I MUTAMENTI NELLA GRANDE IMPRESA ED I NUOVI CONTENUTI DELLA CONTRATTAZIONE
La contrattazione nei grandi gruppi industriali - Convegno del 24/4/1985 Milano - Casa della Cultura
Intervento di Riccardo Terzi – Segretario CGIL Lombardia
È in corso di svolgimento una ricerca nazionale, organizzata dalla CGIL, sui grandi gruppi industriali, per studiare i mutamenti che sono in atto nella loro struttura e l’evoluzione delle strategie d’impresa.
Ci proponiamo, in questa fase, un primo scambio di valutazioni, una prima discussione politica, fissando un appuntamento successivo nel momento in cui la ricerca sarà conclusa e potremo meglio verificare la validità delle diverse ipotesi.
Una discussione sui grandi gruppi industriali può forse sembrare a qualcuno fuori tempo, il segno di una nostra interpretazione della società ancorata a schemi ormai logori. Nel momento in cui si parla ripetutamente di società post-industriale, e in cui la vitalità del tessuto economico sembra essere affidata esclusivamente alla costellazione variegata delle piccole e medie imprese, la nostra ricerca rischia di apparire di tipo archeologico.
Le semplificazioni oggi di moda.
Nella scelta che abbiamo compiuto c’è, in effetti, un’esplicita presa di distanza dalle semplificazioni che oggi sono di moda. Il tentativo di spiegare l’attuale fase di sviluppo della società italiana e delle società europee con i concetti di de-industrializzazione, di post-industrialismo, di terziarizzazione, è un tentativo, a me sembra, assai povero di risultati conoscitivi, e si risolve in un’operazione di tipo ideologico.
È il tentativo di sbarazzarsi in modo frettoloso della presenza del movimento operaio organizzato e di eludere la realtà degli antagonismi di classe.
In realtà, i processi che sono in atto hanno il loro punto di partenza nella dinamica dell’impresa.
È nell’impresa il punto di più intensa trasformazione e accelerazione dei processi innovativi. E non si possono pertanto capire correttamente le tendenze di sviluppo del settore terziario, o i processi di decentramento produttivo, se non come effetti di un cambiamento che tocca il cuore della produzione industriale.
L’analisi dei grandi gruppi quindi è condizione necessaria per capire la dinamica complessiva della società. Ciò, d’altra parte, risulta chiaro se guardiamo alle società dove i processi innovativi sono più sviluppati. È chiaro, ad esempio, che non ci può essere nessuna analisi seria della società americana di oggi se non a partire dai cambiamenti tecnologici ed organizzativi che sono avvenuti nel sistema delle grandi imprese e che hanno avuto un effetto pervasivo sull’intera struttura sociale.
In questa più stretta correlazione tra produzione e società, tra cambiamenti tecnologici e cambiamenti sociali sta uno dei tratti distintivi di questa fase. E ciò è dovuto al fatto che l’elemento trainante dell’innovazione è il sistema informativo, il quale non limita i suoi effetti alla produzione, ma sconvolge e ristruttura, l’intera organizzazione sociale.
Le tradizionali linee di demarcazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra industria e terziario, si fanno più fluide, più incerte, in quanto si afferma un comune tessuto connettivo, che è dato appunto dalle nuove tecnologie e dalla loro diffusione orizzontale in tutti i settori.
Governa chi controlla il cambiamento.
Cambia dunque la geografia del potere (economico, politico, culturale), perché si spostano i punti strategici. Il ruolo dirigente è assunto da chi è in grado di governare e controllare il cambiamento.
Ciò non può non avere effetti rilevantissimi sul ruolo e sull’iniziativa del sindacato. Il potere del sindacato, come tutti i poteri, è messo in discussione. Se in il sindacato non riesce ad intervenire nei punti strategici, il suo declino diviene inevitabile.
È in questo orizzonte che dobbiamo affrontare i problemi concreti della nostra iniziativa contrattuale.
E allora è evidente il rapporto stretto che c’è tra capacità di analisi e azione concreta, è evidente che non si tratta qui di una pura discussione teorica, ma di ridefinire le linee portanti di un possibile rilancio dell’azione sindacale.
La contrattazione è in crisi, sia per la sua dimensione quantitativa, sia soprattutto per i contenuti che è in grado di esprimere. È questo un fatto oggettivo, che tutti riconoscono. Ma ancora non risulta chiaro nel nostro dibattito interno quali siano le radici essenziali di questa crisi. Ci sono alcune risposte correnti, che mi sembrano devianti ed illusorie.
