il culto del leader e l’importanza della velocità delle decisioni.
È un discorso che riguarda tutta la politica italiana, non solo Berlusconi. Un sistema personalizzato rispetto al vecchio sistema della rappresentanza. Come rispondere? Sono d’accordo con Bassetti che non riusciamo a fare il grande partito classico, di riattivare il primato della politica. Dobbiamo pensare a una democrazia articolata, poliarchica, a un sistema di forti autonomie, autonomie territoriali, sociali. Non si può pensare di riassumere in sé tutta la società, ma di essere un punto di riferimento, che promuova la partecipazione.
Il tema del rapporto con le rappresentanze sindacali non sta nel recupero del collateralismo, ma di riconoscere l’autonomia dei soggetti sindacali. Tuttavia occorre stabilire un rapporto, una comunicazione.
Occorre riconoscere l’orizzontalità delle rappresentanze sociali e territoriali. La mia idea quindi del partito democratico è l’idea di un partito della democratizzazione, della partecipazione, in controtendenza con quello che sta accadendo nella vita politica italiana.
Si è tentato di dire che la democrazia italiana era bloccata da un potere di veto delle rappresentanze. Il rapporto tra potere e decisione e forza di rappresentanza va calibrato. Se la decisione è autoritaria, autoreferenziale, svuota di significato la rappresentanza. Un partito politico deve rianimare la rappresentanza.
Sono venute meno alcune forme della struttura sociale, delle forti identità di classe che hanno animato il Novecento: questo deve farci capire meglio come si è concretizzata la realtà sociale, quali sono le nuove linee del conflitti, i nuovi punti dove vengono esercitate nuove forme di dominio, di oppressione, dove si determinano delle aree di sofferenza, di esclusione, e come dare voce a queste realtà. Potremmo dire, come “organizzare i non organizzati” e oggi, se guardiamo la realtà, i più sono non organizzati. Anche il sindacato oggi fa fatica a rappresentare cose nuove come il lavoro precario e parcellizzato.
Quindi bisogna tentare di rappresentare le nuove domande sociali. Il sistema delle primarie è un modello possibile, un momento delle decisioni fondamentali in cui si può allargare anche a chi non ha un legame identitario forte. Abbiamo bisogno di un partito che sia davvero nuovo, nel suo modo di essere, nelle sue procedure, per una partecipazione allargata.
Non sono d’accordo di abbandonare la parola Partito, perché il partito rappresenta una parte, una forza organizzata di persone che sanno perché stanno insieme, mi piace meno il partito ideologico, di primato della politica, ma più aperto, più articolato nel processo democratico.
L’UNIONE DI DUE TRADIZIONI COME ANTIDOTO AD OGNI INTEGRALISMO
Perché la laicità torna ad essere un problema? La sua pacifica condivisione poteva sembrare fino a poco tempo fa un risultato acquisito, mentre oggi torna ad essere una questione controversa che ha bisogno di essere ridefinita.
Io credo che la causa di ciò risieda innanzitutto in una evoluzione del sistema politico, ancor più in una certa debolezza della politica, in un bipolarismo un po’ sgangherato come quello che abbiamo oggi e con due schieramenti di peso analogo. La ragione intima della remissività della politica di fronte alle pressioni che provengono dalle autorità religiose è che in questo momento il voto cattolico in Italia non è stabilmente orientato verso una delle due coalizioni.
Da ciò ha origine una costante, inesausta caccia al voto cattolico. Questa si manifesta in modo più smaccato e strumentale nella destra -citava Balboni, a riguardo, il fenomeno dei cosiddetti atei devoti – dando seguito all’idea di poter usare la religione come strumento di potere, ovvero di stabilire un patto di potere forte tra la Chiesa e lo schieramento conservatore, in modo da assicurare stabilmente al fronte di destra la grande maggioranza del voto cattolico. Nelle pieghe stesse della politica, dunque, si sta manifestando una sua intrinseca fragilità. Sembra che essa abbia smarrito quel senso forte della laicità dello Stato che era saldamente presente in tutto lo schieramento politico della Prima Repubblica, anche in un partito come la Dc. In questi varchi lasciati dalla politica si inserisce l’iniziativa della Chiesa, la quale cerca di sfruttare questa situazione.
Vi sono poi delle dinamiche interne alla Chiesa e al mondo cattolico. La gerarchia ecclesiale sente oggi di poter recuperare terreno nelle società dell’Occidente, in particolare in quelle europee, dove da tempo avverte il pericolo derivante da un processo di secolarizzazione, che rende sempre più marginale il fenomeno della religiosità. Il nuovo pontificato, in una certa continuità con quello precedente, considera proprio il campo d’azione decisivo per la Chiesa cattolica, per riconquistare un primato culturale nella società.
