FORZE SOCIALI E RIFORME ISTITUZIONALI

di Riccardo Terzi

Mi pongo la domanda di quale possa essere il ruolo delle forze sociali e quindi anche del sindacato, nel dibattito sulle riforme istituzionali; lo dico senza indulgere in nessun modo a una rappresentazione manichea, semplificata, che contrappone la società civile alla società politica, i cittadini alla partitocrazia. Un tale schema di interpretazione non mi convince e non ci aiuta a capire la realtà delle cose. Tuttavia, nel momento in cui c’è una certa impasse nel dibattito tra le forze politiche, può essere utile una iniziativa delle organizzazioni sociali, e credo che sia possibile una certa convergenza, anche tra forze che sono tra loro molto distanti. Penso ad esempio al documento prodotto dalla Confindustria su questi temi, che mi è parso di grande interesse e in larga misura condivisibile.

Mi pare che ci sia in ogni caso un interesse comune delle forze sociali ad un funzionamento efficace dello stato e della pubblica amministrazione, e ad una capacità di governo nella sfera economica. Occorre allora partire da una ricognizione dei problemi concreti da risolvere, occorre un approccio di sobrietà e di concretezza sul tema delle riforme istituzionali, evitando la spettacolarità, la retorica, le “grandi riforme” che vengono sbandierate in modo propagandistico senza nessun effetto concreto. In questo senso c’è molto da correggere rispetto a quello che è l’andamento del dibattito politico, nel quale sembra prevalere un atteggiamento propagandistico e demagogico, che produce soltanto fumo e non proposte praticabili. In questa direzione c’è un tasso di responsabilità molto alto da parte del gruppo dirigente del Partito socialista, perché esso introduce un elemento molto forte di ideologizzazione del dibattito. Succede così che opinioni diverse da quella espressa dal gruppo dirigente socialista vengano considerate offensive, antisocialiste, provocatorie.

Se è vero che “non dobbiamo demonizzare” come si usa ormai dire con una orrenda espressione, è altrettanto vero che non vi è confronto possibile se si tratta solo di schierarsi a priori in modo ideologico, come se fossero in questione articoli di fede.

Quali sono allora i punti essenziali da affrontare? Un primo aspetto, che non è stato fin qui sufficientemente considerato, riguarda i processi di internazionalizzazione della struttura economica, e di conseguenza la necessità di un trasferimento di poteri dal livello nazionale a un livello sovranazionale. E questo un punto chiave che richiede una ridefinizione dei compiti dello stato nazionale.

In secondo luogo c’è una domanda forte e crescente di potere locale e di decentramento dello stato. Questa domanda, che è rimasta a lungo inevasa e insoddisfatta, dà luogo a fenomeni perversi; fino a quando non si risponde seriamente a questa questione cresce il fenomeno del “leghismo”. C’è quindi un problema urgente di decentramento dello stato e di riqualificazione dei poteri regionali.

Io credo che il livello istituzionale essenziale per realizzare un effettivo decentramento dello stato sia quello delle regioni, perché soltanto a livello regionale è possibile una vera e propria funzione di governo su alcune materie essenziali, di programmazione economica e di pianificazione territoriale. Qui c’è una correzione da fare rispetto alla cultura tradizionale della sinistra, che ha affrontato il tema delle autonomie locali, pensando soprattutto al comune e agli strumenti di partecipazione popolare. Lo stesso limite si registra nella recente legge di riforma dei poteri locali, che presenta qualche elemento di innovazione interessante, come quello che riguarda l’area metropolitana, ma tralascia completamente di affrontare il nodo dei poteri regionali. La condizione perché i poteri regionali possano effettivamente decollare è che venga affrontato il tema della riforma fiscale, con l’introduzione di un’autonomia impositiva per le regioni, che non sia il risultato di qualche marginale operazione aggiuntiva, ma di una complessiva redistribuzione delle risorse nel rapporto tra stato e regioni.

Il terzo aspetto riguarda più propriamente il governo, la capacità di decisione del sistema politico, i tempi della decisione in una società che cambia molto velocemente, la stabilità dell’esecutivo. Su questo ordine di problemi non abbiamo avuto, fin qui, una sensibilità sufficiente e abbiamo considerato con ironia o con sospetto le esigenze di governabilità. Si tratta invece di un punto chiave, perché occorre creare le condizioni indispensabili per una seria politica di programmazione e di governo dell’economia. Fino a quando i governi durano mediamente un anno, non ci sarà nessuna politica di riforme, la quale richiede per sua natura un impegno di lunga durata e un orizzonte di tipo strategico. Vi è dunque una debolezza strategica dell’Italia rispetto a tutti gli altri paesi dell’occidente capitalistico; e questo deficit va esplicitamente affrontato. Ciò non vuol dire necessariamente un rafforzamento di tipo autoritario della funzione esecutiva. Occorre vedere insieme i problemi del potenziamento della funzione di governo e quelli del controllo e della partecipazione democratica dei cittadini. Io credo che questa non sia una combinazione impossibile. In questo senso vanno molte delle cose dette nelle relazioni, che cercano di definire una linea di rafforzamento del governo parlamentare, di delineare un governo parlamentare forte che dia garanzie di autorevolezza, di capacità di decisione, di stabilità, esaminando in questa ottica la riforma della legge elettorale e la modifica del bicameralismo. Va anche affrontata la questione dello sbarramento elettorale, perché la frammentazione eccessiva del sistema partitico è una delle ragioni di inefficienza del sistema.

