GIORNATA REGIONALE LOMBARDA DI STUDIO SUL PROBLEMA DEI CATTOLICI

Relazione del compagno Riccardo Terzi, della Direzione della FGCI

La situazione politica in cui ci muoviamo è segnata dall’impronta del Centro Sinistra, di questa operazione parlamentare che pone in termini nuovi il problema del rapporto fra movimento operaio marxista da una parte e mondo cattolico dall’altra. Non a caso quindi ci sentiamo oggi impegnati a definire in modo più approfondito e rigoroso i nostri rapporti con le organizzazioni e con lo stesso pensiero cattolico; questa nuova consapevolezza problematica nasce dalla considerazione di una realtà politica e sociale in movimento, che costringe tutti a superare vecchi schemi d’interpretazione, ad abbandonare pregiudizi e chiusure.

Solo un osservatore superficiale può vedere nella novità di questo nostro atteggiamento un segno di revisionismo; in realtà i problemi che noi solleviamo sono i problemi che il movimento storico fa emergere, e non elucubrazioni del nostro pensiero astratto. Il nostro campo d’indagine rimane quello della realtà storico-politica, senza deviazioni idealistiche. Se oggi diamo una nuova collocazione ai problemi dell’esperienza religiosa e dei suoi contenuti, ciò non significa che noi facciamo nostro l’angolo visuale proprio della religione, o che ci poniamo sul suo stesso terreno; ma che la religione va assumendo un posto originale all’interno della moderna società capitalistica.

Come per Marx il problema non era certo quello dell’esistenza di Dio ma della funzione storica della religione – e il marxismo è quindi cosa ben diversa dall’ateismo – così il problema che oggi noi ci poniamo e quello dell’azione che la religione esercita nei confronti dello sviluppo capitalistico.

Questa osservazione, abbastanza ovvia, serve comunque a fornire una importante indicazione di metodo, per cui non con la presunzione positivistica o con le banalità ateistiche possiamo liquidare il problema religioso, ma solo addentrandoci in una considerazione critica degli effettivi contenuti che la religione viene storicamente assumendo.

In questo senso quindi il nostro giudizio rimane sempre un giudizio aperto e modificabile, e appare chiara la necessità di non rimanere fermi a formule interpretative, legate ad una fase sorpassata dello sviluppo capitalistico.

Tornando al nostro punto di partenza, noi scorgiamo nel centro-sinistra, per altro così scarsamente dotato di elementi positivi, il merito almeno di aver suscitato, sia pure involontariamente, nuovi problemi, di aver mosso le diverse forze politiche nella direzione di una elaborazione più ricca ed organica.

Per vie traverse, si è venuto evidenziando il problema dello sviluppo da darsi alla società italiana, e del peso che in questo sviluppo debbono avere le forze marxiste.

Ma questa maturazione, che trae la sua origine dall’operazione politica in corso, tende a volgersi contro l’operazione stessa, mostrandone i limiti di fondo, la sostanziale ambiguità; in una parola, si sta prendendo coscienza che nel nostro paese esistono problemi che vanno ben al di là di quanto il centro sinistra sappia dire o fare, vi sono fratture e contraddizioni che nessuna operazione riformistica è in grado di sanare.

Tutto questo rischia però di essere generico, se non ci addentriamo in un esame dei contenuti e delle prospettive del centro sinistra.

A prima vista, può sembrare che l’elemento di novità che caratterizza il centro sinistra sia dato dall’incontro tra forze marxiste e cattoliche; qualunque giudizio si tragga poi da questo incontro.

In realtà invece, il centro sinistra è sì una forma di collaborazione fra un partito cattolico e un partito marxista, ma questo avviene non attraverso un reciproco approfondimento ed impegno ideologico, ma proprio sottovalutando le divergenze ideali e trovando un terreno comune di intesa solo sul piano delle cose concrete: ciò significa, per l’una e per l’altra parte, scivolare sulle facili vie dell’opportunismo e rinunciare a sanare la frattura politica e morale che divide il popolo italiano, limitandosi ad un accordo di vertice.

Ciò che caratterizza quindi il centro sinistra non è il fatto che forze marxista e cattoliche si trovino a collaborare, ma che, a prezzo di un impoverimento ideologico, si faccia strada la prospettiva di un nuovo tipo di sviluppo della società italiana, di cui i contenuti programmatici del centro sinistra sono i primi segni visibili.

È in questa direzione che va orientata la nostra a attenzione. Ormai, anche l’osservatore più superficiale o il teorico più dogmatico sono in grado di rilevare la presenza di fattori nuovi all’interno della moderna società capitalistica; e negare ogni valore e significato a questi fattori per riconfermare la immutata validità dei giudizi tradizionali; serve solo a non rispondere alle domande che la realtà nuova impone, serve solo a favorire l’opera apologetica dei teorici borghesi.

Di questi aspetti nuovi della società capitalistica, che pongono di fronte al movimento operaio problemi cruciali e decisivi, solo quelli che riconducono più direttamente al problema di fondo che stiamo considerando.

Le continue innovazioni tecnologiche e le stesse trasformazioni istituzionali hanno permesso ai capitalisti di dimostrare una vitalità e una capacità di evoluzione non prevedute.

Il passaggio graduale e inevitabile da un sistema concorrenziale a un’economia dominata dai monopoli, non ha interamente soffocato la spinta alle innovazione tecniche, anzi i monopoli sono in grado di assicurare una continuità della ricerca scientifica, sia pure in forma subordinata. Si è inoltre operata una distinzione fra proprietà e direzione del capitale, e si procede verso una sempre maggiore integrazione fra il capitale privato e il potere politico dello Stato: questo permette di sacrificare alcuni interessi immediati e corporativi, propri di alcuni gruppi, agli interessi generali del sistema, della classe nella sua totalità che si esprime attraverso una serie di mediazioni politiche. Valga l’esempio della nazionalizzazione dell’energia elettrica che, pur riducendo il margine di movimento di alcuni gruppi economici, assicura al sistema nel suo insieme uno strumento di primaria importanza, che, utilizzato in un certo modo, e cioè al servizio degli interessi a lunga scadenza del sistema, permette di operare una pianificazione capitalista, attenuando quindi i contrasti fra i diversi centri di potere economico, togliendo alcune contraddizioni, assicurando quindi al sistema una maggiore continuità e stabilità.

Naturalmente, le forze politiche borghesi, nel tracciare le linee del futuro sviluppo della società capitalista, non possono lasciare fuori dal quadro la presenza della classe operaia organizzata. E, di fronte al fallimento della politica tradizionale, fondata sulla repressione diretta e sulla lotta frontale, si va affermando un nuovo tipo di politica.

La classe borghese è oggi disposta a utilizzare quei margini di sicurezza che lo sviluppo produttivo le ha assicurato, per portare avanti una politica riformistica con la quale assorbire e snaturare certe rivendicazioni delle organizzazioni operaie. E mentre questo tentativo sottile di corruzione viene operato nei punti più avanzati dello sviluppo capitalistico, non vengono abbandonati i metodi tradizionali della politica antioperaia nelle zone arretrate, e si intensifica lo sfruttamento di certi settori della forza lavoro, quali la mano d’opera femminile e giovanile.

