I PENSIONATI, INTERPRETI DI LIBERTÀ

Incontro con Ermanno Olmi

Dibattito tra Anna Bonanomi, Segretario generale SPI Lombardia, Riccardo Terzi, Segretario nazionale SPI, don Virginio Colmegna, Direttore Casa Carità e Ermanno Olmi, tenutosi il 13 novembre 2012 alla Casa della Carità, Via Brambilla 10 Milano

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Anna Bonanomi, Segretario generale SPI Lombardia

…. i nostri ospiti penso che sia una cosa per noi nuova anche stimolante dal punto di vista culturale. Siamo abituati come sindacato a discutere tanto dei nostri problemi e non abbiamo troppo spesso l’occasione di fermarci a riflettere a ragionare e a percepire altri punti di vista. Per questa ragione abbiamo organizzato questo incontro che fa parte di una serie di iniziative che lo SPI nazionale ha promosso. Infatti darò subito la parola a Riccardo Terzi per dare il significato di questa iniziativa e poi procederemo a fare una chiacchierata col nostro ospite che dirà dove siamo.

Don Virginio Colmegna, Direttore della Casa della Carità

Ringrazio e sono molto contento primo perché lavorare insieme e condividere anche con chi ha un’età (anch’ io ormai ho un’età normalmente dovrei essere pensionato ma non ho ancora capito cosa vuol dire) però voglio solo dire che questa è la casa e siamo molto contenti anche per Ermanno Olmi.

Parto da questo episodio. Noi qui abbiamo proiettato il suo … e la gente che c’era qui ha avvertito perché questo luogo è stato spessissimo pieno di brande durante l’occupazione e durante gli sgomberi, li abbiamo riportati qui nelle brande e quindi c’era un po’ di rivisitazione di questo straordinario punto di riferimento. Con Olmi poi il fatto che sa cos’è la Bovisa … io ho vissuto i primi anni in Bovisa dal ‘69 al ‘76.

Dico solo due cose ringraziando anche Terzi che ha scelto questo luogo. Questa Casa della Carità è la casa voluta dal Cardinal Martini. Quando lasciò la città ormai dieci anni fa dove volle che ci fosse un luogo dove guardare alla città. Dico sempre questo episodio che non lo mise nel capitolo “Milano ai poveri” ma uno sguardo sulla città consapevoli che i luoghi dove si vive ospitalità, si vive contraddizioni, si vive gratuità sono i luoghi dai quali ripensare come si deve vivere in città. Noi facciamo il decennio settimana prossima, lui volle poi che l’accoglienza fosse gratuita con una grande difficoltà non solo per il dato economico che evidentemente ci crea qualche problema, ma, soprattutto perché volle che le persone venissero accolte in quanto persone. Qui abbiamo 120 persone accolte; abbiamo dato credo che ormai siano 400 residenze a persone che vengono a fare le docce per quelli che non hanno casa. La residenza serve per avere il permesso di soggiorno quindi accogliamo gente col permesso di soggiorno e senza permesso di soggiorno. Tra gli uomini molti sono italiani che sentono proprio le vicende che stiamo vivendo, famiglie sfrattate ma con loro si fa un percorso di carattere culturale. La nostra biblioteca al secondo piano ha 2000 abbonati quindi vuol dire di fatto che rispetto al quartiere anche con le scuole minori e altri c’è questo tipo di legame.

Siamo andati in Università abbiamo avuto qui Kleim un grande antropologo l’anno scorso, settimana prossima, il 26 novembre avremo Appadurai, è la prima volta che viene in Italia, ha lavorato all’Università di Harvard per ragionare cosa vuol dire le contraddizioni, è passato Bauman di qui cioè l’idea è quello di renderlo un luogo che sorprende ed è per questo che siamo molto contenti. Un po’ di commozione avere qui Ermanno Olmi perché vuol dire che per noi la vostra ospitalità ci permette di rinsaldare questa idea forte che l’ospitalità non è un dormitorio – ci abito io qui quindi il primo che dice che è dormitorio guai – ci si abita, si vive e si accolgono le contraddizioni.

Abbiamo un sacco di volontariato di gente che impropriamente vengono detti pensionati, ma questa struttura va avanti tantissimo con persone che danno la loro professionalità in termini gratuiti. È diventata un’esperienza che ci appassiona molto ed è diventata anche un’impresa difficilissima da sostenere in questa fase e voi capite il perché. Abbiamo preso anche i Rom, famiglie Rom che sono qui che girano. Una delle grandi conquiste è quella, che con tanta fatica, dopo aver visto che alcuni hanno bruciato le tende e sono arrivati con l’occupazione, molti di loro adesso abitano nelle case, nessuno lo dice ma abitano ormai nelle case normalmente.

