FERMIAMO L’ANTIPOLITICA

Retorica e “seconda repubblica” al convegno milanese “L’Italia nella transizione “ organizzato dalla Camera del Lavoro

di Riccardo Terzi. Sintesi della relazione tenuta al convegno

Quando parliamo oggi dell’Italia nella transizione ci riferiamo ad una condizione specifica di crisi e di mutamento, la quale investe non solo l’ordinamento politico in senso stretto, ma l’intero universo di significati e di valori che ha fin qui regolato la coscienza collettiva del paese. È una situazione aperta, non predeterminata nei suoi sbocchi, come è vero sempre nei momenti di accelerazione della crisi. Si è rotto il punto di equilibrio su cui si reggeva l’intero sistema, e tutto quindi è rimesso in discussione e in movimento.

Ma è finora mancata una ricognizione attenta delle nuove dinamiche politiche che si sono aperte, e prevale piuttosto l’uso di formule e di schemi propagandistici che sembrano dir tutto e non dicono nulla: la seconda repubblica, la democrazia del maggioritario, la fine della partitocrazia e del consociativismo, l’opposizione di società civile e società politica.

Con tali mezzi interpretativi, non si afferra la realtà se non nei suoi aspetti più superficiali.

Se la retorica è la tendenza ad attribuire più valore alle parole che alle cose, possiamo allora dire di trovarci oggi sotto il dominio della retorica. Questo oggi è il rischio, di affrontare i problemi ardui della transizione, e quindi della costruzione di un nuovo ordinamento politico, solo con qualche innovazione di immagine e con il lancio sul mercato di nuove sigle e nuove leadership.

Messi in crisi i partiti come strumenti di organizzazione collettiva, non c’è il passaggio all’autogoverno della società civile, come recita la retorica ufficiale, non c’è una democrazia più larga e dispiegata, ma c’è la formazione di una casta politica ancora più ristretta ed esclusiva. L’anti-politica ha sempre questo effetto, di sequestrare la politica al controllo democratico e di consegnarla a qualche nuovo potentato. Ed è questo il tragitto che finirà per affermarsi se la situazione sarà lasciata alla sua dinamica spontanea, se non entra in campo un progetto visibile di riforma del sistema politico.

Il fatto è che la società italiana oggi è percorsa, in larga parte, da umori distruttivi, da uno spirito di rancore che finisce per corroderne tutti gli elementi di coesione e ciò la espone alle più varie manovre diversive. È il momento di una politica raccolta, meditata, misurata. Altrimenti il sistema politico impazzisce travolto da processi che non riesce a controllare, da un permanente stato di emotività e di tensione, che impedisce sia la formazione di una nuova classe dirigente sia l’attuazione di un disegno ragionato di riforma delle istituzioni.

C’è invece la tendenza a concentrare tutta l’attenzione solo sulla questione del principio maggioritario, in quanto esso sarebbe il cardine di una coerente politica riformatrice, e se ne ricava il seguente semplicissimo dilemma: o si porta a compimento la riforma in senso maggioritario del nostro ordinamento politico, e si modifica in questa direzione la stessa carta costituzionale, o si regredisce verso la consociazione partitocratica. Considero tale dilemma del tutto fuorviante, perché si introduce così una semplificazione astratta, come se l’adozione della nuova legge elettorale determinasse di per sé una cesura, una rottura storica, e il passaggio quindi alla tanto decantata seconda repubblica.

La legge elettorale interviene solo sulle modalità di elezione del parlamento, e non modifica in nessun modo i rapporti tra i diversi organi dello Stato, continuando a essere il parlamento l’esclusiva fonte di legittimazione dei governi, e continuando a funzionare una democrazia rappresentativa, senza mandato popolare diretto. Si può ritenere che questo nostro sistema debba essere radicalmente modificato, ma non c’è nessun automatismo, nessun passaggio obbligato, nessuna logica costituzionale che renda inevitabile, dopo l’adozione della legge maggioritaria, la trasformazione del sistema parlamentare in un sistema presidenziale.

Le forze politiche sono state costrette, tutte, a ridefinire la propria identità e le proprie strategie. Una spinta nuova ha operato costringendo a rendere esplicito il quadro delle alleanze, orientando l’intero sistema verso una logica di tipo bipolare. Da un sistema imperniato sul centro, che di volta in volta procede a cooptare altre forze nell’area di governo, stiamo passando ad un sistema imperniato sulla concorrenza di due poli alternativi. Un tale mutamento ha investito in primo luogo gli eredi della DC, determinando in quest’area politica una serie di rotture e di ridislocazioni, non essendo più praticabile la tradizionale politica centrista. Ciò non significa che il centro scompare, che le sue ragioni sono dissolte, ma solo che esso non è più autosufficiente.