Il tentativo non è quindi quello dell’assorbimento totale, impossibile in una società che sta facendo solo i primi passi nella direzione del “benessere” capitalistico e dove è tutt’ora saldamente presente un’organizzazione di classe rivoluzionaria; ma e piuttosto il tentativo di introdurre una progressiva differenziazione nella classe operaia, per minarne l’unità, per indebolirne la coscienza rivoluzionaria.

La mano tesa al Partito Socialista non è altro che l’aspetto politico parlamentare di un disegno storico che ha ben altra portata e che ha, come obiettivo il definitivo consolidamento del sistema.

Questi brevi cenni ci danno sommariamente la misura delle novità intervenute nella società capitalistica e nelle sue forze politiche dominanti.

A questo punto, prima di passare a considerare le prospettive che ne derivano, s’impongono subito alcune osservazioni.

Le modifiche delle strutture della società capitalistica, a cui abbiamo accennato, non smentiscono il nostro giudizio sul capitalismo come società che si dibatte fra contraddizioni insolubili.

Il fatto anzi che si siano cercati nuovi strumenti di organizzazione della società, è il segno che quelle contraddizioni da noi indicate sono reali e operanti, tali da imporre una svolta di questo tipo, con la quale si cerca di spostare il terreno di lotta e di rimandare il momento della rottura dell’equilibrio del sistema.

Ma soprattutto va osservato che la strada intrapresa non è reversibile, come non lo sono in fondo, tutti i movimenti storici; viene in questo modo tracciata una linea di sviluppo che appare definitiva, che si presenta come l’ultimo terreno di lotta. In altre parole, è venuta maturando la logica del capitalismo in tutto il suo rigore, per cui appare sempre più chiaramente che dalle strutture del sistema deriva una sola prospettiva, ben definita e inequivocabile.

Il capitalismo è riuscito a liberarsi da certe sue strettoie al prezzo di rivelare più chiaramente i propri contenuti. Di fronte a questi contenuti, di fronte alla prospettiva ultima della società capitalistica, ciascuno è chiamato a prendere una posizione netta, a fare una scelta che sia di adesione o di rifiuto. Non c’è più posto per la neutralità, per una via di mezzo equilibratrice; i contrasti di classe precipitano, entrano nella loro fase decisiva, e con questo si arricchiscono, diventando contrasti fra valori morali antitetici.

È un fatto molto importante che questa necessità di scelta si imponga oggi al mondo cattolico, che deve per questo abbandonare quella posizione di comodo che, nella sua generalità ha finora assunto. L’atteggiamento dei cattolici verso la società borghese non è stato mai di completa adesione, e tanto meno di identificazione. Essi non hanno mancato di denunciare, a volte anche con vigore, gli abusi, gli squilibri più stridenti, le ingiustizie.

Questo però si presentava non come una critica al sistema, ma come critica dei suoi aspetti deteriori, delle sue storture, intese come superabili all’interno del sistema stesso.

In fondo, l’atteggiamento ufficiale della Chiesa Cattolica è sempre stato viziato da una notevole dose di praticismo empirico. Rinunciando in partenza a una critica rigorosa al sistema, la Chiesa non solo si è limitata a denunciare alcuni fenomeni marginali, ma generalmente non ha saputo dare altro che una spiegazione moralistica di questi fenomeni; se l’ingiustizia e l’egoismo appaiono come elementi non trascurabili nella società capitalistica, ciò si spiega con la mancanza di una vera fede cristiana.

Il sistema capitalistico si presenta, quindi, come un sistema sociale, non certo peggiore degli altri, che deve essere ulteriormente inverato dalla presenza vivificatrice della fede cristiana. Predicazione moralistica e indicazione di alcune riforme empiristiche, a questo si riduce, in ultima analisi, la dottrina sociale della Chiesa.

Questa posizione di comodo ha permesso una sostanziare adesione al sistema borghese, senza sentirsi complici delle sue storture e ingiustizie. Dietro i veli della superiore giustizia cristiana, si nascondeva pertanto una precisa volontà di conservazione. Per gli stessi cattolici più aperti e sensibili il problema non era quello di definire un’alternativa alla società borghese, ma di ritrovare all’interno di questa società una più viva presenza dei principi cristiani, di operare attivamente per affermare questi principi a tutti livelli della società.

Ma oggi questa ambiguità non è più permessa: il capitalismo esprime una sua ben definita gerarchia di valori, e bisogna stabilire se questi valori sono integrabili nel pensiero cristiano. Per parte nostra, diamo una risposta negativa.

Dobbiamo comunque esaminare ora quale sia la prospettiva che il capitalismo moderno indica e quali i valori che ne stanno alla base. Le innovazioni tecniche e istituzionali, a cui abbiamo in precedenza accennato, permettono al capitalismo di raggiungere un certo tipo di benessere, per lo meno nelle zone a più alto sviluppo industriale.

Se questo è un fatto indubitabile, dobbiamo però fin d’ora guardarci da quanto c’è di mistificato e illusorio nelle teorie del neocapitalismo. Il benessere del neo capitalismo non significa superamento dei contrasti di classe, soluzione delle contraddizioni, ma è solo una forma nuova in cui le contraddizioni del sistema si presentano; anzi, mentre vengono superati alcuni squilibri secondari, le contraddizioni di fondo subiscono un aggravamento: si accentua il contrasto tra città e campagna, fra zone ad alto sviluppo industriale e zone sottosviluppate, diventa sempre più acuta la contraddizione tra il carattere sociale della produzione e il carattere individuale della appropriazione, cioè lo sviluppo delle forze produttive trova un freno sempre maggiore nell’istituzione della proprietà privata.

Ma, in fondo, il discorso che interessa di più non è quello, sia pure esatto e necessario, che tende a dimostrare la validità dell’analisi marxista, secondo cui il capitalismo è caratterizzato da alcune contraddizioni non superabili se non con l’abolizione del sistema.

Quello che interesse di più è il “nuovo” che si presenta all’interno del sistema, è la linea di sviluppo che le forze politiche borghesi ci presentano e propongono. E di fronte a questa prospettiva di un benessere capitalistico il nostro compito non è tanto quello di dimostrare che questa prospettive è puramente illusoria, che in ultima analisi il capitalismo non può che rimanere se stesso, è invece quello di considerare questa prospettive in se stessa, di ricercarne i fondamenti, i contenuti essenziali, e di dimostrare come questa prospettive sia solo il trionfo totale della logica disumana del sistema, sia l’antitesi di una prospettiva di liberazione dell’uomo.