Cito sempre questo episodio, una di loro è venuta a dirmi: «Don Virginio sa cos’è successo? La vicina di casa mi ha detto: meno male che ci siete voi, quest’anno vado in vacanza tranquilla vi do le chiavi bagnatemi i fiori, state attenti che ci sono in giro gli zingari».

La paura è passata profondamente dentro però abbiamo anche dei discorsi di eccellenza. Abbiamo musicato con la nostra orchestra dei popoli le ultime poesie di Turoldo che è diventato un CD straordinario, che poi regaleremo anche a loro e, soprattutto abbiamo 27 bambini che vanno al Conservatorio, sta diventando un’orchestra importante e significativa quindi vi dico grazie che ci siete.

Anna Bonanomi

Io vorrei a mia volta ringraziarti nel senso che il lavoro prezioso che fate è non solo inestimabile ma è utile e serve.

Volevo solo sottolineare che molte di queste persone sono persone che mettono a disposizione il loro tempo, la loro intelligenza ed il loro impegno per aiutare le persone in un modo diverso dal vostro però con altrettanta passione. Questo credo che sia un tratto comune alla nostra organizzazione sindacale e alla vostra attività.

Grazie, do la parola a Terzi per introdurre l’iniziativa di oggi.

Riccardo Terzi, Segretario nazionale SPI-CGIL

Anch’io voglio ringraziare Don Colmegna per l’ospitalità. Abbiamo scelto non casualmente questo luogo perché è un luogo molto significativo, emblematico, dà l’idea di quello che secondo noi dovrebbe essere una società organizzata, una società accogliente capace di dare alle persone una prospettiva.

Questo incontro rientra in una sene di iniziative che stiamo organizzando come SPI nazionale, incontri con alcune figure rappresentative della cultura italiana. Lo abbiamo fatto poco tempo fa a Brescia con Emanuele Severino, avremo il mese prossimo un incontro con Luciano Gallino, quindi persone anche diverse che vengono da esperienze diverse, con diverse competenze ma comunque dei punti alti e significative della cultura italiana.

Questo perché noi siamo convinti che, se riflettiamo sulla nostra storia di questi anni e anche sui fallimenti, sugli arretramenti che abbiamo subìto, penso che questi arretramenti sono dovuti soprattutto o in larga misura ad una difficoltà di carattere culturale.

Qui c’è un tema complicato, potremmo dire che è il grande tema dell’egemonia, il grande tema di qual è la cultura dominante. In questi anni c’è stata un’invasione della cultura liberista che ha travolto molte cose. Abbiamo subìto questa offensiva senza riuscire ad organizzare una resistenza forte ed efficace, quindi il fronte culturale è un fronte importante anche per il sindacato, il sindacato non può soltanto intervenire sulle questioni immediate e sulle questioni economiche, ma deve anche dare un senso alla sua azione e domandarsi su quali possono essere le forme nuove di organizzazione sociale. C’è bisogno di riprogettare la società, riprogettarla avendo presente le nuove sfide che ci vengono dai cambiamenti e una di queste sfide è sicuramente l’invecchiamento, una società che presenta una massa sempre più consistente di persone anziane richiede una diversa organizzazione sociale.

Un altro grande cambiamento è quello dovuto all’ondata migratoria, tema su cui lavora questa istituzione della Casa della Carità, e poi i cambiamenti del lavoro e la precarizzazione del lavoro. Siamo in presenza di cambiamenti sociali profondi che se non vengono guidati, governati e messi dentro una nuova prospettiva, rischiano di provocare dei processi negativi di frammentazione o di corporativizzazione del corpo sociale, quindi incontri per ragionare sul futuro.

Si parla degli anziani come il depositare della memoria. Questo è naturalmente importante, la memoria va coltivata, ma credo che noi non possiamo essere soltanto questo, anzi dobbiamo evitare di essere schiacciati dal peso della memoria, dal peso del passato. Dobbiamo usare la memoria come una risorsa per ricostruire il futuro e per ridefinire un progetto di vita, sia nella vita individuale come nella vita collettiva, questo vale per ciascuno di noi. Si invecchia davvero quando non c’è più futuro e c’è soltanto la memoria del passato quindi con questi nostri interlocutori che sono tutti abbastanza anziani, vogliamo parlare del futuro, qual è il progetto politico sociale e culturale possibile nelle condizioni di oggi.

