IL MALE OSCURO DELLE LEADERSHIP PERSONALIZZATE
La politica al servizio dei leader? Il problema riguarda anche i DS e l’Ulivo. L’alternativa sta nel principio di rappresentanza
di Riccardo Terzi
C’è una questione pregiudiziale e prioritaria: la democratizzazione della vita politica. Il processo che si è via via dispiegato nel corso di questi ultimi anni conduce ad uno svuotamento delle istituzioni democratiche, non solo in via di fatto, ma anche in via di principio, con la teorizzazione dell’inadeguatezza delle procedure democratiche ad assumere decisioni efficaci e con la rinascente mitologia reazionaria del “capo” che decide in solitudine, che si assume la responsabilità esclusiva della decisione, mettendo in gioco se stesso. Il campo della politica viene così strutturato dalla “volontà di potenza” e la democrazia è solo un intralcio, un vecchio arnese ormai inutilizzabile, che ritarda e complica il processo decisionale.
C’è un vero e proprio rovesciamento: non è il leader al servizio della politica, ma la politica al servizio del leader. È un cambiamento di prospettiva che muta i fondamenti costitutivi della vita politica. Che cosa sono oggi i partiti politici, anche a sinistra? Sono solo, in modo più o meno efficiente, una struttura tecnica di supporto ad un progetto di leadership personalizzata: azzeramento della vita democratica interna, decisioni solo “dall’alto”, nessun processo collettivo.
L’ultima conferma si è avuta con la scelta del candidato premier del centrosinistra per le prossime elezioni politiche. Chi ha deciso? Non c’è stata nessuna procedura democratica, né di partito né di coalizione. Anzi, è stato esplicitamente teorizzato, in un’intervista di Veltroni, che gli organismi dirigenti del partito avrebbero potuto creare difficoltà ed ostacoli, che dunque la sospensione delle regole democratiche è una condizione necessaria per prendere le decisioni giuste e per vincere.
Si assume così, esplicitamente, una curvatura autoritaria e leaderistica che rifiuta, in via di principio, le ragioni fondanti del pensiero democratico. La democrazia si basa sul convincimento che è meglio decidere in molti che in pochi, che la decisione giusta non può essere affidata agli “esperti”, o al sovrano illuminato, ma solo alla valutazione collettiva di tutti quelli che sono interessati dalle decisioni politiche che riguardano la vita della comunità. Sembrava essere questa un’acquisizione di cultura politica ormai consolidata. Ma ora, con impudenza, si rovescia il principio democratico: la decisione giusta non è dei molti, ma solo degli eletti. C’è forse, in questo arretramento della democrazia, una qualche giustificazione oggettiva?
Il classico argomento del pensiero conservatore denuncia i tempi lunghi della democrazia, mentre la decisione politica ha bisogno di rapidità. Ma è questo un argomento sempre meno pertinente, perché i moderni mezzi di comunicazione consentono oggi di esercitare il metodo democratico con una rapida ed efficace strumentazione. Che cosa impedisce ad un partito politico di organizzare referendum tra gli iscritti, rapide campagne di consultazione, così da decidere sulla base di un consenso verificato? Se poi guardiamo a come effettivamente si svolge la vita politica, è difficile vedervi una grande rapidità di scelta e di decisione, perché nella maggioranza dei casi i problemi si trascinano nel tempo e si impantanano. La decisione democratica può essere, quindi, non una decisione più lenta, ma al contrario più rapida.
Non ci sono difficoltà tecniche, non c’è nessuna incompatibilità tra democrazia e decisione, ma c’è solo una difficoltà politica perché è la struttura oligarchica del potere che non sopporta di essere messa in discussione e di sottoporsi alla verifica democratica. Il conflitto tra base e vertice, che è un elemento permanente e fisiologico del sistema politico, assume ora tratti patologici. Un modello aristocratico può funzionare fino a quando agisce un meccanismo profondo di identificazione e di fede, e così è stato storicamente per una lunga fase della nostra vicenda nazionale. Ma ora quel meccanismo si è lacerato e il potere arbitrario appare senza infingimenti, per quello che è, come la prepotenza di un gruppo di potere che vuole decidere da solo.