Una prima interpretazione, abbastanza diffusa, si affida alla contrapposizione tra centralizzazione e articolazione. Le cause della crisi sarebbero quindi da rintracciarsi essenzialmente nei processi di centralizzazione dell’iniziativa sindacale avvenuti negli ultimi anni. In questo giudizio c’è un pezzo di verità, ma un pezzo molto parziale. E c’è una illusione: l’illusione che basti premere l’acceleratore sull’azione articolata di fabbrica, che sia sufficiente una spinta volontaristica, un movimento dal basso.
Il modesto bilancio della contrattazione.
Il bilancio della contrattazione aziendale che si è realizzata in questo ultimo anno dimostra che tutto questo non basta, che ci sono nodi più complessi. Si tratta infatti di un bilancio modesto, nonostante l’impegno che molte strutture sindacali hanno dedicato all’azione articolata, nonostante il tentativo che abbiamo compiuto di operare una svolta nel senso dell’articolazione. A me sembra molto rischioso ridurre tutta la nostra discussione alla troppo semplice e troppo schematica coppia di concetti: centralizzazione o articolazione.
È rischioso perché si sottovaluta la necessità di una iniziativa centrale del sindacato, sugli indirizzi generali della politica economica in un confronto stringente con il governo.
Ed è a maggior ragione rischioso perché l’indicazione di un rilancio dell’iniziativa articolata finisce per essere del tutto generica, priva di contenuti, e pertanto consente e legittima anche comportamenti opportunistici e subalterni. L’obiettivo si riduce al fatto di svolgere comunque una qualche contrattazione, di sottoscrivere comunque un accordo, anche mediocre, nella illusione che la crisi del sindacato sia risolvibile con un attivismo cieco e con un pragmatismo senza strategia. Nel panorama degli accordi aziendali più recenti, si sono cosi introdotte anche molte scorie, come è nel caso, ad esempio, delle cosiddette “clausole liberatorie” in alcune situazioni di crisi, o dell’introduzione di “premi di presenza” accettando così un’interpretazione riduttiva e padronale del tema della produttività.
L’articolazione non è per se stessa una garanzia, non è una risposta sufficiente, un’indicazione politica giusta, ma su cui occorre un successivo lavoro di elaborazione. Altrettanto parziale mi sembra una spiegazione della crisi della contrattazione che si riduca alla denuncia della volontà padronale di rivincita e di umiliazione del sindacato. Si tratta infatti di capire perché può oggi prendere corpo in settori importanti del padronato un tale disegno, quali mutamenti reali sono intervenuti, sulla base di quali nuove condizioni oggettive Mortillaro e Romiti possono dire quello che oggi dicono.
Non è questione di combattività.
In assenza di questa analisi più approfondita, tutto si riduce alla pura e semplice riaffermazione del principio generalissimo della lotta di classe, e anche in questo caso si annida un’illusione pericolosa: l’illusione che si tratti solo di combattività, di volontà di lotta, di determinazione decisa nello scontro.
Ho tratteggiato due situazioni-limite, in modo schematico. Nella realtà le cose sono più complesse e più intrecciate, ma è comunque vero, a me sembra, che in assenza di una nuova strategica che sia rapportata ai cambiamenti strutturali in atto nell’impresa, la contrattazione· rischia di oscillare tra pragmatismo subalterno e massimalismo velleitario.
C’è una terza risposta, che accetta come un dato di fatto inevitabile il carattere difensivo dell’azione sindacale nella attuale fase di crisi e di stagnazione economica, la posizione presente in gran parte della cultura CISL, che giunge coerentemente a prospettare una linea in cui il sindacato, costretto sulla difensiva, può solo agire in una logica di scambio.
Ma torniamo all’impresa e ai suoi processi interni di trasformazione. Con l’innovazione tecnologica si spostano, abbiamo detto, i punti strategici. E a sua volta l’innovazione non può essere valutata per se stessa, ma deve essere rapportata al mercato. L’impresa innova i prodotti e i processi produttivi per conquistare nuove quote di mercato, per reggere alla concorrenza internazionale. È la variabile mercato il criterio-guida dell’innovazione. Bisogna quindi considerare tutte le fasi del ciclo: progettazione, produzione, distribuzione. Nel rapporto tra queste fasi c’è uno spostamento: crescono di importanza i momenti della progettazione e della distribuzione, si impone sempre più una visione integrata tra le diverse funzioni, e la strategia dell’impresa, in una situazione turbolenta di mercato, diviene molto più complessa e deve potersi adeguare in modo più flessibile ai mutamenti della situazione esterna.