Oggi abbiamo l’onore e il piacere di avere con noi Ermanno Olmi che ringrazio vivamente. Olmi è un regista che io amo molto perché va sempre al di là della superficie, le sue opere scavano in profondità, scavano nell’esperienza umana vista sempre nella sua dimensione sociale, ed è Olmi che ha proposto come titolo di questo incontro “I pensionati, interpreti di libertà”. Sarà Olmi forse a spiegare meglio il senso di questo titolo che può sembrare un po’ azzardato.

Io credo che vada discusso il rapporto tra l’invecchiamento e la libertà. Si può dire sicuramente questo, che gli anziani sono i testimoni del livello di civiltà di un paese, la condizione degli anziani è un essenziale metro di misurazione appunto della civiltà di un paese. Se la condizione degli anziani diventa una condizione insostenibile e marginale, allora vuol dire che la società è profondamente ammalata, incapace di darsi un ordine giusto.

Quindi la condizione degli anziani è un termometro, segnala a che punto siamo nella costruzione di una società, di una comunità che abbia un senso, che abbia una sua ossatura, abbia una sua forma organizzata. Trova il metro di misura proprio perché non sono più portatori di interessi particolari perché appunto, finita l’esperienza lavorativa, la condizione dell’anziano è una condizione in cui prevalgono bisogni umani fondamentali, non soltanto quelli economici ma quelli della libertà, dell’autonomia, della possibilità o meno di darsi un progetto di vita e, soprattutto, la qualità delle relazioni. Quando parliamo della libertà, la libertà non esiste in senso individualistico. La libertà si costruisce nella relazione con l’altro e quindi il problema che si presenta oggi nelle nostre società è quello di contrastare le trappole dell’invecchiamento che sono la solitudine, la passività. Quando appunto uno, finito il lavoro, non trova più nessuna ragione, non riesce più a dare un senso alla sua vita e quindi si rinchiude in un privato svuotato di senso (solitudine, passività, marginalità, fragilità delle relazioni), tutto questo deve essere contrastato. Questo è un problema che si presenta in modo particolarmente acuto nelle grandi città perché nelle piccole comunità è già più semplice, resta ancora una vita di comunità che nella grande città si perde, viene frantumata.

Questi sono i temi che proviamo a fronteggiare quotidianamente come sindacato dei pensionati occupandoci non soltanto degli aspetti economici, ma occupandoci della vita delle persone, della loro dignità, del loro diritto ad esercitare una cittadinanza attiva. Io interpreterei così il tema che Olmi ci ha suggerito e comunque siamo qui soprattutto per sentire le sue opinioni e per confrontarci con lui.

Credo che possiamo dare un carattere anche molto sciolto a questo nostro incontro non accademico. Io darei ora la parola a Olmi e poi vediamo con tutti voi di avere un dialogo su questi argomenti.

Ermanno Olmi

Hai lanciato molti sassi nello stagno quindi adesso è un espandersi riconcentrandosi di onde per cui ci sono le correnti che si espandono contro quelle che rientrano e scontrandosi determinano a volte alla vista nostra una condizione di disturbo, vedere queste acque che si muovono così. In realtà è l’opportunità per capire poi quanto è importante quella linea dell’orizzonte che non annuncia alcuna bufera, alcuna particolare stagione di tragicità, ma bensì di tranquillità.

Se c’è una cosa credo che vada d’accordo con gli interpreti di libertà è proprio questa: saper cogliere nella realtà la libertà. Quando parliamo di libertà in genere pensiamo siamo liberi noi? Posso fare quello che alcune suggestioni o la mia vocazione mi porterebbe a fare, però non sono libero perché la mia condizione non me lo consente?

Capire questa assenza di libertà è facile ma proviamo a guardare nella realtà dov’è la libertà. Dov’è? Nel mondo rurale che io ho amato tanto perché sono cresciuto lì dentro. La terra nella sua espressione più alta, quella di donarci il cibo rispondeva a regole di libertà cosmica e quindi il contadino aveva nella relazione con la terra continue testimonianze di libertà. Poteva governare soltanto una parte delle componenti della vita rurale, ma la maggior parte di queste erano affidate agli eventi cosmici.