L’altro opposto modello è quello del grande e amorfo contenitore elettorale, intorno a un leader, dove il leader è tutto e il resto è solo truppa, è il modello di un bipolarismo snervato, senz’anima nel quale la politica funziona solo come competizione di comitati elettorali, con il supporto di esperti di sondaggi e di strateghi della comunicazione.

Ciò è del tutto funzionale in una prospettiva di destra, nella logica dell’antipolitica, la quale appunto nega la politica come luogo dell’identità collettiva e dell’etica pubblica.

Ma tutta la prospettiva della nostra vita democratica sarebbe gravemente compromessa se alla fine il modello berlusconiano – diciamo così per comodità, senza voler personalizzare – si affermasse come la forma esclusiva di organizzazione politica.

C’è qui, intorno a questo nodo, una partita ancora tutta aperta. Non è ancora chiaro infatti che cosa è e che cosa si propone di divenire l’Ulivo di Prodi. Esso è esposto a due opposti rischi. Il primo è che non venga superata l’attuale frammentazione, che non nasca quindi nulla di nuovo e di vitale, che ci sia solo un cartello elettorale precario nel quale ciascuno difende le proprie posizioni acquisite e il proprio particolarismo.

Il secondo rischio è che si imbocchi la strada di una sorta di Forza Italia di sinistra, tutta giocata sull’immagine del leader e sulle tecniche di comunicazione, le quali comunicano non delle proposte politiche, ma solo delle suggestioni emotive.

Nel primo caso la sconfitta è sicura, nel secondo l’eventuale vittoria è solo apparente, perché pagata al prezzo di una sclerosi della vita democratica. A questo punto la stessa distinzione di destra e sinistra sarebbe del tutto evanescente.

Per sfuggire a questi opposti possibili esiti, occorre un lavoro paziente di ricostruzione e di riforma del sistema politico, senza scorciatoie e senza improvvisazioni.

In questo senso, l’Ulivo ha significato solo come progetto per il futuro, ancora tutto da costruire, e a questo progetto occorre dare un’anima, ovvero un insieme forte di motivazioni, di scelte programmatiche, di valori, e ciò può avvenire cominciando ad avviare un confronto serio e un dialogo tra le diverse correnti politiche che a questo progetto possono contribuire. Il punto di arrivo può essere, in prospettiva, la creazione di un’unica grande formazione politica della sinistra democratica, ma ciò richiede tutta una serie di passaggi, richiede un processo di maturazione, e l’operazione può essere compromessa da atti precipitosi e da forzature intempestive.

Ma il vero banco di prova, a mio giudizio, su cui si misura la validità di una proposta politica della sinistra sta nella capacità di offrire una prospettiva nuova di sviluppo democratico, e di contrastare quindi in modo efficace le numerose spinte alla “semplificazione autoritaria”, alla concentrazione cioè di tutto il potere decisionale in un unico punto, in una leadership forte, capace di sottrarsi ai condizionamenti e ai vincoli del consenso sociale e di alleggerire il sovrappeso della domanda democratica.

Abbiamo dunque bisogno di affrontare una serie di problemi, che qui vengono soltanto accennati e che possono dare concretezza a una prospettiva democratica: lo sviluppo delle forme di autogoverno, e in questa prospettiva la riforma federalista dello Stato, la regolamentazione dell’istituto del referendum, non per ridurre il rilievo di questo strumento, ma per una sua utilizzazione più ponderata ed efficace, il problema dei costi della politica, e quindi il finanziamento di partiti e di associazioni a garanzia della possibilità di accesso per tutti alla vita politica, il problema della selezione del personale politico, studiando i meccanismi possibili di elezioni primarie o di consultazioni per la scelta dei candidati, per giungere al problema assai complicato della democrazia in campo economico, delle forme di controllo e di partecipazione dei lavoratori in un mercato aperto, non ristretto come è oggi a pochi gruppi oligopolistici.

Questo è il terreno su cui dovremmo lavorare di più, con proposte concrete e con progetti definiti.



Numero progressivo: H71
Busta: 8
Estremi cronologici: 1995, ottobre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Note: si veda record H82
Pubblicazione: “Il mondo nuovo”, n. 12, ottobre 1995