Ora, tutto questo cosa c’entra con col Partito Democratico? Questo partito nasce dall’incontro di due diverse tradizioni e si pone naturalmente come un elemento forte di garanzia sul terreno della laicità, in quanto, comprendendo al proprio interno sia persone che hanno una fede religiosa, sia persone che non ce l’hanno, riuscirà a evitare o a disinnescare presto qualsiasi contrapposizione tra esse. Un partito che mette insieme la tradizione cattolico-democratica e quella socialista, si pone come obiettivo quello di ricomprenderle, riunirle su uno stesso terreno politico. Un cattolico integralista sceglierà di non entrare in un partito con queste caratteristiche, preferendo piuttosto contribuire alla creazione di un partito portatore di una visione della società altrettanto integralista. Il percorso che stiamo compiendo di progressivo incontro tra una parte cattolica e una laica della nostra società è la prova che non sempre vince l’integralismo, non necessariamente prevale l’esclusivismo delle proprie tradizioni, ma si considera possibile scegliere un terreno comune sul fronte della politica.
Occorre, però, dedicare una maggiore attenzione a questo tema della laicità, tentando di definirne i contorni in modo più approfondito. Io credo che oggi non funzioni più una vecchia idea di stampo liberale che si basava sostanzialmente sulla separazione tra la sfera politica e quella religiosa. Una separazione, dunque, tra Stato e Chiesa. Questa idea non funziona più perché la linea che divide il campo del pubblico e del privato non è più così semplice da tratteggiare. Che cosa è pubblico? Che cosa riguarda tutti e che cosa invece soltanto la sfera individuale? I temi etici e quelli morali entrano, infatti, nel dibattito pubblico. Né si può pensare di concepire quello religioso come un fenomeno che riguarda soltanto la coscienza individuale, come un fatto interiore che non trova poi una manifestazione pubblica.
Se i temi dell’etica entrano nel dibattito pubblico, la laicità non è sinonimo di indifferenza etica, non è l’idea che questi temi riguardino soltanto la coscienza individuale, ma è la costruzione di uno spazio pubblico al quale ciascuno partecipa con le proprie convinzioni, le proprie idee e la propria cultura. Uno spazio pubblico che costruisce o individua, attraverso il confronto, delle sintesi, delle mediazioni, delle soluzioni condivise. Entrare nello spazio pubblico vuol dire accettare certe regole della vita democratica. Tutti i ragionamenti che Balboni fa a proposito della scuola e della sanità vanno in questa direzione. Se entro nello spazio pubblico, non posso pretendere che ci sia un’autorità che si impone al di là di quello che è il processo democratico dell’influenza e del convincimento collettivo. La laicità, quindi, si oppone alle varie forme di fondamentalismo, di integralismo. In un contesto laico a nessuno viene chiesto se sia religioso o meno, ma si richiede invece di stare dentro a questo spazio pubblico accettando la logica del confronto. Si pretende dunque che gli argomenti che vengono portati in quello spazio pubblico siano argomenti che possano valere per tutti, di carattere universale, che parlino alla coscienza umana in generale. Mentre per contro le singole fedi religiose possiedono inevitabilmente un carattere di parzialità e nessuna autorità può pretendere di imporle all’insieme della comunità politica.
La sfida che ci si pone di fronte oggi è quella di ricreare le condizioni per un dialogo costruttivo tra laici e credenti, scongiurando il ritorno ad una sorta di guerra di religione. La questione è molto complicata per la nostra società, per via del fatto che sempre più essa ha tratti multiculturali, multietnici, multi-religiosi. Non vi è più solo il problema del rapporto tra Stato italiano e Chiesa cattolica, ma soprattutto quello delle diverse forme di religiosità all’interno del contesto in cui viviamo. Occorre dunque ricreare le condizioni del dialogo, cercando di osservare con più attenzione i processi che avvengono dentro il mondo cattolico. Io avverto oggi un’offensiva politico-ideologica con cui la Chiesa cerca di conquistarsi un primato nella società italiana. Si è compiuto un allontanamento dallo spirito del Concilio, c’è stata una decisa virata rispetto all’idea di una Chiesa che si confronta in modo paritario con le altre culture che sono presenti nella civiltà contemporanea, che sta nel mondo come una parte vivificatrice, una forza morale attiva senza pretendere di imporre il proprio dominio.
Il clima oggi è cambiato e io sento che a certe spinte radicali fondamentaliste, presenti in alcuni settori della Chiesa, occorre saper reagire in modo tale da scongiurare una radicalizzazione del confronto. Quando arriviamo a osservare il fatto che un tema che fino a poco tempo fa poteva essere considerato pacifico come quello della famiglia si giunga ad affrontarlo con opposte mobilitazioni di piazza, si può dire che qualcosa di inquietante sta avvenendo nel corpo della società italiana.