In un sistema autoritario, non fondato sul consenso, si manifestano due caratteristiche tipologie di comportamento: la rassegnazione o la rivolta. Sono due esiti entrambi negativi e distruttivi, e oggi la condizione della sinistra è in bilico tra questi due esiti. C’è adesione passiva, ma c’è anche un accumulo di tensione e di frustrazione che può prima o poi esplodere. Se permane questa condizione di una aristocrazia non legittimata, di un processo politico che cala solo dall’alto senza mai incrociarsi con i movimenti reali della società, possiamo giungere rapidamente ad un punto di rottura e di implosione.
La questione democratica, quindi, non è un aspetto formale, procedurale, ma riguarda il destino della sinistra, perché solo riattivando le risorse democratiche si può costruire consenso attivo, si può avviare un processo sociale che ridefinisca e sposti in avanti i rapporti di forza nella società. Si può avere, in breve, iniziativa politica.
Nella fase congressuale, in preparazione del congresso dei Ds di Torino, queste risorse democratiche erano state in parte risvegliate, e abbiamo avuto una fase positiva di riattivazione dell’impegno politico. Ma poi questo risultato è stato rapidamente disperso, perché sono tornate ad imperare le vecchie pratiche, e nulla si è fatto per valorizzare il pluralismo interno, chiudendo gli spazi della discussione politica, non attivando nessuno strumento democratico di verifica neppure dopo il fallimentare esito delle elezioni regionali. Il congresso è come se non ci fosse stato. Siamo tornati in un clima di apatia, di scetticismo, di protesta sotterranea, di manovre non limpide. Se non c’è vita democratica trasparente, queste sono le logiche ed ineluttabili conseguenze.
Il difetto non è nella base che non capisce o ha perso passione politica, ma è nel vertice che non sa guidare un processo democratico, ma sa solo compiere atti di imperio, tra l’altro spesso incoerenti e contraddittori tra di loro, come -è il caso più clamoroso -il brusco passaggio dall’ultra-maggioritario referendario al modello istituzionale tedesco. Un partito politico, come corpo sociale organizzato, non può essere una massa di manovra disponibile per qualsiasi svolta, per qualsiasi tattica spregiudicata.
C’è inoltre un rilevantissimo problema irrisolto: il rapporto tra partito e coalizione. In un sistema bipolare imperniato sulle coalizioni, c’è un necessario spostamento di sovranità dal partito alla coalizione, per decidere il programma comune di governo, le candidature, la struttura della leadership. Ma questo passaggio avviene in un quadro di totale indeterminatezza e di totale arbitrio, perché la coalizione non ha nessuna struttura democratica e nessuna regola. La decisione è affidata alla contrattazione privata tra i segretari di partito, senza nessuna trasparenza e senza nessun mandato democratico. Il risultato è che infine si organizza una finta “convention”, che è solo un evento spettacolare, una messinscena per chi ha ancora voglia di applaudire qualunque musica ci venga propinata. In queste condizioni di arbitrio, è facile immaginare che cosa accadrà nella scelta dei candidati per le elezioni politiche: il mercanteggiamento, i ricatti, le decisioni imposte dall’alto, offrendo così un’ulteriore contributo alla fuga dalla politica e all’astensionismo.
È dunque urgente strutturare la coalizione, dotandola di propri organismi rappresentativi e democratici, titolari delle decisioni, da assumere a maggioranza, senza veti e senza ricatti. Il passaggio di sovranità alla coalizione ha un senso se è un passaggio democratico, se c’è un organismo che assume legittimamente la titolarità di questo potere decisionale. Oggi non c’è nessuna garanzia democratica, e tutta l’enfasi retorica sull’Ulivo non ha dato luogo a nessun sistema di regole. È legittimo il dubbio che si voglia mantenere questa condizione di indefinitezza, perché ciò consente di avere le mani libere e di non sottoporre a nessuno le proprie decisioni.
