[IL GOVERNO MONTI]

Scritto di Riccardo Terzi sul governo Monti, destinato a Josè Luis Bulla per la pubblicazione sul suo Blog (http://lopezbulla.blogspot.com)

Non si può valutare correttamente il significato del nuovo governo italiano, presieduto da Mario Monti, se non si getta uno sguardo su tutta la storia politica precedente, sulla lunga stagione, durata quasi vent’anni, del berlusconismo trionfante e dilagante. Berlusconi ha sicuramente un posto di rilievo nella storia italiana, se non altro per la sua lunga permanenza al potere, più di qualsiasi altro leader repubblicano. Ma soprattutto egli ha rappresentato un rivolgimento profondo, nello stile di governo, nella cultura politica, nella comunicazione, nel linguaggio, dando vita ad un fenomeno del tutto nuovo, che si usa definire, con una formula un po’ generica e ambigua, come populismo.

L’Italia è sempre stata un paese caratterizzato da una debole coesione nazionale e da uno scarso senso civico, con il prevalere degli egoismi individuali, corporativi, o municipali, rispetto all’interesse collettivo della nazione. Basti rileggere il famoso discorso di Giacomo Leopardi sui costumi degli italiani, dove questa originaria fragilità dello spirito pubblico è analizzata con grande crudezza. Nulla di nuovo, dunque? No, la grande novità è nel fatto che, nell’epoca berlusconiana, la politica ha lavorato non per superare i particolarismi, ma per esasperarli.

Il populismo, se così dobbiamo definirlo, è esattamente questo: assecondare tutti gli istinti più gretti e primitivi, e su questo costruire un potente blocco conservatore, che impedisce ogni cambiamento, ogni sviluppo democratico. La stessa democrazia è messa in crisi, perché ciò che conta è solo la forza degli interessi costituiti. Mentre nel passato tutti i grandi partiti di massa svolgevano una funzione equilibratrice ed educativa, tenendo sotto controllo i fattori di divisione e di disgregazione, con l’avvento della nuova destra populista è accaduto il contrario, e la politica ha agito come il più potente fattore di divisione: il Nord contro il Sud, i cittadini italiani contro gli immigrati, e più in generale la difesa ad oltranza dei propri interessi di parte contro la legalità. Ricordiamoci quanto sia estesa l’area dell’illegalità, dalle organizzazioni criminali ai fenomeni diffusi di evasione fiscale e di lavoro sommerso. Il successo politico di Berlusconi ha qui la sua chiave interpretativa. La sua stessa figura è quella di una persona impegnata in una lotta permanente con la legalità, con le regole, alla ricerca di una posizione di potere che non deve rendere conto a nessuno. Il mito di Berlusconi si è nutrito di questo sottofondo di antipolitica, di diffidenza per lo Stato e per la legge, di individualismo sfrenato.

Secondo la famosa formula di Margaret Thatcher, non esiste la società, ma esistono solo gli individui, e essi sono tra loro in un rapporto di totale competizione. Berlusconi è l’immagine del vincente, e anche le sue sfrenatezze morali sono funzionali a questa immagine, perché danno il senso del potere, del successo, dell’individuo che ha forza di stare al di sopra delle leggi.

Ora, è tutta questa costruzione politico-ideologica che è entrata finalmente in crisi. Sono diversi i fattori che hanno determinato questo sfaldamento del vecchio blocco di potere. Da un lato, c’è una reazione di carattere etico-morale, il rifiuto di un modello di vita e di uno stile di governo, dove tutto è giocato sulle convenienze private e su una rete diffusa di complicità. Nel mondo cattolico, in particolare, queste ragioni etiche hanno via via raffreddato i rapporti con la maggioranza di governo, perché appariva sempre più stridente e insostenibile il divario tra etica e politica, tra i valori tradizionali e la spregiudicatezza estrema nell’uso del potere. La Chiesa cattolica ha seguito una linea di grande cautela, e ha cercato fino all’ultimo di trovare un modus vivendi con i governi di centro destra, per consolidare tutto un sistema di reciproche convenienze. Ma a un certo punto l’equilibrio si è rotto, e anche la Chiesa ha dovuto prendere le distanze, e ha di fatto lavorato per una diversa soluzione politica, incoraggiando i cattolici ad un più diretto impegno nella vita pubblica, e alcuni autorevoli rappresentanti del mondo cattolico sono oggi presenti nella nuova compagine governativa.