In questo processo, così sommariamente abbozzato, stanno le cause profonde della posizione di stallo in cui si trova oggi la contrattazione sindacale nelle grandi imprese.
I punti di forza conquistati nel passato recente vengono meno. Nella fabbrica a organizzazione tayloristica l’elemento centrale era quello della produzione, e il cuore della fabbrica era la catena di montaggio. Organizzando l’operaio-massa, il sindacato aveva la possibilità di un controllo strategico e di un alto potere contrattuale.
I punti di forza del sindacato non coincidono più con i punti nevralgici dell’impresa
Ma lo scenario oggi è radicalmente mutato, mentre la forza del sindacato resta concentrata nel punti tradizionali e vede quindi indebolita la propria efficacia. Restano sostanzialmente fuori dall’orizzonte dell’iniziativa sindacale il momento della progettazione, da cui dipendono i caratteri del processo innovativo, e il momento terminale della distribuzione, ovvero del raccordo con il mercato, e ciò proprio nel momento in cui queste funzioni diventano strategiche nella politica dell’impresa.
È su questa base che si regge l’ipotesi politica dei falchi della Confindustria: si può pensare di rendere superfluo il sindacato perché i suoi punti di forza non coincidono più con i punti nevralgici del sistema organizzativo dell’impresa.
Per questo una contrattazione di tipo tradizionale non incide, non recupera potere, e finisce per essere solo residuale.
Qui c’è un limite che è di tutto il sindacato: il limite di un’azione prevalentemente difensiva, che non riesce ad intervenire nel vivo del processo di innovazione. Da un lato ci sono le spinte verso una linea di puro recupero salariale, con tutti i limiti che inevitabilmente condizionano una tale impostazione, limiti esterni determinati dai condizionamenti inflazionistici e limiti interni, perché anche sul terreno della politica salariale uno spazio crescente è stato conquistato dall’azione discrezionale delle imprese nel rapporto con le nuove figure professionali.
Dall’altro lato stanno le posizioni incentrate sui concetti di solidarietà e di redistribuzione del lavoro, che rischiano, se vengono assunte in modo assoluto, come linea strategica generale, di essere subalterne, in quanto intervengono solo sugli effetti sociali e non sulle strategie dell’impresa.
Di qui viene un dibattito spesso improduttivo e di basso profilo intorno all’ipotesi di uno scambio orario-salario, su una linea tutta difensiva che dà per scontato il ridimensionamento del ruolo del sindacato e la sua estromissione dai processi decisionali.
Cambiare contenuti e rappresentanza sociale.
Per superare questi limiti, occorre decisamente spostare il tiro, occorre una svolta politica che riguarda sia i contenuti dell’azione rivendicativa, sia anche, contestualmente, la capacità di rappresentanza sociale del sindacato. Questi due aspetti sono interconnessi, sono due facce della stessa questione.
Per il sindacato la capacità di rappresentanza è, ovviamente, una condizione preliminare.
In questi anni, mentre la composizione di classe si è profondamente modificata e si sono diffuse nuove figure professionali, il sindacato non ha rinnovato la sua base sociale.
Questo ritardo costituisce un impedimento politico che avrà, se non viene rimosso, effetti devastanti sul ruolo del sindacato.
La questione dei quadri e dei tecnici non è stata affrontata come nodo cruciale, come grande questione strategica, ma ci si è limitati a qualche parziale correttivo, abbandonando il rigido egualitarismo che si era affermato negli anni precedenti. Ma non si tratta solo di avere una politica salariale più differenziata. Si tratta di capire che nel nuovo sistema di impresa lo strato sociale dei quadri (progettisti, informatici, ricercatori, esperti di commercializzazione) si viene a collocare in una posizione centrale, e che pertanto i rapporti di forza dipendono oggi, in misura rilevantissima dal controllo che si ha su questa fascia di lavoratori.
Ciò è chiarissimo nella politica delle imprese, che al rapporto con i quadri hanno dedicato un’attenzione particolare, sottraendo il loro rapporto di lavoro alla contrattazione collettiva.
La questione dei quadri ha assunto un rilievo più generale, di carattere politico: siamo in presenza di un movimento dei quadri che ha assunto sue proprie forme organizzative, e che tende a darsi una propria autonoma identità collettiva, e su questo terreno si è aperta una complessa partita politica che vede impegnati tutti i partiti.
Con la possibile conclusione dell’iter legislativo della legge sui quadri, già approvata da uno dei rami del Parlamento, si porranno nuovi problemi.