La democrazia politica è sotto il fuoco di una pesante offensiva. Questo oggi è il dato generale, e la sinistra non ha saputo distinguersi, contrastare questa tendenza, offrire un proprio progetto di espansione democratica, ma al contrario ha largamente introiettato nella sua cultura politica il virus antidemocratico. In tutta la discussione sulle riforme istituzionali non abbiamo saputo elaborare una nostra autonoma posizione, ma abbiamo avuto una posizione ondeggiante e spesso subalterna, una linea confusa, non percepibile nei suoi valori e nei suoi principi di fondo. È in questo contesto che si alimenta la spoliticizzazione della società, l’astensionismo di massa, non come conseguenza di una società priva di motivazioni, ma di una politica che non sa più rappresentare e intercettare queste motivazioni. Allora, per reimpostare una strategia istituzionale che non sia subalterna a questi processi, il necessario punto di partenza è la rappresentanza. La democrazia, infatti, è rappresentazione del pluralismo della società, nei suoi diversi aspetti: culture politiche, interessi sociali, identità territoriali. All’inverso, la “Seconda repubblica” è stata concepita come un processo di spiazzamento della rappresentanza, inseguendo il mito plebiscitario di un diretto rapporto di fiducia tra cittadini e leader, contro i partiti, contro i corpi sociali organizzati, contro la rete delle istituzioni rappresentative. Più potere ai cittadini: uno slogan demagogico che ha significato nei fatti più potere ad una oligarchia politica incontrollata. La struttura del potere è sicuramente oggi più elitaria, più esclusiva, meno permeabile, separata dalla società.
La ricostruzione della rappresentanza si articola in tre grandi campi di intervento. In primo luogo, occorre rappresentare le identità politiche ed il loro pluralismo. Nel nome del bipolarismo e della democrazia maggioritaria si è invece seguita la via di una forzatura istituzionale, per imporre una semplificazione del sistema politico, senza capire che il bipolarismo può essere vitale solo se è il risultato di un processo politico reale, di una maturazione, se riesce cioè a produrre un nuovo livello di identità. Per questo occorre trovare il giusto equilibrio tra partiti e coalizione, e in questo senso occorre una legge elettorale che risponda insieme alle due esigenze: rappresentare le diverse identità politiche ed incentivare i meccanismi di coalizione. La soluzione più convincente è un sistema proporzionale con premio di maggioranza.
Una politica istituzionale che sia fondata sulle ragioni della rappresentanza ha come suo necessario corrispettivo un partito politico che sia fondato sulle medesime ragioni. Rappresentanza politica, sociale e territoriale sono anche per il partito politico le linee-guida per la sua riorganizzazione e il suo rilancio. Riconoscere il pluralismo politico interno, e quindi garantire il funzionamento democratico essenziale perché questo pluralismo si possa esprimere e possa produrre il confronto delle opinioni e delle proposte; costruire un sistema strutturato di relazioni con gli interessi sociali che vogliamo rappresentare, a partire dalla centralità politica del lavoro; garantire e sviluppare le autonomie territoriali, l’autogoverno e la responsabilità dei gruppi dirigenti locali: ciò significa costruire un modello di partito che non sia affidato alle virtù carismatiche del suo gruppo dirigente centrale, che non funzioni secondo una logica decisionistica e gerarchica, ma che sia capace di confrontarsi sistematicamente, e secondo le fondamentali regole democratiche, con tutta la complessità del corpo sociale che intende rappresentare.
La battaglia per la democrazia politica comincia dall’interno del partito. Gli scenari della politica non cambieranno se non c’è, prioritariamente, un nuovo quadro di regole democratiche, un nuovo impulso di partecipazione nella vita dei partiti.
Busta: 8
Estremi cronologici: 2000, ottobre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “Aprile”, ottobre 2000, pp. 11-12