Noi abbiamo commesso un grande errore: abbiamo creduto nell’ organizzazione. L’organizzazione è già la prima grave penalizzazione della libertà. Cosa c’è di più libero dei bambini che giocano? Oggi non ci sono più nemmeno le libertà per i bambini, li abbiamo inchiodati al telefonino, al videogioco, ai parchi giochi dove la loro fantasia non può più esprimersi perché già i giochi sono organizzati. Ma perché questa organizzazione? Cos’è l’organizzazione? Certo è utile ma non dobbiamo affidare tutto alla certezza dell’organizzazione che è la morte della libertà. Ogni, giorno dobbiamo cogliere la libertà che quel giorno ci porta, ma lo facciamo o rinunciamo. Se noi non siamo liberi è perché non siamo interpreti.

Ma voglio andare con ordine. Data la mia professione, anzi preferisco chiamarlo “il mio mestiere” perché sono un artigiano, io lavoro con la testa e con le mani, certo ci sono le tecnologie che mi vengono in aiuto, una volta c’era la moviola meccanica adesso c’è la moviola elettronica, ma viola rimane, voglio raccontarvi delle piccole storie dove io ho colto segni di libertà o di non libertà o peggio, di rinuncia nostra alla libertà che è la colpa più grave perché una libertà imposta potremmo essere accusati di pusillanimità, abbiamo ceduto alla sicurezza delle nostre case sbarrate, ma quando siamo noi a rinunciare alla nostra libertà questo è il titolo più indegno che possiamo portare sui nostri volti e sulla nostra mente.

Allora non un lavoro di organizzazione che pure ci vuole ma un lavoro di relazione, vale a dire: ogni persona che incontro c’è un motivo per essere in relazione con lei e quante volte la nostra rinuncia alla libertà si ferma? Ma com’è vestito quello lì? Ma come sarà nelle categorie sociali che grado avrà? Devo andargli incontro col sorriso o con sufficienza? Questa è una nostra rinuncia alla libertà che è un’offesa prima di tutto a noi stessi.

Vengo ai miei ricordi.

Quando girai il film Il posto, ce n’era uno prima che porta bene il messaggio di libertà, ma l’hanno visto in pochi.

Ne Il posto, io avevo 29 anni, c’erano scene in cui questo mondo di impiegati che ogni giorno arrivavano, timbravano il cartellino, sedevano alla scrivania, svolgevano il loro lavoro che era un frammento dell’organizzazione, quindi già lì c’è la prima rinuncia alla libertà quando, ed è comprensibile, per ottenere la sicurezza di uno stipendio io devo accettare una condizione di sottomissione.

Questo cosa mi fa dire? Che è una società che offende gli individui perché se io per campare, debbo per imposizione, rinunciare alla mia libertà non è una società civile, non lo è per niente.

C’era una scena in cui un anziano -allora avrei detto un vecchietto oggi mi ritrovo in queste condizioni – che tutti i giorni già pensionato tornava in ufficio, si sedeva in un angolo del corridoio e aspettava che suonasse la campanella di fine lavoro. Era oramai forgiato dentro a questa sua condizione di rinuncia alla libertà e ad una condizione passiva per cui non riusciva a fare altro che tornare a fare l’impiegato quando già non lo era più. Questo credete accade ancora. Quante persone che non avendo più il motivo del lavoro improvvisamente si sentono inutili e quindi cadono dentro a quel pantano che è l’anticamera della solitudine e dell’abbandono?

Siamo negli anni ‘60, all’inizio degli anni ‘70 faccio a Bassano del Grappa un punto di riferimento per ragazzi che vogliono fare del cinema e hanno difficoltà a trovare opportunità per partecipare a delle troupe per imparare il mestiere, quelli che una volta i vecchi artigiani dicevano al garzone: “Impara a tacere e rubare il mestiere” che vuol dire mettere in atto la libertà. Perché? Certo io vedo come tu usi il martello, ma se ho un atteggiamento falsamente attivo in realtà è passivo, io penso di imitare tu che batti il martello, ma se sono un uomo libero devo pensare al momento in cui quando lo batterò io lo batterò qualcosa di meglio di come lo battevo io adesso.