Nella società borghese, anche in quella più avanzata, la legge del profitto mantiene tutta la sua potenza. Le scelte economiche e politiche sono condizionate delle necessità di ottenere il maggior profitto possibile. Le programmazione capitalistica indubbiamente riduce quello che Marx chiamava “il carattere anarchico della produzione borghese”, ma non è certo in grado di operare un salto di qualità. Il sistema ha una sua logica, a cui non può sottrarsi: e questa logica impone delle scelte che non nascono sugli autentici bisogni degli uomini. La società borghese segue questa sua legge ferrea, senza che gli uomini possano intervenire. Il risultato non può essere che le deformazione dei valori umani, l’affermazione di una nuova scale di valori che ha il suo fondamento nella logica disumana del sistema, nel meccanismo della produzione.

La dimostrazione è davanti ai nostri occhi: lo sviluppo anormale di consumi secondari e inessenziali a cui si accompagna l’arretratezza delle strutture civili, la crisi della società e delle cultura, la carenza dei servizi sociali, l’involuzione delle strutture politiche, il progressivo svuotamento degli istituti tradizionali di democrazia.

I grandi monopoli, nel loro progressivo sviluppo penetrano sempre più a fondo nelle strutture della società civile, subordinano alle loro scelte, al loro profitto la società in tutte le sue dimensioni. Il parlamento non fa che sancire scelte che sono già in atto. La presenza massiccia dei monopoli, l’aggravamento del condizionamento materiale incidono anche sulle stesse strutture delle coscienze degli uomini. Gli uomini continuano a essere liberi formalmente; sono liberi di dire quello che pensano, ma quello che dicono non ha nessun peso perché la macchina della società procede indipendentemente dalla volontà dei singoli, e soprattutto perché qualcuno ha già deciso quello che devono pensare.

Inseriti come ingranaggi nel meccanismo della società, gli uomini fanno liberamente quello che la logica del sistema impone.

Il benessere capitalistico non è altro che la possibilità di soddisfare quei bisogni che il sistema artificialmente impone. L’autonomia delle scelte viene soffocata.

L’uso spregiudicato di una avanzata tecnica pubblicitaria impone agli uomini degli standard di vita, riducendoli gradualmente ad automi.

[……………………………………………………………………………………………………………….] delle facoltà creatrici dell’uomo, l’uomo si fa schiavo di ciò che egli stesso ha creato.

L’alienazione dell’operaio in fabbrica si traduce sempre più chiaramente nell’alienazione generale delle società; questo benessere viene duramente pagato con la più grave menomazione delle facoltà e della dignità umana.

Quel è dunque la scala di valori che il neocapitalismo ci propone? È la scala di valori più crudamente materialistica, nel senso volgare. Le esigenze della cultura, intesa in senso lato, come libera espressione dell’uomo, vengono conculcate e sottomesse ai bisogni della produzione in quanto tale.

La società capitalistica del benessere può essere quindi definita come la società disumanizzata.

Se questa nostra analisi tende peraltro a individuare non tanto una realtà già compiuta quanto invece una linea di tendenza operante, se questa analisi è giusta, appare chiaro che di fronte a questa prospettiva della disumanizzazione, delle società “reificata”, si pongono al movimento cattolico problemi non indifferenti.

Le società capitalistica, vista in prospettiva, non è più soltanto una società ingiusta, una società non cristiana, ma una società che tende ed esaltare certi suoi valori e contenuti che sono un vero e proprio ribaltamento dei valori cristiani.

Se finora dittatura della borghesia e religione cristiana potevano coesistere e addirittura fraternizzare, ora la società borghese è costretta a stringere le maglie della sua rete, a soffocare tutto quanto c’è di autonomo, quanto è estraneo alla sua logica spietata. La religione, se non soffocata totalmente, tende ad essere ridotta ad una serie di atti impersonali, di operazioni rituali: svuotata del suo contenuto più vivo, diventa il gesto di se stessa.

Quello che è in giaco non è più soltanto la coscienza del cristiano, ma l’esistenza stessa dei sentimenti cristiani, di cui la morale del successo rappresenta il rovesciamento più radicale.

Possiamo quindi fin d’ora giungere ad un importante risultato, definibile in sede teorica; data una certa linea di tendenza del capitalismo, ne deriva una posizione nuova della religione cristiana nella società moderna, che sempre più si trova in un rapporto di opposizione con la realtà insorgente, si trova a difendere valori che le sviluppo capitalistico tende invece a conculcare.

Da queste risultato teorico derivano immediatamente conseguenze importanti sul piano della lotta politica.

A me sembra di poter individuare due movimenti che procedono in direzione opposta: da una parte le forze democratiche piccolo borghesi, che hanno sostenuto finora una vivace polemica contro l’arretratezza delle strutture del nostro Paese, tendono sempre più ad essere integrate in una prospettiva neo-capitalistica. Esse non sono andate infatti oltre una concezione puramente formale della democrazia.

Dall’altra parte invece, nelle forze cattoliche va maturando un’opposizione alla linea neocapitalistica, non c’è più posto infatti per l’illusione di arricchire i contenuti della società borghese mediante una cresciuta presenza di valori cristiani.

Si tratta di movimenti tendenziali, che però impongono fin da questo momento una nuova elaborazione della nostra politica delle alleanze. Si indeboliscono necessariamente i nostri rapporti unitari con lo schieramento dei partiti laici democratici, e si pone il problema di una unità nuova col mondo cattolico.

Gli stessi contenuti politici intorno a cui si costruiscono le alleanze devono necessariamente mutare.

Oggi, l’avversario decisivo non è più rappresentato dal blocco agrario industriale, tendenzialmente fascista, ma dal moderno capitale monopolistico, da una borghesia capace di assorbire, deformandole, alcune rivendicazioni del movimento operaio.

Certe nostre linee di lotta perdono pertanto il loro valore di rottura: rimanere fermi a quella linea programmatica, che fu nostra nel periodo del centrismo reazionario, significherebbe condannarsi a una posizione subalterna, favorire il disegno riformistico-conservatore della borghesia.

La maturazione del capitalismo pone sempre più in primo piano il problema dei contenuti, pone all’ordine del giorno il problema della alternativa socialista.

Con questa impostazione, l’arco dell’alleanza subisce una netta modifica: non segue più in modo meccanico lo schieramento dei partiti politici, estendendosi, attraverso al Partito Socialista, alle forze intermedie e giungendo ad alcune forze cattoliche, come punto terminale di uno schieramento di sinistra unitaria.

Il Partito Socialista non è più la necessaria forza mediatrice, attraverso cui passano le nostre alleanze ma è una delle tante forze a cui ci rivolgiamo, una componente sia pure importante di un nuovo schieramento unitario.

Le nostre alleanze che vanno saldamente puntate su una base di classe, trovano nell’incontro del mondo cattolico un loro momento decisivo.

Quando parliamo di dialogo coi cattolici non intendiamo invitare in modo generico alla discussione ed alla apertura; intendiamo invece indicare una precisa linea direttiva, come componente essenziale della nostra strategia rivoluzionaria.