Anch’io credo che il presidenzialismo non sia una soluzione convincente. Non penso che sia di per sé una soluzione di tipo autoritario, e dobbiamo quindi liberarci di fobie e di atteggiamenti pregiudiziali. L’obiezione principale non riguarda il presunto carattere autoritario del presidenzialismo, ma piuttosto il fatto che si tratta di una soluzione deviante, di una falsa semplificazione della complessità del sistema politico, e dietro questa falsa semplificazione finirebbero per agire in modo incontrollato le varie forme di lobbismo, gli elementi del localismo più sfrenato. Il presidenzialismo non comporta una maggiore capacità di governo, ma rischia al contrario di favorire una situazione di estrema frantumazione corporativa e localistica della vita politica. D’altra parte, in questo ultimo periodo abbiamo cominciato ad avere alcune prime sperimentazioni pratiche del presidenzialismo e in questo senso il presidente Cossiga ha svolto una importantissima funzione pedagogica. E proprio alla luce di questa forzatura presidenzialistica in atto a me pare sempre più evidente il rischio di una semplificazione personalistica del potere, che non dà nessun contributo a risolvere le questioni di fondo.

Il discorso sulla riforma dello stato e sulle riforme istituzionali resta monco se non vediamo l’insieme delle istituzioni, non soltanto i rami alti (il governo, il rapporto governo-parlamento), ma l’insieme dell’ordinamento, la pubblica amministrazione, gli strumenti per il governo dell’economia. Su questo in particolare possono dare un contributo il movimento sindacale e le organizzazioni sociali, e questo approccio è indispensabile per una forza di sinistra.

In questa ottica più larga si pongono i problemi del rapporto tra politica e gestione, l’esigenza di una separazione più netta di queste due funzioni nella pubblica amministrazione. Qui davvero si annida il fenomeno della partitocrazia, che ha poco senso come categoria astratta, ma ha un significato concreto quando si tratta di vedere come funziona la pubblica amministrazione. Si pongono inoltre i problemi della democrazia economica, delle istituzioni che la debbono realizzare e garantire: strumenti di concertazione, strumenti di partecipazione dei lavoratori. Già Cotturri nella sua relazione poneva questo problema, domandandosi se non sia possibile un avanzamento rispetto all’attuale dettato costituzionale per assicurare e garantire in modo più stringente l’esercizio effettivo dei diritti di cittadinanza.

Si tratta quindi di valutare quale nuovo rilievo costituzionale possono avere i temi della democrazia economica, della partecipazione, dello stato sociale. Su questo terreno possiamo qualificarci come forza di sinistra, evitando così di restare ancorati a una discussione tutta politica tra i diversi modelli di ordinamento dello stato. Tutto questo richiede un processo costituente esplicito, complesso e mi pare perciò giusta l’indicazione di una prossima legislatura costituente, di una sede parlamentare autorevole che affronti in modo organico questi nodi.

Un’ultima considerazione riguarda la posizione del Partito democratico della sinistra, che nel suo stesso atto di nascita ha posto un’esigenza forte di riforma istituzionale, di rinnovamento del sistema politico. Questa scelta di fondo va tenuta in grande evidenza, e perciò non dobbiamo giocare di rimessa, ma dobbiamo rendere evidente una nostra proposta.

Credo che sia importante tenere distinti due aspetti: quello che riguarda le alleanze politiche, e quello che riguarda la definizione delle regole. Noi lavoriamo per uno schieramento politico di sinistra, per un’alternativa alla Democrazia cristiana, ma questo non impedisce un ragionamento più articolato e aperto a tutti i diversi contributi per quanto riguarda la definizione delle nuove regole. Non dobbiamo quindi subire il ricatto socialista che vede nell’atteggiamento pregiudiziale a favore del presidenzialismo un requisito indispensabile per un rapporto unitario a sinistra.

Se è vero che il problema, oggi aperto, è quello del passaggio dalla prima alla seconda repubblica, questo può avvenire in varie forme: può avvenire con un processo di destrutturazione del sistema dei partiti, per cui conta soltanto la figura carismatica del presidente, oppure può avvenire con un processo di riqualificazione e di rilancio delle forze politiche, e solo in questo contesto prende forza la prospettiva politica dell’alternativa.


Numero progressivo: C56
Busta: 3
Estremi cronologici: 1991
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CRS -
Pubblicazione: “Democrazia e diritto”, n. 4, luglio-agosto 1991