Questa è la libertà. La libertà ha le gambe, cammina non rimane inchiodata come un idolo santi e quant’altri nelle nostre chiese, idoli di cartone. Siamo noi i primi responsabili della nostra libertà nel riconoscerci gioiosamente in ciò che riusciamo ad essere e riconoscerci con gioia. Io sono questo individuo, individuo unico ed irripetibile in mezzo ad altri individui altrettanto unici e irripetibili. Ma cosa facciamo se rinunciamo alla libertà? Di cosa parliamo? I nostri discorsi sono pieni di bugie, di menzogne, di cose magari rimasticate di altri. Se non cerchiamo la libertà rinunciamo a vivere perché questa libertà, quando non avremo più quei motivi per non sentirci soli -in realtà eravamo soli dietro le scrivanie, ai posti di lavori e quant’altro -se non abbiamo questa libertà come ci terremo compagnia? Guardate che la solitudine ha due nature: una quella di una condizione di isolamento in cui precipito e non me ne sono quasi accorto, ma c’è un’altra solitudine che invece morde la realtà. Allora guardo quello che accade oggi, quello che ho fatto io, mi domando ho fatto oppure ho fatto male? Dove ho fatto male è sempre per questa capacità di essere libero, di reinterpretare la mia vita. E se avessi fatto così? Vabbè quello che è fatto è fatto. No non è vero perché quello che è stato fatto, se io rivisitandoli con la mente e con il cuore, li riscatto dall’ errore che ho commesso, compio un atto di libertà e di condono a me stesso perché ho capito di aver sbagliato. È facile perdonarsi così? No non è facile basta volere.

A Villa Serena, riunisco questi ragazzi poi guardate che menzogna: Villa Serena. Ma si può salvare una realtà col titolo di una organizzazione? Cos’è successo nel Veneto? È successo questo. Quando erano tutti figli della terra il Veneto, di prima del boom economico del nord-est, i contadini e gli artigiani di allora, i vecchi li tenevano in casa come un patrimonio di sapienza, perché il vecchio aveva fatto quel ragionamento di cui vi ho detto prima e non commette più due volte lo stesso errore, l’ha riconosciuto per sé e nel momento in cui viene interpellato restituisce questa sua sapienza. Ebbene non c’era un vecchio che non fosse in casa onorato e riverito.

Scoppia il boom del nord-est improvvisamente l’Italia non lo sapeva, viene a sapere dai giapponesi che il nord-est è una realtà industriale piccola e media di cui i giapponesi sono rimasti sbalorditi, ma come hanno fatto! La nostra classe dirigente non sapeva niente, compreso i sindacati. Bene sono diventati tutti ricchi e hanno fatto Villa Serena, perché quando hanno fatto la casa nuova, la villa rispetto alla stalla che era diventata laboratorio artigianale, hanno fatto Villa Serena perché l’anziano, nella nuova casa dell’architetto o del geometra, non prevedeva la presenza del vecchio. Nella casa rurale era l’onore della famiglia, qui diventava il disonore e avevano il danaro sufficiente per sistemarli in questi confortevoli organizzati asili nido.

Un’altra storia poi se siete stanchi ditemelo che io mi fermo.

Anni ‘70. Inizia il ‘70, c’era stato il ‘68 c’era già una generazione nata dopo la guerra che ci segnalava che il mondo stava cambiando, ma noi ci siamo limitati ad ascoltare le loro belle canzoni e basta. Giusto un fatto emotivo e poi basta. All’ inizio degli anni ‘70 sto facendo un film intitolato Un certo giorno e tutti i giorni per l’edizione vado a Cinecittà per le lavorazioni e, prima di arrivare a Cinecittà ai teatri di posa fatti da Mussolini c’era da un lato, voltando le spalle alla città, l’Istituto Luce che aveva i suoi laboratori e, dall’ altra il Centro Sperimentale di Cinematografia per gli allievi che volevano fare i cineasti, devo dire da un punto di vista organizzativo il fascismo era assolutamente considerevole. Vedi l’organizzazione? Appena c’è una dittatura subito ci vuole l’organizzazione. Davanti all’Istituto Luce non c’era un marciapiede asfaltato ma c’era ancora una bella fetta di terra battuta, quindi quando cominciò la guerra e finì la guerra, sono rimaste delle cose com’erano e non hanno più fatto nulla, però il laboratorio funzionava. Ebbene c’era come cancellata un muretto alto così e dietro i cancelli vedevo una fila di vecchi che, nelle belle giornate si mettevano là seduti. Non c’era tutto il traffico di oggi e si godevano il sole, si guardavano in giro parlavano, all’ora del pranzo andavano a casa e il pomeriggio ritornavano là.