Con questo facciamo un notevole passo in avanti rispetto alle formulazioni del passato, in cui si parlava sì di incontro col mondo cattolico ma senza attribuirgli un significato di scelta storica decisiva.

Credo sia bene liberare subito il nostro discorso da alcuni possibili equivoci, che ne deformerebbero il significato. Anzitutto dialogo con i cattolici non può significare minimamente ricerca di un compromesso ideologico. Noi, in quanto marxisti, diamo un certo giudizio del fatto religioso e ci muoviamo su un terreno di ricerca ben diverso da quello della religione.

Mi propongo di tornare più avanti sul problema “ideologico” delle divergenze fra concezione religiosa e concezione marxista: fin d’ora comunque va precisato che nella ricerca di un rapporto unitario dei cattolici intendiamo mantenere ben distinte le rispettive concezioni ideologiche: anche se questo, ovviamente, non significa rinunciare al dibattito ideale.

A chi ci rinfaccia il giudizio che Marx e Lenin hanno dato della religione, rispondiamo nel modo più semplice: che accettiamo pienamente il loro giudizio.

 

La divergenza ideologica, che va tenuta sempre presente, non può impedire una alleanza politica.

Se da una parte intendiamo quindi evitare ogni settarismo ideologico, è però d’altra parte che non è affatto nostra intenzione fare una artificiosa divisione fra politica e ideologia.

Noi crediamo nella necessità del dialogo coi cattolici, non già perché riteniamo che le divergenze ideologiche non contino, che in politica sia sufficiente trovarsi d’accordo nei “fatti”; siamo anzi ben consapevoli della stretta convenienza esistente fra la politica e le ideologie e respingiamo con forza ogni tendenza al qualunquismo filosofico.

La filosofia della prassi di cui parla Gramsci, è ben diversa dal dogmatismo deteriore, dell’empirismo spicciolo: è invece l’affermazione del nesso inscindibile che esiste tra teoria e prassi, dal valore pratico e operativo di ogni teoria: ciò significa anche che ogni azione pratica deve poter trovare un proprio fondamento teorico. La nostra linea si contrappone quindi nettamente e quella dell’opportunismo riformistico, secondo cui ciò che conta sono le cose concrete che si fanno, e su queste sarebbe sempre possibile trovare un accordo, una via di compromesso.

È questa una grave rinuncia ideologica, che svuoterebbe la nostra linea politica di ogni contenuto, che ci impedirebbe di porci il problema di una alternativa al sistema borghese, e ci condannerebbe ad assumere una posizione subordinata.

È questo oggi, effettivamente, il pericolo più serio; di fronte ad esso noi affermiamo con decisione che la lotta per il socialismo non può non essere anche una battaglia ideale.

Da questo punto di vista, non possiamo mancare di polemizzare col Partito Socialista, che teorizza la “politica delle cose” e si avvia chiaramente verso le posizioni tradizionali dell’opportunismo di destra.

Anche i socialisti hanno cercato, a loro modo, un incontro nel mondo cattolico.

Ma questo non solo è stato un incontro al vertice ma è stato possibile proprio perché si è rinunciato ad affrontare il problema ideologico della religione, perché si sono messe tra parentesi le divergenze sui principi, e si è cercato il facile accordo sulla cose, approdando alla più piatta politica riformistica.

Con queste loro manovre i socialisti hanno finito per favorire il prevalere dell’opportunismo fra gli stessi cattolici.

Non è quindi un caso che il dialogo dei socialisti si svolge con la destra cattolica, meno sensibile certo al problema del rapporto fra valori cristiani e sistema capitalistico e non è certo un caso che da questo compromesso, che da questa combinazione parlamentare emerge non già una svolta democratica ricca di nuovi contenuti, ma quella prospettiva neocapitalistica su cui ci siamo soffermati, una prospettiva quindi che rischia di svuotare la vita politica culturale italiana di ogni contenuto umano.

Un altro equivoco spesso sorge in proposito ed è presente soprattutto in certi settori della base del nostro partito.

Si tratta di un residuo di settarismo, che a mio avviso, va combattuto [……………..]

 

È necessario chiarire che il dialogo coi cattolici non può essere inteso come un’ambigua manovra tattica, come un’alleanza transitoria e ipocrita da usarsi per fini elettorali.

Da questa forma di settarismo deriva tutto una concezione strumentale della via italiana al socialismo: le alleanze che tentiamo di costruire sarebbero non già una prefigurazione della futura società socialista, ma un puro “mezzo” per conquistare il potere. Dopo la conquista del potere – questo deus ex machina così caro all’estremismo infantile – sarebbe nostro compito spezzare la schiena agli avversari di ogni tipo, distruggere ogni forma di resistenza. Di fronte a queste deformazioni è necessario affermare con chiarezza che non c’è nessuna differenza fra quanto diciamo e quanto intendiamo effettivamente fare, che non vogliano affatto servirci dell’arma a doppio taglio dell’ipocrisia, che ingannare gli altri vuol dire in qualche modo ingannare noi stessi.

La via italiana al socialismo non è una tattica machiavellica, ma è la ricerca di un blocco di forze, che possa diventare la forza dirigente nella costruzione della società socialista.

Se pertanto noi intendiamo portare avanti un dialogo con il mondo cattolico, ciò significa che noi riteniamo possibile una valida partecipazione dei cattolici al processo di edificazione del socialismo, che intendiamo assicurare ai cattolici una loro autonoma presenza nella società futura, proprio in quanto cattolici.

So bene che questo discorso può suscitare delle incomprensioni; ma non possiamo accettare che l’unità tra il vertice e la base sia solo fittizia ed illusoria.

Sgombrato il campo dagli orrori dell’opportunismo e dello strumentalismo settario, dobbiamo cercare quali siano i fondamenti della linea che indichiamo; quali le giustificazioni teoriche.

Non può essere certo la considerazione semplicistica che i cattolici sono la forza dominante nel nostro paese, e che quindi, in un nodo o nell’altro, bisogna pur cercare una forma di incontro.

Non abbiano certo paura di combattere contro la maggioranza: l’abbiano fatto, con estremo rigore, contro i fascisti, in condizioni ben più difficili.

Accettare i compromessi con la maggioranza, solo perché maggioranza, è questo un’altra forma di opportunismo.

Del dialogo con i cattolici siamo finora riusciti a dire solo quello che non è. Ci manca la cosa più importante: definire esattamente quello che deve essere.

E dobbiamo subito dire che non è compito facile: dobbiamo infatti definirlo ad un livello ideologico, per non finire nelle secche dell’opportunismo proprio mentre abbiamo riconfermato l’irriducibilità delle divergenze ideologiche, la non componibilità del contrasto.

Dico subito che, a mio avviso, c’è un solo modo possibile per giustificare una politica di alleanza con i cattolici: e consiste nel riconoscere alla religione cattolica un suo contenuto di verità, nel riconoscere una validità storica di certi suoi valori. Ogni altro tentativo di spiegazione, per quanto accorto sia, andrebbe a finire vicino alle posizioni dell’opportunismo […].