La legge, a cui hanno dato un contributo positivo i partiti della sinistra, rinvia alla contrattazione collettiva la definizione concreta della figura del quadro nei diversi settori. Ciò apre uno spazio alla nostra iniziativa, ma nel contempo vi sarà anche il tentativo di passare più decisamente all’organizzazione di un sindacato autonomo dei quadri.
Forme specifiche di organizzazione per quadri e tecnici.
Per organizzare i quadri e i tecnici all’interno del sindacato, occorrerà trovare forme specifiche di organizzazione, e occorrerà soprattutto prendere atto con grande realismo del fatto che il mondo del lavoro è fortemente differenziato e non è riconducibile entro parametri comuni. Non può che cambiare è assumere forme nuove l’idea della unità di classe. Così, ad esempio, per contrastare la politica padronale verso i quadri, per bloccare la pratica degli aumenti di merito decisi in modo discrezionale, è necessario ripensare le forme dell’inquadramento, che sono troppo rigide e che non riescono più a rispecchiare la complessità di tutte le diverse figure professionali.
Tuttavia, l’approccio più fecondo non può essere quello della politica salariale, che pure dovrà essere profondamente corretta, ma può essere più efficacemente ricercato sui problemi dell’organizzazione dell’impresa: l’innovazione, i modelli organizzativi, la democratizzazione dei processi decisionali.
Contrattare l’innovazione: è questo oggi l’obiettivo centrale, il terreno di scontro dal cui esito dipenderanno gli assetti futuri.
Su questa questione il fronte imprenditoriale è diviso. Mentre i gruppi più rigidi del padronato sostengono con assoluta nettezza che l’innovazione non si contratta, d’altra parte con il protocollo sottoscritto con l’IRI si definisce un nuovo quadro di relazioni industriali il cui aspetto qualificante è appunto la possibilità di una contrattazione preventiva di tutti i processi di innovazione e di ristrutturazione.
E anche nel caso dell’IRI la partita è aperta, quanto a tensioni e resistenze, come dimostrano i casi della Sidalm e di altre aziende pubbliche. Veniamo così al cuore del problema. La contrattazione aziendale può essere effettivamente rilanciata e può essere un asse portante dell’azione del sindacato se riusciamo a creare alcune essenziali condizioni politiche: un rapporto organico con lo strato dei quadri e dei tecnici, un sistema rinnovato di relazioni industriali, una capacità più alta del sindacato di misurarsi con i problemi dell’impresa, della sua organizzazione, della sua efficienza.
In questa direzione ci muoviamo con troppa lentezza e con troppa sottovalutazione, vorrei sottolineare questo problema politico, tralasciando un esame più analitico dei diversi aspetti della contrattazione.
È indicativo l’atteggiamento diffuso di passività con cui la organizzazione sindacale ha accompagnato tutta la vicenda della trattativa e dell’accordo con l’IRI. ~ il segno di un’incomprensione politica, e ancor più di un disagio, di una difficoltà ad imboccare una strada nuova, che può essere produttiva solo a condizione che il sindacato sappia rinnovare e aggiornare i propri riferimenti culturali, il proprio stile di lavoro. Contrattare l’innovazione: con quali fini, con quali obiettivi? A me sembra che il criterio fondamentale sia quello che riguarda l’organizzazione del potere nell’impresa, la possibilità di dar vita a modelli organizzativi che valorizzino al massimo la partecipazione dei lavoratori, lo sviluppo della loro professionalità, della loro responsabilità nella gestione consapevole del processo produttivo. L’innovazione consente diversi modelli organizzativi: non c’è nulla di rigido, di predeterminato, di oggettivo. C’è invece, uno scontro politico sull’uso dell’innovazione, sugli obiettivi che con essa si intendono realizzare: obiettivi di umanizzazione del lavoro, o viceversa di più accentuato controllo e di più rigida subordinazione della forza-lavoro. Nella battaglia per una democratizzazione dell’impresa, per una nuova democrazia industriale, si può organizzare un vasto fronte sociale che si allarga ai tecnici, ai quadri, e anche ad alcuni settori della dirigenza. E d’altra parte ciò non è in conflitto con le esigenze di sviluppo dell’impresa, con le condizioni di efficienza che essa deve realizzare, perché nell’impresa moderna la efficienza non è separabile dal consenso, e i modelli di tipo autoritario basati su relazioni fortemente gerarchizzate e burocratiche sono alla lunga un freno, un ostacolo, una contraddizione che pesa negativamente sulla vita dell’impresa.
Collocare la contrattazione allivello delle scelte strategiche dell’impresa.