Un giorno -vi assicuro che questa è una realtà -vedo alcuni di questi vecchi con delle scope, un piccone, dei badili allora ho rallentato e ho detto cosa stanno facendo e vedo che cominciano a scopare i marciapiedi di terra battuta. Con la terra che veniva dal residuo tappavano i buchi, battevano col badile, poi innaffiavano e il giorno dopo ancora là, questo per alcuni giorni. Una mattina passo e vedo che giocano alle bocce. Si sono portati delle bocce e si sono messi a giocare sul marciapiede e dopo qualche giorno c’era un gruppo di persone che andava a vedere gli anziani che giocavano a bocce. Passavano delle giornate in grande serenità, avevano messo in atto uno scopo non della vita ma della giornata e si sono organizzati la libertà. Vedi che uso questo termine come ossimoro.

Sapete cos’ha fatto il Comune? Ha asfaltato subito il marciapiede perché il Comune ha un’organizzazione.

Vi ho raccontato questi tre fatti perché un conto è parlare in termini di icone concettuali, la libertà, la solidarietà di cui gli intellettuali in genere per ragioni a volte più di bottega che di vocazione utilizzano sempre, è una moneta che spendono ed elargiscono a grande… ma dov’è quella libertà di cui vi dicevo? È in queste piccole storie, è nell’ osservare la realtà. Allora capisco dove c’è libertà e dove c’è passività, quei vecchi seduti erano passivi finché sicuramente uno avrà detto: domani io porto la scopa e cominciamo a…

Voglio dire non a voi, ma dico a me stesso: io sono un artigiano che cerca segnali di libertà perché la libertà non ha una faccia sola né cento né mille, la libertà è come il cosmo, è infinita. E volete che non ci sia un piccolo spazio per me che la sto cercando? Lo auguro anche a voi.

Bonanomi Direi Terzi che è stata una lezione questa. Devo dire che per quanto mi riguarda personalmente come individuo sono rimasta emozionata.

Terzi Come ex organizzatrice l’organizzazione …

Bonanomi Fermamente organizzatrice e tu hai sofferto. Gli ho imposto dei canoni tremendi però sono partita dal presupposto che il lavoro certamente aliena, diciamo che il lavoro può alienare.

Olmi Diciamo che siccome tu sei troppo cittadina e dici il lavoro aliena, ma prova ad andare in una bottega artigiana vera e vedi che il lavoro invece libera.

Bonanomi Voglio aggiungere che il lavoro può anche essere una grande opportunità.

Olmi Deve essere.

Bonanomi Ho imparato da organizzatrice ferrea che questa idea, che il lavoro può anche essere un pezzo della tua libertà è una conquista, mettiamola così. Poi in una vita cittadina se non è tutto iper-organizzato si rischia invece come hai sperimentato tu oggi … Adesso a parte le battute credo che sia stato per quanto mi riguarda un grande insegnamento.

Io direi che possiamo fare delle domande, cogliere l’opportunità perché questa è un’occasione preziosissima.

Domanda Io la ringrazio, l’ho visto per la prima volta non solo in televisione e quindi grazie per la presenza e per l’ottimo discorso nel senso della libertà.

Volevo farle un po’ di domande anche perché mi ci ritrovo perché dove io lavoro, che è la Lega Forlanini dello SPI ho due cose tue. La prima è quella che ci ricorda che l’industrializzazione della società capitalistica occidentale è durata cinquant’anni e poi dobbiamo costruire un’altra civiltà che nasce dalle premesse e dalle capacità che noi abbiamo. L’altra è una cosa che dico sempre quando mi vengono a trovare anziani ed anziane, dico sempre che indipendentemente che sia una pratica tu hai fatto sull’ amicizia.

Olmi Ti do del tu per cordialità, per mettermi in relazione. La battuta giusta è: tutti i libri del mondo non valgono un caffè.

Bonanomi Io volevo parlare di un’altra cosa che mi preme perché anch’io ho superato i 60 anni. Anch’io ho dato come tanti qui dentro che ci conosciamo, il nostro tempo la nostra gioventù e il nostro essere adulto nel lavoro. In gioventù noi ci siamo formati negli anni belli della società occidentale contro la guerra, contro la guerra del Vietnam, per una scuola libera, io studiavo di sera ma ho partecipato nel ‘68 alle lotte degli studenti pur nella mia condizione di lavoratrice e studente, questa generazione io la vedo che sta lentamente arrivando da noi al sindacato, al sindacato pensionati perché è un’organizzazione. Scusa se uso questa parola perché mi sembra giusto il riferimento perché rappresentiamo un effetto importante e mi accorgo che più vado avanti più la gente capisce il messaggio.