 

Con questo entriamo nella parte meno facile di questa mia introduzione, perché vengono sollevate gravi questioni ideologiche, nelle quali d’altra parte ritengo necessario tentare un chiarimento.

Come si può conciliare il riconoscimento di valori impliciti nella stessa ideologia cattolica, il giudizio negativo del fenomeno religioso in quanto tale?

Per rispondere a questa domanda è necessario precisare il senso del giudizio che noi diamo sulla religione.

Ho già detto che il marxismo è cosa ben diversa dall’ateismo. Anche questa affermazione può stupire, e va precisata. La polemica di Marx è contro ogni forma di idealismo e di metafisica: contro quelle posizioni cioè che tendono a spiegare la realtà storica con qualcosa che è al di sopra della storia, di spiegare un mondo reale con un mondo immaginario.

La metafisica, mentre pretende di ergersi a spiegazioni supreme di tutte le cose, è in realtà rinuncia a una qualsiasi spiegazione reale. Non esistono altri problemi che quelli che la storia reale ci pone, nella nostra esistenza concreta; e non esistono risposte che non siano quelle verificate storicamente.

Al di fuori della storia degli uomini, esistono solo pseudo-problemi, costruzioni della fantasia nelle quali l’uomo si estranea da se stesso.

Il marxismo può essere quindi definito come storicismo integrale, come umanesimo assoluto, e cioè affermazione dell’uomo e della sua storia.

Date queste premesse, come può essere considerato, da un punto di vista marxista, il problema di Dio? Come un problema che non si pone, che non ha senso, perché esce dalla storia degli uomini perché problema “metafisico”.

L’ateismo, invece si pone il problema di Dio, per dare una risposta che, sul piano metafisico, è sbagliata. Se il problema di Dio ha senso, Dio non può essere negato; ma si tratta di uscire dal circolo vizioso del problema, per porsi da un diverso angolo visuale.

A questo proposito voglio citare un brano illuminante di Marx, tratto dai manoscritti economico-filosofici del ‘44. Di fronte alla domanda di chi abbia generato il primo uomo e in generale la natura, Marx osserva:

«La tua domanda è essa stessa un prodotto dell’astrazione. Domandati come hai fatto ad arrivare a questa domanda; domandati se la tua domanda non proceda da un punto di vista, a cui non posso rispondere perché assurdo. Domandati se quel progresso esista come tale per un pensiero razionale. Quando tu ti poni la domanda intorno alla creazione della natura e dell’uomo, fai astrazione dall’uomo e dalla natura. Tu li poni come non esistenti, eppure vuoi che te li provi esistenti. Ed io ora ti dico: se rinunci alla tua astrazione devi rinunciare pure alla tua domanda; se vuoi invece rinunciare alla tua astrazione, devi essere conseguente, e se tu pensando l’uomo e la natura come non esistenti, pensi, allora pensi come non esistente anche te stesso, perché tu stesso sei natura e uomo.»

Marx quindi polemizza con la religione, non scendendo sul suo stesso terreno, ma capovolgendo il punto di vista. E se ci poniamo dal punto di vista dello storicismo integrale, la religione può essere valutata solo come fenomeno storico; e come tale va giudicata come una forma di alienazione, perché estrania l’uomo dai suoi problemi e ne rimanda la soluzione in un futuro immaginario.

Questo giudizio rimane il nostro giudizio. Ma nelle religioni storicamente esistenti dobbiamo distinguere due componenti: la forma mistificata, in cui si esprimono, in quanto religioni, e i contenuti che affermano. Il nostro giudizio negativo riguarda la forma mistificata, non necessariamente i contenuti.

È cioè possibile che una religione sia apportatrice di istanze storicamente valide, per quanto esse siano deviate dalla forma religiosa attraverso cui si esprimono.

Con queste premesse credo di aver risposto alla domanda che ci avevano posto: come cioè sia possibile far coesistere un rifiuto della religione in quanto tale e il riconoscimento di un contenuto di verità alla religione cristiana. Da tutto quanto abbiamo fin qui detto, appare chiaro che non sono nostre le volgarità anticlericali o i falsi miti del positivismo.

Il nostro materialismo non può essere inteso come riduzione della realtà a materia – cioè come materialismo metafisico – ma solo come interpretazione della storia sulla base dei rapporti di produzione: materialismo storico dunque.

Il nostro modo di porci in rapporto con la religione non è una semplice negazione: la religione rimane comunque un modo di esprimersi degli uomini, sia pure in forma alienata; e l’uomo alienato rimane tuttavia un uomo.

Tolta la scorza idealistica della religione ne possiamo trovare quindi istanze valide, bisogni reali: si tratta solo di renderli storicamente operanti.

 

Riportando il nostro discorso alla religione cattolica, sarebbe quindi necessario compiere un esame dettagliato dei contenuti che essa afferma. Queste compito, ovviamente, non ce lo possiamo assumere in questa sede. Ci basta cogliere le linee essenziali del problema.

Anzitutto una precisazione di metodo: la religione cattolica così come ci si presenta, non può essere considerata come un tutto unico indifferenziato, ma essa è il frutto di una serie di stratificazioni storiche successive, e nel suo interno vanno distinte polarità diverse, accentuazioni diverse.

Questo ci permette di compiere una valutazione articolata dei contenuti del cattolicesimo, facendo coesistere giudizi positivi e negativi.

Il riconoscimento di un contenuto di verità va quindi inteso entro limiti ben definiti, e non va separato da una chiara polemica centro certe componenti della morale cristiana.

Ma non possiamo negare che, pur attraverso le degenerazioni di questa morale, ora formalistica ed ipocrita, ascetica e mistica, alla base si ritrovi una valutazione positiva dell’uomo.

Il riconoscimento di valori positivi all’uomo in quanto persona, l’affermazione dell’uguaglianza di tutti gli uomini in quanto dotati di una stessa dignità, sono affermazioni teoriche importanti, da cui derivano le condanne dell’egoismo e l’aspirazione alla giustizia.

Di fronte a questo, che a mio avviso è il nocciolo positivo della religione cattolica, da una parte va notato come esso sia stato continuamente deviato e frenato dalla forma religiosa, per cui l’uguaglianza degli uomini diviene pura predicazione morale, e l’aspirazione alla giustizia si sposta sul piano della vita oltremondana; dall’altra parte si tratta di compiere un’azione di stimolo per rendere questi valori storicamente operanti, per sottrarli alla mistificazione religiosa e proiettarli in una dimensione umana.

Oggi d’altra parte il mondo cattolico è più che disposto ad esercitare una funzione storica, ed è quindi costretto a porsi dei problemi di coerenza morale; i cattolici impegnati politicamente non possono evitare di prendere posizione di fronte alle prospettiva che la società capitalistica ci presenta.

È intorno a questi temi, sul problema dell’alienazione capitalistica, sulla disumanizzazione della società ridotta ad essere le scheletro di se stessa, sulla compressione dell’autonomia dell’uomo, è su questo che il nostro discorso deve essere portato avanti con energia e chiarezza.