Non è, sia chiaro, una svolta a sinistra della Chiesa, ma c’è un lavorio complesso per un nuovo equilibrio, per una nuova centralità dei cattolici come garanti di una politica di stabilità e di conservazione, in un quadro di maggior rigore e sobrietà.

Ma sono soprattutto le ragioni di ordine economico e sociale che hanno mutato tutto il quadro, perché di fronte alla durezza e alla drammaticità della crisi i governi di centro-destra non hanno saputo imboccare nessuna strada efficace, e hanno portato l’Italia in una condizione di estrema incertezza e precarietà, esposta senza difese alla violenta offensiva della speculazione internazionale. È il blocco sociale che è entrato in crisi, sul lato del lavoro, dove non ha retto il rapporto privilegiato con Cisl e Uil, e sul lato dell’impresa, dove è cresciuta una posizione di progressiva insofferenza di tutte le associazioni imprenditoriali nei confronti dell’inerzia e dell’inefficienza del governo. A questo punto sono mancati a Berlusconi tutti i suoi tradizionali punti di appoggio, e si reggeva alla fine solo grazie alla compravendita di qualche parlamentare, il che però non faceva che accentuare il suo discredito, con una caduta precipitosa di tutti gli indici di popolarità. Per un governo che si reggeva solo sull’immagine e sul prestigio personale del leader, non ci poteva essere fine più ingloriosa, perché esso finisce per cadere proprio per il crollo della sua immagine e della sua popolarità.

È in questo vuoto che si inserisce l’iniziativa del Capo dello Stato, per un governo di tregua e di larghe convergenze, presieduto da Mario Monti, figura autorevole sulla scena internazionale, per le sue competenze scientifiche e per il ruolo svolto come commissario nella Commissione europea. È una conclusione logica, e in qualche modo obbligata. In una condizione economica meno drammatica, la soluzione più naturale sarebbe stato il ricorso a nuove elezioni politiche, ma questa strada era resa obbiettivamente difficile e poco percorribile, data la necessità di prendere subito i provvedimenti indispensabili per far fronte alla crisi. E nessuna delle maggiori forze politiche si è presa la responsabilità di sottrarsi alla fortissima pressione esercitata dal Presidente della Repubblica, per dare vita ad un governo di emergenza.

Come giudicare questo sbocco? Per un verso, è la conclusione di un ciclo, la fine del berlusconismo, e in questo senso si tratta indubbiamente di un fatto estremamente positivo, perché avevamo accumulato nel recente passato un insieme pericolosissimo di tossine ideologiche che avevano ridotto la società italiana in una condizione di estremo degrado e ne avevano profondamente lacerato il tessuto connettivo. Mi pare di avvertire che l’opinione pubblica, ormai in larga misura disintossicata dai passati veleni, guardi al nuovo governo con un atteggiamento di sostanziale fiducia, apprezzandone soprattutto il nuovo stile di sobrietà, di serietà, di rigore.

Per un altro verso, il governo Monti è la presa d’atto del fallimento della politica, è il ricorso al governo dei “tecnici”, come estremo rimedio per supplire all’incapacità della politica, nelle sue diverse espressioni, di dare una soluzione ai problemi del paese. C’è chi, sia a destra che a sinistra, ha gridato allo scandalo, alla sospensione della democrazia, al dominio di un potere non legittimato, perché non è un governo scelto dagli italiani con una libera competizione elettorale. In realtà, sotto il profilo strettamente istituzionale, non c’è nulla da eccepire, perché secondo la nostra Costituzione il nostro è un sistema parlamentare, non presidenziale, ed è il Parlamento l’unica fonte di legittimità dei governi. E il governo Monti si è formato sulla base di una forte maggioranza parlamentare, e dovrà sottoporre all’approvazione del Parlamento tutte le sue decisioni.