Nel ‘68 noi eravamo giovani liberi, liberi perché pensavamo che il mondo era facile conquistarlo e noi abbiamo dato forse il meglio della nostra gioventù però crediamo alle cose che abbiamo fatto. Nessuno di noi rinnega ciò che ha fatto però adesso c’è quella svolta quel progetto di vita che ci parlavi che era bello. Adesso tutti siamo fuori dal lavoro attivo però il gruppo che sta arrivando di uomini e di donne è un gruppo di tutti i tipi che è la bellezza di questo incontro. Arrivano dall’ aeroporto, arrivano dalla scuola, arrivano dall’Italtel, sono muratori, sono elettricisti, sono insegnanti, donne di tutti i tipi e formano piano piano coesione si incontrano e parteci pano. Stamattina c’era Anna Milani che era qui presente, dopo un anno abbiamo cercato di fare un bilancio dell’attività e ognuno l’ha fatto: otto relazioni fatte con questa partecipazione che è quello un po’ che dicevi tu. C’è chi ha inventato il party del buon vicinato insieme alle case popolari all’interno; abbiamo occupato un giardino insieme ai bambini di tutto il mondo, bellissimi insieme agli israeliani ai marocchini e agli italiani, ed è stata una cosa bellissima, abbiamo fatto persino una lotteria dove la musulmana ha vinto un bel salamino, che naturalmente ha rifiutato.

Queste sono le cose belle, poi ci sono altre cose. Vedere e conoscere la città cosa che non abbiamo mai vissuto, sentire la città parlare milanese la città del Carlo Porta dove c’era molto entusiasmo di fronte a piccole cose che sembrano così minime….

Olmi Sono un po’ irrequieto.

Bonanomi Allora basta.

Olmi No stai lì. Primo io non ho detto che bisogna abolire l’organizzazione, ho detto che quando l’organizzazione diventa la nostra certezza di efficienza sbagliamo, perché? Perché mettiamo in atto l’organizzazione ma non il cuore, e senza questo nessuna organizzazione può in qualche modo raggiungere il suo scopo. Ogni organizzazione può essere o criminale addirittura legittimata, a volte attraverso gli Statuti degli Stati, o atto di civiltà che crea condizioni di relazione fra gli uomini.

È chiaro che l’organizzazione non la voglio demonizzare, ma bisogna che l’organizzazione sia al servizio di un’idea, l’idea della giustizia e della solidarietà e non l’idea al servizio dell’organizzazione perché il fascismo è nato esattamente così.

L’altra cosa non, è vero che questo è passato quindi non c’è più niente da fare perché io prima ti citavo rivisitando il passato, lo riscatto dal mio errore e quello diventa un granello di patrimonio per coloro che si mettono in relazione con me, perché ho imparato dal mio passato a essere qualcosa di diverso di come quella volta mi sono comportato. È chiaro?

L’ultima cosa è lodevolissimo il vostro lavoro, benissimo le vostre relazioni, ma attenzione, voi andate in giro per dispensare solidarietà e libertà come dei paladini di queste bandiere. Andate anche in giro a cercare testimonianze di libertà e di solidarietà sennò rischiamo di dire che noi siamo i portatori dei valori, nel momento in cui fai il portatore del valore è meglio che lavori per le banche che trasportano i valori.

Bonanomi Dobbiamo imparare anche a essere umili. È questo un po’ il messaggio che ci vuoi dare.

Olmi Come fai a dire voglio essere umile?

Bonanomi No imparare ad esserlo un po’ magari ci si relaziona meglio.

Olmi Anna aspetta che ti do un abbraccio. Oggi sei la mia vittima ma è giusto che tu mi provochi così.

Per rispondere alla tua domanda è oggi voglio innamorarmi, poi un giorno mentre sei lì che ti allacci le scarpe piove, arriva lui dici signore scusi eccolo qua. Vedi le ragazze come si divertono?

Bonanomi Scusatemi se mi permetto ma non resisto. Tu hai espresso in maniera compiuta questa idea di trasmettere la sapienza, nella società veneta del passato, i vecchi erano portatori di sapienza questo è un po’ il cruccio di tanti di noi, come facciamo noi oggi in una società che è divisa? Gli anziani non conoscono il linguaggio dei giovani i giovani non conoscono il linguaggio degli anziani, siamo divisi, siamo fatti a pezzi, le cosiddette corporazioni ognuno vive nell’ambito del suo recinto, come facciamo a seminare la sapienza?

Olmi Ti rispondo in modo sbrigativo però è solo con una punta di provocazione che ormai è diventato il nostro gioco di oggi. Come abbiamo fatto a fare queste città in queste condizioni? Se noi ci domandiamo come abbiamo fatto a fare queste città, a volere queste cose che adesso che le abbiamo ottenute ci rendiamo conto che si rivoltano contro di noi, se siamo stati capaci di farle dobbiamo essere capaci di trasformarle.

