IL DIBATTITO SULL’UNITÀ

Intervento di Riccardo Terzi – Segretario generale CGIL Lombardia

Io penso che l’unità sindacale sia, in questo momento, necessaria e matura: necessaria per affrontare i processi molto complicati che stanno davanti a noi sia su scala nazionale che su scala internazionale; e matura perché sono venute meno le ragioni storiche della divisione visto che sono cadute le vecchie identità di tipo ideologico. Nello stesso tempo sono altrettanto convinto che nonostante questa maturità del tema “unità sindacale”, questo resti un tema molto arduo, molto difficile: non è affatto scontato che all’unità ci si arrivi, sono molto forti le controtendenze. L’unità implica da parte di tutti, da parte nostra come da parte degli altri, dei cambiamenti profondi nel modo di essere e nel modo di agire. Servono quindi sicuramente a poco gli appelli generici: una pura esercitazione retorica intorno al tema dell’unità sindacale non ci fa fare nessun passo in avanti. Per questo condivido la relazione, l’approccio prudente e realistico, sia pure molto fermo sulla scelta di fondo. Si tratta, in effetti, di ripensare il sindacato in un’epoca che sta cambiando profondamente, di ridefinire i princìpi fondativi del sindacalismo confederale oggi. Mi pare che ci siano alcuni punti fermi sui quali dovrebbe esserci un’intesa non equivoca tra di noi; è evidente che pensiamo a un sindacato unitario, non a un sindacato unico, a un processo unitario volontario che dà luogo a un nuovo soggetto confederale, frutto della convergenza tra le tre attuali confederazioni.

È evidente, almeno per noi, che la causa dell’unità non è slegabile, non è separabile da un’esigenza di riforma democratica del sindacato: questo è un punto sicuramente da scavare e da chiarire in modo esplicito con le altre confederazioni. Noi abbiamo avuto alle spalle, abbiamo tuttora, una situazione logorata nel rapporto democratico coi lavoratori; dobbiamo fondare il progetto unitario su regole democratiche e certe sia per quanto riguarda il rapporto con gli iscritti, sia per quanto riguarda il rapporto con l’insieme dei lavoratori: due aspetti distinti, entrambi essenziali. In questo momento siamo deficitari su entrambi questi fronti perché non c’è una grande democrazia dei soci né nella CISL, nonostante alcune enfasi in proposito, e neppure dentro la nostra organizzazione.

C’è un problema, per noi cruciale, di principio, che siccome l’azione del sindacato ha degli effetti universali occorre trovare le forme, le procedure, le regole per una verifica democratica seria, effettiva del consenso di tutti i lavoratori.

Nelle tesi della CISL c’è qualche prima apertura. Qualche volta noi facciamo una caricatura un po’ forzata delle posizioni della CISL: non c’è, almeno nelle posizioni ufficiali – altra cosa è la pratica – la teorizzazione del sindacato unico, c’è, sia pure molto timidamente e in modo parziale, sicuramente insufficiente, il riconoscimento di questi due distinti livelli di democrazia: rapporto con gli iscritti e rapporto con l’insieme dei lavoratori.

Ci sono, certo, ancora delle distanze e per questo dobbiamo andare a un confronto molto stringente e serrato; da questo punto di vista anch’io credo che la nostra iniziativa di legge sia uno strumento utile, una scelta non contraddittoria con la prospettiva unitaria, una scelta che rende chiaro che per noi il cammino dell’unità non è separabile dalla definizione di regole chiare che garantiscano l’insieme dei lavoratori, nel loro rapporto con i sindacati.

Così credo che altri punti debbano essere oggetto di una discussione: penso, ad esempio, a tutta l’enfasi che ricorre in modo non chiaro, ambiguo, nelle tesi e nelle posizioni della CISL, sul sindacato della partecipazione, sul passaggio dal sindacato conflittuale al sindacato partecipativo, formule che, quanto meno, richiedono di essere messe in chiaro, di essere esplicitate e che possono sottintendere qualche cosa che a noi non convince, possono cioè ipotizzare un sindacato che perde la sua autonomia e sta in un rapporto subalterno sia con le istituzioni politiche, sia con i poteri dell’impresa. E una discussione da fare.

Ho detto che non penso che l’unità sia a portata di mano in modo facile: richiede un processo, richiede un approfondimento, richiede, anche, una lotta politica e un confronto politico chiaro, perché se partiamo da un accordo incerto, ambiguo, non costruiamo nulla, costruiamo sulla sabbia. Credo che abbiamo bisogno di ancorare l’unità sindacale a un’idea di autonomia del sindacato in quanto rappresentante sociale, in quanto parte della società civile, superando, quindi, quella che è stata l’origine del sindacalismo confederale: un’origine politica, basata su un patto politico che pure ha avuto una sua funzione nobile per un lungo periodo di tempo ma che oggi, evidentemente, non regge più, non corrisponde più allo stato d’animo, alla coscienza della società italiana. Nella società civile avvengono processi contraddittori di scomposizione, di disarticolazione corporativa, ma anche saltano vecchie identità e c’è un nuovo bisogno di ritrovare punti di aggregazione e punti di unità. Detto questo, il problema che noi abbiamo è che cosa fare concretamente: se è vero che c’è questa attualità del problema e insieme anche una grande difficoltà del problema; come riusciamo ad attivare il processo? A non limitarci a una litania di parole che passa come acqua sul marmo? Possiamo sicuramente proporre delle operazioni a CISL e UIL di tipo sperimentale; unificare alcuni settori di lavoro; in particolare credo che sarebbe utile e forse più possibile che non in altri campi un lavoro unitario, unificato, per quanto riguarda le politiche internazionali, perché qui, davvero, c’è già oggi una convergenza forte dentro l’esperienza europea e dentro la CISL Internazionale.