Se è vero che alla base del Cristianesimo stia una valutazione positiva dell’uomo, un cattolico coerente coi propri principi non può moralmente accettare non solo lo sfruttamento e l’ingiustizia, propri della società capitalistica, ma anche quella prospettiva neocapitalistica che rappresenta l’umiliazione dell’uomo e delle sue facoltà creatrici, la subordinazione dell’uomo e della sua libertà al meccanismo della produzione.

Una società di questo tipo, come abbiamo già detto, finisce per esercitare un’azione repressiva anche nei confronti del sentimento religioso più autentico, o per lo meno tende a deformare completamente il significato originario.

Crediamo pertanto giusto individuare nel cattolicesimo una nascosta componente anticapitalistica, destinata a mio avviso a emergere con sempre maggior chiarezza, con lo sviluppo della società capitalista. Sono queste considerazioni teoriche che ci aiuteranno a indicare nel dialogo col movimento cattolico una linea decisa della nostra azione politica e culturale.

E questo incontro, fondato nella analisi dei problemi di fondo che lo sviluppo capitalistico solleva, non si riduce a un compromesso opportunistico. L’alleanza che indichiamo tende anzi a costruirsi intorno a dei contenuti ideali ben definiti; e crediamo pertanto che il reciproco impegno ideologico sia la garanzia e il presupposto di una necessaria chiarificazione.

Non ci accostiamo ai cattolici con lo scopo nascosto di corromperne le convinzioni, non abbiamo nessuna ipocrisia. Il nostro discorso unitario parte dall’analisi teorica della stessa ideologia cattolica, e ai cattolici chiediamo soltanto una maggiore consapevolezza ideologica, chiediamo di prendere posizione di fronte ai problemi del mondo contemporaneo, partendo dai principi della loro stessa ideologia.

In una parola, ci rivolgiamo ai cattolici non malgrado siano cattolici, ma perché sono cattolici, perché crediamo che il loro essere cattolici li porti a ricercare un’alternativa allo sviluppo capitalistico.

Questo incontro, d’altra parte, non può mancare di essere anche uno scontro. Se ci accomuna una concezione positiva dell’uomo e l’aspirazione ad una esaltazione dei valori umani, esiste un dissidio nel problema dei fondamenti di questi valori.

Quelli che per i cattolici sono i valori eterni della persona, derivati all’uomo dalla grazia divina, sono per noi valori sorti storicamente, fondati all’uomo stesso con la sua azione e le sue lotte: e oggi è il proletariato il difensore di questi valori, l’erede di quanto c’è di più valido nella storia degli uomini.

Si tratta quindi di un’alleanza politica, che implica anche una lotta ideologica.

Visti i possibili fondamenti di questa alleanza, si tratta ora di definirne la prospettiva.

 

Siamo arrivati finora alla conclusione che per il mondo cattolico si pone il problema di una alternativa al sistema capitalistico: ma dobbiamo ancora vedere se questa alternativa può essere l’alternativa socialista.

La risposta è semplice e quasi brutale: l’unica alternativa che ci è storicamente presentata è quella del socialismo; se ce n’è un’altra trovatela. Questa risposta è molto meno superficiale di quanto sembri: un’analisi anche sommaria delle strutture del capitalismo ci mostra come non sia possibile superare gli attuali rapporti di produzione, senza realizzare delle misure socialiste.

Se accettiamo la definizione di Marx, per cui «il comunismo è il movimento reale che stabilisce lo stato di cose presente» allora il fatto stesso di voler superare le strutture capitalistiche è oggettivamente aspirazione al comunismo.

Il socialismo non è una teoria astratta di una società ideale, definita in tutti i suoi particolari, ma si articola in modo diverso a seconda delle diverse condizioni storiche. Ed è d’altra parte inevitabile che tutte le società socialiste abbiano caratteristiche comuni. È, ad esempio, evidente che non è possibile capovolgere il sistema borghese, senza abolirne l’essenza, e cioè la proprietà privata senza instaurare una proprietà collettiva socialista.

Il problema quindi della possibilità di più alternative ci appare come un problema fittizio: chi vuole abbattere il capitalismo non può che essere con noi, almeno che non abbia la strana idea di restaurare il feudalesimo.

I cattolici però hanno finora sostenuto il diritto naturale dell’uomo alla proprietà privata. Questo argomento anche se è sempre stato usato a favore del capitalismo, visto più attentamente ci porta in un’altra direzione. Diritto naturale significa diritto di tutti gli uomini in quanto tali: una società, quindi, per rispettare questo diritto deve poter assicurare a tutti la possibilità della proprietà.

Non si può certo dire questo della società borghese, dove la proprietà dei pochi è possibile in virtù della mancanza di proprietà dei molti. La soluzione sembrerebbe trovarsi in una società in cui la piccola proprietà abbia il massimo di estensione; ma è questa una soluzione reazionaria ed assurda, perché oggi lo sviluppo delle forze produttive richiede una concentrazione degli strumenti di produzione. Non potendo tornare indietro e dovendo tener conto delle moderne esigenze della produzione, appare allora evidente come l’unico modo per assicurare a tutti la proprietà sia quello di instaurare una proprietà collettiva.

Paradossalmente il diritto alla proprietà si difende con l’abolizione della proprietà: è appunto il comunismo che assicura a tutti la possibilità di usufruire nella stessa misura dei beni della società.

I problemi più importanti però, a mio avviso, sono altri. È anzitutto il problema del posto che va riservato ai cattolici del processo di edificazione del socialismo, e quindi del tipo di socialismo che intendiamo costruire.

A questo proposito, lo sforzo di elaborazione del nostro partito è proceduto molto in avanti.

Nelle nostre tesi si teorizza chiaramente la possibilità che in una società socialista esista una pluralità di partiti, con diverse posizioni ideologiche, che possa esserci posto anche per un dissenso organizzato.

Dittatura del proletariato vuol dire soltanto potere della classe operaia, e come la borghesia può mantenere il proprio potere mediante le forme della democrazia parlamentare, niente impedisce al proletariato di esercitare il proprio potere, e quindi la propria dittatura sulle vecchie classi borghesi, con gli strumenti della più larga democrazia. Sarà, in ultima analisi, la resistenza delle classi sconfitte a decidere le forme con cui il potere dovrà essere mantenuto. Niente quindi ci impedisce di pensare a un partito cattolico in una società socialista.

Altrettante garanzie noi abbiamo avanzato per quanto riguarda la libertà religiosa.

C’è però un problema più profondo che va al di là delle semplici garanzie democratiche.

Quale può essere il posto e la funzione della religione in una società socialista?

Il problema che si pone un cattolico non è solo quello della libertà: una società che sia democraticamente tollerante nei confronti della religione e che sia egemonizzata dalle forze marxiste, non è certo l’ideale a cui egli aspira.