Con ciò, non intendo ignorare l’anomalia di questa soluzione, ma si tratta di un passaggio di transizione già sperimentato in altri momenti, con i governi di Ciampi o di Dini, si tratta cioè di trovare una soluzione di emergenza nel momento in cui il sistema dei partiti non è più in grado di garantire una condizione di stabilità e il regolare funzionamento delle istituzioni. Il ricorso al governo “tecnico” è un segno della fragilità della vita democratica, ma questa fragilità non nasce oggi, ma è l’effetto di tutto il precedente corso berlusconiano, che ha indebolito tutte le strutture democratiche del paese. Il governo Monti è solo una soluzione transitoria, di emergenza, che consegna alle forze politiche la responsabilità di ripensare al loro ruolo e di riprogettare il futuro del paese, sulla base di chiari programmi alternativi.

Può essere utile una fase di tregua? Io penso di sì, a condizione che i partiti politici sappiano profondamente rinnovarsi, per aprire davvero una fase nuova della nostra vita politica. Possiamo dire così: che siamo a un punto in cui si è resa del tutto evidente la crisi della politica, e la necessità quindi di un lavoro complessivo di ricostruzione. Monti non rappresenta la soluzione, ma ha il merito di fare piazza pulita delle retoriche, delle demagogie, dei populismi, per riconsegnare al paese la necessità di un confronto chiaro sulle scelte programmatiche. A questo punto, sono i partiti che devono sapersi riorganizzare.

Il nuovo governo ha presentato una complessa e pesante manovra, che agisce in diverse direzioni, sul sistema previdenziale, sulla casa, sui costi della politica, sulle politiche di contrasto all’evasione fiscale. È in corso il confronto parlamentare, e c’è un’iniziativa, finalmente unitaria, delle maggiori organizzazioni sindacali, per ottenere una correzione dei provvedimenti nel segno dell’equità sociale. Per ora, non so dire quale sarà alla fine la conclusione di tutta questa vicenda. La linea del governo rispecchia esattamente quelli che sono oggi gli orientamenti dominanti di tutte le istituzioni europee ponendo al primo posto l’esigenza del rigore, del contenimento dei costi, del pareggio di bilancio, di una politica di austerità, ed è evidente come questa impostazione possa determinare costi sociali elevati ed effetti recessivi sull’andamento complessivo dell’economia. Credo che sia il momento di una discussione politica che affronti tutto il tema della crisi in modo più aperto, esplorando tutte le possibili vie alternative, senza accettare il “pensiero unico” dell’ortodossia liberista. Altre strade sono possibili, ed è compito delle forze di sinistra dare un nuovo senso al progetto europeo, rimettendo al centro il tema del lavoro, dell’eguaglianza e dei diritti sociali.

Ma è questo un lavoro di più lunga prospettiva, e non si può certo pretendere da un governo tecnico un coraggioso cambio di rotta rispetto alla cultura economica dominante. Per ora, dunque, dobbiamo cercare di intervenire sulla manovra del governo per renderla più sostenibile sotto il profilo sociale, più attenta alle ragioni dell’equità. Ma occorre, da subito, guardare oltre la “tregua”, e prospettare le idee di un futuro programma di governo, nel quadro di una nuova dimensione europea. È un problema che è aperto in tutti i grandi paesi dell’Europa, ed è urgente che la sinistra si riorganizzi e definisca con chiarezza e con coraggio un punto di vista alternativo rispetto alle politiche liberiste oggi dominanti.



Numero progressivo: H23
Busta: 8
Estremi cronologici: 2011, 12 novembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: Pubblicato in “Riccardo Terzi. Sindacalista per ambizione” col titolo “Il governo Monti: presa d’atto del fallimento di una politica”, pp. 113-118