Io, però, credo che questo non sia sufficiente. Credo che dobbiamo cercare di affrontare il problema nei suoi aspetti centrali, andare al cuore del problema, e che senza questo, senza un chiarimento politico di fondo, di principio, difficilmente vanno avanti anche operazioni parziali di unificazione di singoli settori di lavoro. Affrontare la questione di principio e cercare di lavorare a una carta fondamentale, a una carta costituente del sindacato unitario: questo, credo, richiede una discussione approfondita.

Sarebbe forse utile proporre a CISL e UIL, dopo l’incontro di domani, di mettere in calendario degli incontri seminariali con un carattere aperto, di ricerca, di approfondimento per chiarire le questioni che sono controverse, per affrontare esplicitamente le difficoltà e per definire, intanto, quanto meno, il carattere che hanno oggi le diverse posizioni e quali possono essere i cammini ulteriori di ricerca e di approfondimento per giungere a una sintesi unitaria.

Credo, inoltre, che abbiamo un problema che è quello di far partecipare i lavoratori, di far sì che venga un contributo attivo dal basso. Oggi questo c’è poco, a differenza degli anni 70 quando l’unità nasceva sull’onda di una spinta dal basso; oggi questo non c’è ed è un limite serio.

Dobbiamo vedere quello che possiamo fare per aprire una discussione di massa tra i lavoratori, utilizzando le risorse che ci sono, le esperienze fatte anche in questi mesi: penso all’esperienza dei consigli, che rischia di rinchiudersi in se stessa.

Io qui condivido le cose che diceva la relazione: questa esperienza può avere una funzione importante nella battaglia per l’unità se, appunto, riesce a essere forza attiva per costruire una prospettiva unitaria di tipo nuovo, di tipo democratico, con la partecipazione attiva dei lavoratori e delle strutture di base.

Credo anche che ci possano essere contributi, impegni, iniziative di vario tipo, delle varie strutture della CGIL. Mi ha meravigliato, francamente, una reazione un po’ scomposta, che qualche volta c’è stata al documento, che qualcuno di noi ha prodotto sul tema dell’unità sindacale, un documento che aveva soltanto l’obiettivo di stimolare la discussione, cosa che, in effetti, è avvenuta.

Sarebbe utile avere una pluralità di iniziative; come quella organizzata nei giorni scorsi dalla Funzione pubblica.

Credo che in ogni struttura si possa cercare di esaminare come sta il problema dell’unità, dei rapporti con le altre confederazioni, per cominciare a costruire dei processi, per far camminare un processo che spontaneamente non cammina e che rischia di essere bloccato da una serie di resistenze burocratiche.

Dovremmo inoltre meglio definire, oltre agli aspetti di principio, alcuni aspetti di carattere organizzativo: come dovrà essere il sindacato unitario? Come affronta le esigenze di sburocratizzazione? Come riesce a darsi un modello organizzativo non centralizzato, non elefantiaco, ma con ampi decentramenti di carattere regionale, con una struttura di tipo più flessibile, rispetto a quella che oggi hanno tutte e tre le confederazioni? Questi, mi pare, sono i problemi da affrontare. Quello che, ora, possiamo decidere qui è il nostro atteggiamento di fondo; sono importanti le cose dette da Trentin, da Epifani, da altri; è importante che non sia incerta ed equivoca la nostra volontà. L’unità fa parte del patrimonio genetico della CGIL. Ora questo probabilmente non basta. In questo patrimonio c’era la convinzione che l’unità ci apriva nuove grandi possibilità. C’era, forse, l’idea dell’egemonia. Ora c’è l’inverso, c’è il timore dell’egemonia di altri.

Credo che se restiamo a questi ragionamenti intorno all’egemonia l’unità non si farà mai, perché una volta non converrà agli uni, una volta non converrà agli altri. Dobbiamo liberarci da quegli elementi di sospetto che portano a vedere l’unità come trappola, come manovra contro di noi, come un attacco all’autonomia della CGIL.

L’unità, se si fa, apre un processo nuovo, dinamico, in avanti.

Non ci garantisce, certo, l’egemonia, ammesso che questa questione sia oggi ancora proponibile.

L’unità può aprire uno spazio democratico nuovo, aperto, in cui ciascuno faccia la sua parte, chiarendo che, in ogni caso, si tratta di un’unità di diversi, nella quale confluiscono diverse storie, diverse culture, diverse posizioni che si dovranno confrontare liberamente alla luce del sole.

Io credo che dobbiamo fare il massimo sforzo perché nella CGIL e in primo luogo nel suo corpo attivo si superi questo atteggiamento di sospetto, la paura dell’unità, che sento pericolosamente presente oggi in tanta parte dei nostri quadri. Se non si rimuove questa situazione, non riusciremo a fare nessun passo in avanti. Occorre ridare fiducia al progetto unitario, rimetterlo con i piedi per terra, chiarire quali sono le condizioni politiche, ideali e strategiche necessarie per l’unità, e avere la CGIL impegnata al massimo delle sue forze in questa battaglia.



Numero progressivo: A9
Busta: 1
Estremi cronologici: 1993
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Supplemento rivista, col., 32 pp.
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Nuova Rassegna Sindacale”, n. 21, 7 giugno 1993, supplemento, pp. 20-22