L’ideale invece è quello di una società cristiana.

Effettivamente i cattolici si trovano di fronte a una alternativa curiosa: da una parte una società, quella borghese, che assicura alla religione tutti gli onori esteriori e che però nella sua realtà concreta è l’espansione più gretta del materialismo, è il capovolgimento dei valor cristiani, una società che si proclama libera e che minaccia la purezza della religione, riducendola ad essere strumento di potere e di discriminazione legandola ad interessi che dovrebbero essere estranei.

Dall’altra parte una società, quella socialista, che soddisfa certe esigenze morali proprie anche dei cristiani, che libera la religione dagli interessi di parte, permettendole di riconquistare la sua purezza originaria, una società però alla cui edificazione sono impegnate innanzitutto le forze marxiste, che non hanno mai fatto mistero delle loro opinioni sulla religione.

Come possiamo risolvere noi il problema dei cattolici? Non certo diventando religiosi, non teorizzando il compromesso di una società socialista-cristiana.

Marx ha avanzato l’ipotesi che la religione sia una forma di alienazione, legata a una fase storica in cui non si è ancora realizzata la liberazione degli uomini.

La società comunista, che attua questa liberazione e abolisce l’alienazione, dovrebbe significare anche la fine della religione. È questa un’ipotesi, che deve essere verificata storicamente.

Se, come sostengono i cattolici, la religione ha un valore assoluto, è una categoria ineliminabile dello spirito umano, non sarà certo il comunismo ad abolirla, ma potrà trovare nella società comunista la sua più giusta collocazione; se invece è giusta la nostra ipotesi, una volta liberati gli uomini dall’alienazione, non avremo certo bisogno della violenza per far deperire la religione.

Noi chiediamo ai cattolici la prova della storia; se la religione ha, in quanto religione, un suo contenuto di verità, continuerà ad essere storicamente operante, se avrà qualcosa da dire anche agli uomini liberi della società comunista lo dirà. Se dovrà invece morire, morirà di morte naturale.

Questa reciproca sfida mi sembra l’unica forma di coesistenza possibile in una società socialista.

Va inoltre osservato che noi assicuriamo ai cattolici non solo la possibilità di essere una delle forze decisive nella lotta per il socialismo, ma anche la possibilità di essere parte attiva all’interno dello stesso partito comunista. Secondo il nostro statuto possono iscriversi al PCI tutti i cittadini che, indipendentemente dalla fede religiosa e dalle convinzioni filosofiche, accettino il programma politico del partito, di un partito che pone alla propria base i fondamenti del marxismo-leninismo.

La schematica formulazione dello Statuto nasconde problemi complessi, che forse non era possibile realizzare in un semplice Statuto.

“Indipendentemente delle convinzioni filosofiche” appare comunque piuttosto ambiguo. Saremmo forse disposti ad accettare nelle file nel nostro partito un seguace di Nietzsche e di Gentile? Si tratta ovviamente di un’indipendenza piuttosto relativa.

Se è vero che non si richiede agli iscritti un atto di fede sui testi di Marx, è vero anche che essere comunisti significa anche essere, in una certa misura, marxisti.

La condizione necessaria, a mio avviso, non è tanto l’accettazione della linea politica del partito, rispetto alla quale è possibile anche una certa forma di dissenso, che è soggetto a variazioni, quanto invece l’accettazione dell’angolo visuale classista, proprio del marxismo, e soprattutto il riconoscimento della validità dell’esperienza statica che ha nel marxismo la sua origine teorica.

Sono queste condizioni che possono porsi anche per un cattolico: il quale non avrà la medesima concezione filosofica della storia, ma, pur su basi teoriche diverse, può aderire moralmente alla lotta di emancipazione del proletariato. Questi problemi, relativi alla presenza nel nostro partito di non-marxisti, vanno studiati e precisati.

L’attuale formulazione dello Statuto appare poco chiara: la coesistenza di una “indifferenza filosofica” e di una base ideologica marxista-leninista rischia di essere strumentale. Bisogna invece precisare in quale misura e in che senso lo stesso partito della classe operaia è marxista, e richiede su questa base l’adesione.

Questo ci permetterebbe di valorizzare meglio la presenza di comunisti non-marxisti, dei comunisti cattolici ad esempio, e di chiarire il posto che a loro spetta nel Partito.

Questa rimane comunque, mi sembra, una collaborazione di tipo speciale; in generale invece il dialogo con i cattolici potrà portare a una collaborazione fra noi e la organizzazione autonoma dei cattolici.

Riconosco facilmente che l’analisi finora condotta è stata puramente teorica, e che ora si tratta di verificarne praticamente la validità. D’altra parte noi operiamo sulla individuazione di linee di tendenza, e non possiamo avere la pretesa di provare una conferma immediata.

Ci basta qui esaminare brevemente alcune posizioni nuove emergenti nel mondo dei cattolici, e dare delle indicazioni per quanto riguarda la concreta lotta politica.

Anzitutto, un’importante precisazione di metodo; conducendo un’analisi al livello teorico, abbiamo potuto parlare del mondo cattolico senza introdurvi delle distinzioni, come si trattasse di un tutto omogeneo; ma passando alla concretezza della lotta politica, queste distinzioni vanno poste.

La prospettiva del dialogo con i cattolici non ci impedisce di giudicare il partito della Democrazia Cristiana come il partito che rappresenta gli interessi generali della classe borghese, e che tende a porsi come forza egemone di un nuovo blocco di potere capitalistico.

In questo partito la mediazione delle ideologie cristiane finisce per essere irrilevante e strumentale: è anzi un partito che tende a diventare sempre più laico e sempre più schiettamente politico.

Il mondo cattolico non si identifica con la Democrazia Cristiana, ma è qualcosa di più e di diverso: esso comprende larghi strati popolari le cui esigenze di giustizia non vengono colte dal partito cattolico, ma sistematicamente frenate deformate.

Non possiamo certo dimenticare come la classe dirigente, attraverso la DC, abbia compiuto un’abile utilizzazione strumentale del sentimento religioso; come troppi siano ancora coloro che non sanno distinguere la convinzione religiosa dai doveri politici.

Cercare un dialogo con i cattolici significa quindi combattere la Democrazia Cristiana, smascherare questa sua manovra ipocrita, ed esaltare quei contenuti che finora sono rimasti frenati e che possono costituire la base per una comune alternativa all’alienazione capitalistica.

Una reale svolta a sinistra passa quindi necessariamente attraverso una rottura all’attuale equilibrio politico interno alla DC, attraverso una crisi dell’attuale maggioranza.

Con attenzione vanno seguite le posizioni della sinistra democristiana e del movimento giovanile; ma queste forze, dopo il Congresso di Napoli, hanno finito per assumere una funzione del tutto subalterna, limitandosi a sostenere con più decisione l’operazione politica in corso, voluta e guidata dai moro-dorotei.