Naturalmente va fatta un’analisi più attenta delle posizioni che vengono espresse dentro la Chiesa. Vi è infatti una ricca articolazione di posizioni, visti i molti pronunciamenti di un certo peso e rilievo in polemica più o meno esplicita con alcune scelte dell’episcopato. E nello stesso tempo fenomeno della grande manifestazione di piazza San Giovanni, io credo che non vi sia stato soltanto il motivo occasionale della mobilitazione contro la legge sulle convivenze, al fine di esercitare una forte pressione sul Governo e il Parlamento. In quell’iniziativa si è insinuata agevolmente una strumentalizzazione politica da parte della destra.
Ma c’è, a mio avviso, anche dell’altro. Se il mondo cattolico sente la necessità di riprendere l’iniziativa, di condurre più manifestamente una battaglia culturale dentro la società moderna e se mostra di avere una volontà di protagonismo, questo in sé non è un fatto negativo. Una volontà di partecipazione attiva del mondo cattolico può essere una risorsa se si riesce a incanalarla dentro una visione laica della politica e dello Stato, e se dunque non prende la strada di una chiusura integralistica in nome di un’autorità discutibile, di un primato che vuole imporre a tutti. La politica è sempre il momento della mediazione, nella quale punti di vista diversi trovano un luogo di convergenza, anche di compromesso. Se vi è un rifiuto a priori della mediazione, quando tutti i temi diventano non negoziabili, non resta altro spazio che per una contrapposizione pericolosa.
Molto dipende da come vorrà e sarà in grado di rispondere la politica. L’esito non è tutto nelle mani della Chiesa, ma anche nelle mani di una politica responsabile che sappia ritrovare il proprio ruolo. Quello a cui pensiamo è un partito che nasce laicamente dal confronto e dalla convergenza di persone che io non chiamo credenti o non credenti, ma diversamente credenti, che hanno diversi punti di vista, diverse convinzioni. La nascita del Partito Democratico può essere un fattore importante per creare un diverso clima politico nel Paese.
Io credo che il punto di incontro tra quelle che oggi appaiono due fazioni nettamente contrapposte stia all’interno di un lavoro che è già stato compiuto, ed è quello che ha portato alla scrittura della Carta costituzionale. In quella Carta c’è l’idea del primato della persona, della difesa della sua dignità. La cultura cattolico-democratica ha dato un’impronta forte a questo testo, dal momento che l’idea della centralità della persona proviene soprattutto da quel filone culturale. Riconoscere che i diritti della persona – il valore della persona – vengono prima dello Stato e della legge, vuol dire perseguire l’idea di uno Stato che non pretende di regolare tutto. Ritornare al primato della persona vuol dire riconoscere la sua autonomia e insieme la sua responsabilità sociale. La Costituzione, infatti, parla della persona non in senso individualistico, ma come soggetto che si realizza socialmente all’interno di una determinata comunità sociale.
Lo Stato sostiene la persona nel suo libero cammino di vita, la mette in grado di scegliere liberamente ma la aiuta a farlo in modo consapevole.
Spesso la libertà di scelta non c’è, perché non ci sono le condizioni minime, anche materiali, per poterla esercitare. Su molti temi lo Stato può incentivare o disincentivare determinati comportamenti. Però deve tenere conto della realtà, del tessuto reale della società, lasciando ai singoli individui comunque la possibilità di fare le proprie scelte, giuste o sbagliate che siano, senza mai pensare che si possa imporre per legge una sorta di morale di Stato.
Il punto di convergenza più significativo tra la tradizione laica e quella cattolica credo stia proprio in questa idea della persona inserita nelle proprie relazioni sociali, cioè in una visione non individualistica della persona. Ed è questa, a ben guardare, la principale differenza con certe posizioni di laicismo radicale. È sintomatico, da questo punto di vista, l’orientamento del Partito Radicale, il quale sostiene un’idea molto individualistica delle libertà e l’accettazione totale di un’economia di mercato senza regole, senza solidarietà.
Questo non può essere il nostro terreno. Credo che l’incontro tra la cultura socialista e la tradizione cattolico-democratica possa dare luogo a un’idea di socialità e quindi di libertà responsabile della persona dentro il contesto sociale in cui agisce. Dobbiamo considerare questa idea come un punto forte di incontro, non un fragile compromesso che viene messo in crisi di fronte al primo ostacolo.
Se noi affrontiamo i veri temi controversi traendo forza dalla nostra comune radice costituzionale da questa idea comune della persona e del suo rapporto con la società, saremo in grado di trovare di volta in volta delle soluzioni forti, convincenti e condivise. In questo senso credo che il Partito Democratico possa dare un contributo importante per l’approdo di tutti a un clima nuovo, migliore e per evitare che radicalismi e integralismi contrapposti portino questo Paese allo sfascio.
Busta: 8
Estremi cronologici: [2002]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Note: Articolo molto simile in "Gli argomeni umani" con titolo "Il primato di Antigone"
Pubblicazione: “Marcona101”, s.d.