Per riassumere, la contrattazione aziendale può acquistare un senso nuovo, un valore più pregnante, se essa si colloca al livello delle scelte strategiche dell’impresa. E ‘questa una fuga in avanti, un’illusione? Si tratta naturalmente di valutare con realismo le diverse situazioni, e soprattutto di riuscire a tradurre in obiettivi rivendicativi concreti questa impostazione generale: obiettivi che riguardano la condizione di lavoro, la professionalità, la formazione, i diritti di informazione e di consultazione e naturalmente anche tutti gli aspetti che si riferiscono alla retribuzione.
L’essenziale è che ciascun obiettivo anche parziale si collochi dentro una visione d’insieme del processo produttivo, che sia un momento di un’iniziativa politica del sindacato che mira in alto, che insomma non si parta dalla convinzione rassegnata che ormai la partita è perduta e non resta altro che difendere quel poco che ancora è difendibile.
Mirare in alto significa, ad esempio, non accettare come un dato di fatto non modificabile tutto il fenomeno dei cosiddetti “slittamenti salariali” e, quindi porre il problema di un controllo, di una definizione di criteri oggettivi e contrattati con il sindacato.
E significa anche affrontare con determinazione il problema dell’orario di lavoro e della sua riduzione. Attraverso l’orario il sindacato può affrontare i problemi più generali di funzionamento dell’impresa: l’utilizzo degli impianti, i programmi produttivi, la flessibilità del lavoro. Il tema della riduzione dell’orario di lavoro non può essere assunto in un’ottica solo solidaristica, che pure è necessaria in determinate situazioni. È invece un tema che può essere collegato ai grandi nodi strategici, ai cambiamenti tecnologici necessari, alle esigenze di efficienza e di produttività delle imprese. La riduzione d’orario può avere anche effetti positivi sulla occupazione, ma con una relazione che non è meccanica, automatica.
Tralascio qui, volutamente, il tema dell’occupazione, che abbiamo trattato in altre recenti iniziative della CGIL. Lo tralascio perché non può esserci una risposta a questo obiettivo per noi prioritario in una dimensione limitata alle singole imprese, ma si richiede un programma organico di interventi politici.
Controllo dei processi innovativi, organizzazione del lavoro, nuove relazioni industriali, inquadramento, orario. Su questi temi si può sviluppare una contrattazione qualificata, incisiva, che restituisca al sindacato potere reale di controllo e di rappresentanza sociale.
Quale struttura sindacale in fabbrica?
Un’ultima questione: con quali strutture organizzative di fabbrica questi compiti possono essere affrontati.
I consigli di fabbrica vivono una fase di difficoltà, e molti aspetti del loro funzionamento possono essere modificati, riformati. Dovremo pur fare una discussione seria su questo problema.
Ma la prima, essenziale, condizione è quella di restituire ai consigli un potere reale di contrattazione. Se le strutture di base del sindacato sono in crisi, o esautorate, o aggirate da un clima di sospetto e di diffidenza, la contrattazione aziendale resta una chimera.
La riforma dei consigli va dunque impostata per rafforzare i consigli, per rilanciare il loro ruolo, e non già per decretare il loro fallimento.
Come funzionano i consigli? Come sono in grado di affrontare i problemi di cui abbiamo parlato? Come riescono ad essere rappresentativi dell’intero universo della forza-lavoro?
Ponendoci queste domande, possiamo individuare gli elementi di innovazione che sono necessari. Si tratta di mettere in grado le strutture sindacali di fabbrica di collocarsi sul terreno più avanzato che è oggi necessario, di fornire quindi un supporto di conoscenza tecnica e specialistica, di attrezzarli a lavorare in modo nuovo e più efficace. Ma questo, a ben guardare, è un problema generale di tutto il sindacato, a tutti i livelli. Deve elevarsi la qualità del nostro lavoro, e in questo quadro sempre più diventa essenziale costruire un rapporto organico di collaborazione con la cultura scientifica, con gli specialisti, con i ricercatori, con i tecnici.
E queste forze potranno essere interessate a lavorare con il sindacato, saranno disponibili ad un rapporto di confronto e di collaborazione, se i nostri obiettivi hanno un valore di ordine generale, se ci impegniamo sui grandi temi dello sviluppo, se vogliamo essere al centro dei processi oggi decisivi di trasformazione dell’apparato produttivo e dell’organizzazione sociale.
Busta: 1
Estremi cronologici: 1985, 24 aprile
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista e fogli battuti a macchina
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Vita Sindacale Lombarda”, bollettino a carattere interno, 18 giugno 1985