Sai perché le abbiamo fatte così? Perché abbiamo creduto soprattutto nel valore della ricchezza, del potere del danaro e allora cominciamo a domandarci io come posso in qualche modo iniziare il mio percorso alla ricerca di libertà e di autenticità? La trovi non tutta insieme di colpo ma un pezzettino alla volta, una volta dentro di te e una volta nel mondo che è davanti a te. Come facciamo adesso a compiere questo percorso quando col danaro era facile fare tutto? Per fare il percorso non serve danaro serve una qualità che nessun danaro ha, ed è la nostra fede che non vuol dire fede Padre Figlio e Spirito Santo, ma la fede, un bambino ha fede nella mamma. Quando un bambino è in difficoltà ha fede nell’ abbraccio di sua madre o no? Ma se sua madre non c’è per tutto il giorno perché va via al mattino torna alla sera il bambino va all’ asilo nido, ma quando mai siamo arrivati a mettere al mondo creature come i nostri bambini e li affidiamo all’ organizzazione? Dobbiamo vergognarci Don Colmegna compiamo il primo atto di omicidio.

Come faccio a capire cos’ è la fede se quando ho bisogno d’aiuto ancora inconsapevoli non ho quell’ abbraccio? Come faccio?

Bonanomi Noi sessantottine questa è una bella … Lui ha posto dei problemi rivoluzionari. Non parlo più perché mi sento in difficoltà.

Olmi Dobbiamo in questo caso fare i conti coi numeri ma non per il significato che ha il numero ma per capire le scansioni.

Finisce la guerra nel ‘45 nei primi cinque anni mettono al mondo i figli che sostituiscono quelli morti e quelli che non si sono fatti durante la guerra perché era assurdo farli. In quei cinque anni subentra una nuova generazione, dal ‘50 al ‘68 quanti anno sono? 18 anni. Quell’anno ‘50 non è soltanto la fine della rigenerazione delle generazioni ma per chi ha la mia età si ricorderà che nel ‘50 dopo essere scoppiato nei pochi anni dopo la guerra il boom economico nel ‘51 ci fu la prima congiuntura. Chi se la ricorda la congiuntura?

La chiamavamo così perché improvvisamente l’economia si fermò e i soloni dicevano: è un momento di congiuntura tra una fase conclusa e una fase che si riapre.

Dietro quella congiuntura c’era il primo avvertimento: attenzione che state andando verso un’economia suicida. Nessuno l’ha detto e pochi l’hanno capito. Vuoi che ti citi un nome di chi l’ha capito? Adriano Olivetti con Comunità.

Arriviamo al ‘68, voi che come animaletti sensibili avete percepito che la strada intrapresa era una catastrofe avete reagito emotivamente commettendo tutti gli errori che vuoi non me ne frega niente, ma era la segnalazione più evidente e più urgente rispetto alla congiuntura che stavamo andando per una strada sbagliata ma abbiamo creduto al danaro. Tutti hanno creduto al danaro e ancora oggi ci credono ciecamente. Distribuiscono danaro a tutti, non c’è trasmissione in cui non distribuiscano danaro e sono tutti lì che aspettano l’occasione di correre a vincere.

Signori, se non diventiamo adulti, l’età ideale è o l’infanzia o la vecchiaia come la mia ma, in mezzo devono esserci momenti apicali della maturità dell’uomo e della sua capacità di intraprendere iniziative. Bambini e anziani si affidano ai sentimenti, al pensiero e alla sapienza, ma in mezzo ci devono essere i combattenti ma non dobbiamo utilizzarli per scopi criminali.

Quanti figli della Germania hanno creduto. Quanti figli della Chiesa cattolica hanno creduto. Quando mi domandano, oggi cosa possono fare i cattolici in politica? Facciano i cristiani, la cristianità è stata una delle prime forme di democrazia. Pensateci bene Cristo disse: “io sono uno di voi”.

Colmegna E poi ha vinto l’organizzazione.

Olmi E abbiamo visto le conseguenze. Signori io sono un po’ stanco perché sono vecchio, vi saluto con tutto il cuore e vi auguro buona permanenza.



Numero progressivo: D37
Busta: 4
Estremi cronologici: 2012, 13 novembre
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Interviste/Dibattiti
Serie: Scritti Sindacali - SPI -