Diversa è la problematica che porta avanti la Chiesa nella sue posizioni ufficiali; anche qui, e più che nel partito cattolico, è possibile riscontrare un processo di rinnovamento. L’inizio di questo processo non lo troverei nella Mater et Magistra, che è solo una conferma di una politica sociale tradizionale e che di positivo ha soltanto la denuncia morale del colonialismo, quanto invece nelle ultime posizioni emerse durante il concilio.

Mentre la Mater et Magistra rappresentava la ricerca di un’armonia sociale, con gli strumenti tradizionali del paternalismo, e significava quasi l’adesione della Chiesa a certe teorie neo-capitalistiche, velata dal mito della conciliazione delle classi, dal Concilio è emerso invece la volontà della Chiesa di non legarsi ad interessi temporali, di esercitare su altri piani il suo magistero spirituale, di farsi interprete di esigenze universali.

Noi non chiediamo certo alla Chiesa una indifferenza per i grandi problemi politici, non chiediamo una netta separazione fra religione e politica. Siamo anzi consapevoli del fatto che la religione può trovare un senso nel mondo moderno solo se è in grado di dare una risposte ai problemi che oggi gli uomini si pongono, solo se può diventare un fatto culturale vitale. Ma la mediazione fra i fini universali che la Chiesa, in quanto tale, si pone, e i problemi storico-politici non può risolversi in un diretto impegno politico della Chiesa, la mediazione deve essere più larga. Oggi la Chiesa si rifiuta di identificarsi con l’Occidente capitalistico, con interessi di parte, e rivolge a tutto il mondo un suo appello morale, che è soprattutto un appello alla pace.

Questo è, a mio avviso, un fatto positivo, che apre la prospettiva di rapporti diversi fra la Chiesa e i movimenti comunisti, sulla base di una precisa definizione del proprio ambito di azione. Il mondo cattolico non si esaurisce però nelle dichiarazioni ufficiali della Chiesa: ai cattolici singoli si richiede quell’impegno politico preciso, particolare a cui la Chiesa può sottrarsi. Esiste quindi la possibilità di un rapporto dialettico fra la Chiesa e i cattolici, che non devono sempre aspettare la parola ufficiale della Chiesa, ma possono anzi anticipare esperienze nuove.

Se vogliamo quindi dare un giudizio sugli orientamenti dei cattolici oggi, dobbiamo tenere presente il quadro del mondo cattolico in tutta la sua complessità; e ne esce un giudizio difficile e contraddittorio.

L’egemonia tuttora esercitata del partito della Democrazia Cristiana, la presenza ancora salda di posizioni reazionarie e integraliste, soprattutto in certi settori del clero, la debolezza e l’incertezza dei gruppi di sinistra, la suggestione esercitata su certi gruppi di intellettuali dalle teorie neocapitalistiche, l’inerzia delle masse cattoliche; sono questi elementi che devono essere presenti nel nostro quadro complessivo e che mostrano le difficoltà grandi che abbiamo di fronte.

L’individuazione di una linea di tendenza non può farci dimenticare quanto ancora esista di arretrato, di prettamente clericale, non può farci rinunciare alla polemica là dove è necessaria. Ma nello stesso tempo dobbiamo operare per far maturare quelle condizioni nuove teoricamente individuate: la mancanza di una nostra azione di stimolo, di un impegno costante in questa direzione, non farebbe che ritardare quel processo di maturazione.

Si esige quindi da tutti noi una particolare attenzione verso tutto quanto di nuovo e positivo possa emergere all’interno del mondo cattolico; un impegno crescente nell’affrontare i temi decisivi dello sviluppo capitalistico, intorno ai quali soprattutto il dialogo con i cattolici appare utile e producente. Il mondo cattolico sta attraversando un periodo di crisi politico-morale, che rischia continuamente di essere imbrigliato dai miti del riformismo e dell’interclassismo; ma che chiaramente in questa direzione potrà trovare solo degli squallidi compromessi, delle ambigue rinunce ideologiche, implicanti la complicità con quella realtà che si vorrebbe superare.

In questa situazione di sbandamento e di ricerca, un nostro discorso chiaro e una nostra precisa richiesta di coerenza e di impegno morale, non sono senza significato e senza risonanza.

Non possiamo però limitarci al dibattito ideale, rischieremmo di toccare soltanto delle élites, sia pare ideologicamente impegnate. Dobbiamo avere la capacità di affrontare, da questo angolo visuale, i problemi immediati, di ricercare l’unità con i cattolici nelle lotte concrete che si impongono nel paese.

È da questa nostra capacità che è condizionato il risultato di una prospettiva a lunga scadenza; ed è dal contatto coi problemi concreti, con la realtà della lotta di classe, che potrà maturare nei cattolici quella scelta morale e politica che si impone oggi come necessità vitale della società italiana.

Mi limito qui a indicare alcune linee fondamentali, alcuni problemi di fondo.

La lotta per la pace, dopo le recenti prese di posizione di Giovanni XXIII, si presenta ovviamente come il terreno più fertile per un’azione politica comune. La chiarificazione che, per parte nostra, abbiano compiuto nella teoria della coesistenza pacifica, ed i recenti fatti di Cuba, possono ulteriormente favorire un incontro che è nell’interesse di tutti e che solo la malafede può impedire.

I problemi della condizione operaia ci riconducono al problema, d’altra parte generale, dell’alienazione capitalistica.

Lo sviluppo capitalistico aggrava le condizioni di alienazione, riduce l’operaio a un ingranaggio di un meccanismo produttivo, che egli non può controllare, non solo, ma i monopoli cercano ci condizionare anche la sua vita privata, il suo tempo libero, la sua vita privata, non c’è quindi solo il problema quantitativo del salario, ma quello qualitativo, del tipo di presenza dell’operaio nella fabbrica e nella società.

Similmente il problema della scuola non è solo quello della [………] il tentativo di subordinare alle esigenze dello sviluppo produttivo, di ridurli a puro tecnicismo.

È questo, mi sembra, l’angolo visuale che noi dobbiamo assumere per ritrovare nelle situazioni particolari i problemi generali della società, per impegnare noi e gli altri a delle precise scelte morali.

L’esemplificazione potrebbe continuare ma a questo punto mi sembra superflua. Mi sembra ormai abbastanza chiaro che, se vogliamo realmente impegnarsi per la costituzione di un nuovo blocco storico, non possiamo interessarci dei cattolici solo sul piano delle idee, ma la linea direttiva del dialogo coi cattolici deve essere una componente sempre presente nelle singole lotte che concretamente portiamo avanti.

Questa nostra giornata di studio deve essere un primo momento di un processo di chiarificazione che deve essere portato avanti da tutta la nostra organizzazione, e penso che da questo nostro dibattito possano uscire anche indicazioni più concrete sul lavoro da compiere.



Numero progressivo: F26
Busta: 6
Estremi cronologici: [1963?]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fogli battuti a macchina
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Politici - PCI -
Note: Bozza dattiloscritta, con parti mancanti. Appare come sbobinatura della relazione, con correzioni a mano.