È CRAXI IL GRANDE NEMICO? «COMPAGNI, ANDIAMOCI PIANO»

Parla Riccardo Terzi, ex segretario della federazione comunista di Milano, riformista critico

Intervista di Giampaolo Pansa a Riccardo Terzi

«Lui ha aperto una sfida a sinistra e lavora per emarginare il PCI. È logico che noi si reagisca. Ma i comunisti hanno due colpe: la prima è un eccesso di diffidenza pregiudiziale verso il PSI, la seconda è la convinzione che il craxismo sia un fenomeno dalle basi fragili, con il fiato corto e destinato a fallire». «Attenti, però, ad accusarci di arroccamento; la nostra non è la linea di Marchais…»

 

Per incontrare Riccardo Terzi dovete prendere il metrò in piazza Duomo, passare le stazioni di San Babila, Palestro, Porta Venezia, Lima, Loreto, Pasteur, Rovereto, Turro, Gorla, Precotto, Villa San Giovanni e arrivare al capolinea di Sesto Marelli. Un bel viaggio, non c’è che dire. E mentre il convoglio fila nel ventre di Milano, ci verrà facile pensare: accidenti se l’hanno mandato lontano il Terzi! È così che finiscono tutti gli oppositori di Berlinguer?

Poi, una volta scesi a Sesto San Giovanni, cominciate a capire che il vostro giudizio è un po’ affrettato. All’uscita del metrò, infatti, non sorge nessun gulag, ma soltanto l’ex sede della Marelli e, dentro, gli uffici regionali di CGIL CISL UIL. «Terzi? CGIL, secondo piano» dice il portiere. Qualche rampa di scale ed eccolo lì, il Riccardo, sopravvissuto a più d’una tempesta e resistente a tutte le emarginazioni.

Per la verità, Terzi non ha la faccia del sopravvissuto. Anzi, ha la stessa bella faccia di sempre, più giovane dei 42 anni che dovrebbe dimostrare, i capelli neri tutti a onde e lo sguardo dolce-ironico. Il contorno, invece, questo sì è cambiato. L’ufficio non è più quello di segretario della Federazione comunista di Milano. E non è nemmeno una delle stanze delle Botteghe Oscure dove il vertice del PCI colloca, premiandoli, i dirigenti periferici che hanno ben meritato la fiducia di Berlinguer….

Oggi Terzi è soltanto uno dei nove segretari della CGIL lombarda. Ma il posto non è da buttar via. Il sindacato torna ad essere una trincea di prima linea. E su questo fronte Terzi continuerà di certo una battaglia che adesso vorrei fargli raccontare sotto il titolo: «Un’esperienza riformista nel PCI».

 

«QUELLO ERA IL NODO POLITICO»

Accetta l’aggettivo riformista? Terzi sorride: «L’accetto, ma mi sembra una specificazione inutile. Il PCI è un partito riformista. Nei fatti si muove su una linea di riformismo, di gradualismo, anche se resta un’impalcatura ideologica di tipo un po’ diverso che ha una sua storia. E poi il punto su cui ho discusso più volte nel partito, e spesso in polemica col gruppo dirigente, non è questo, ma un altro, è quale giudizio dare del nuovo corso socialista e quale atteggiamento avere verso Craxi».

Sì il punto che m’interessa chiarire è proprio questo. Ma non anticipiamo gli eventi e riprendiamo il discorso dall’inizio. E l’inizio vede Terzi, giovane comunista bergamasco di riconosciute qualità, arrivare a Milano nel 1963. Dopo un lungo lavoro in incarichi diversi, nel 1975, ad appena 33 anni, diventa segretario della Federazione milanese. Qui rimarrà sino al 1981: un tempo abbastanza lungo per vivere, in prima fila, sia la fase del boom comunista che la bassa congiuntura dell’Elefante Rosso, ambrosiano e nazionale.

È a quel tempo che risale la polemica d’inizio fra Terzi e il vertice comunista. Siamo nel 1979, alle politiche il PCI passa dal 34,4 al 30,4 per cento. È la prima flessione robusta di un partito abituato da quasi trent’anni a vincere sempre. Ed è anche il prezzo che il PCI paga per la linea del compromesso storico e poi della solidarietà nazionale. Fra i dirigenti “alti” del PCI, Terzi è colui che in modo più esplicito tira le somme della sconfitta: pensa che il partito debba cambiare linea e verificare la possibilità di un’alternativa di sinistra.

Ma certe cose Terzi non si limita a pensarle: le dice al Comitato Centrale di quell’estate. Gli chiedo: era una posizione isolata la sua? «Forse no. C’era del disagio un po’ in tutti, e tutti capivano che quello era il nodo politico da risolvere. Ma c’era anche un po’ di reticenza a trarne le conseguenze. Io stesso, nel mio intervento, mi ero limitato a porre degli interrogativi prudenti. Eppure mi meritai una replica di Berlinguer abbastanza dura e anche curiosa. Lui disse che l’ipotesi dell’alternativa avrebbe comportato una trasformazione del PCI in senso socialdemocratico».

Che guaio per il segretario di Milano non essere “in linea” … Terzi mi ferma: «Io non la metterei così. Certo, qualche difficoltà esisteva. Non si dirige una grossa federazione se non si è in piena sintonia col vertice del partito. Per questo non ho fatto resistenza al cambio. Del resto, sei anni erano la media. Solo Alberganti era durato molto di più.»

Comunque, quando si trova già sull’uscio di via Volturno, ormai pronto a lasciare la federazione, Terzi incontra un’altra ragione di polemica con Berlinguer. È il tempo della seconda “svolta di Salerno”. Il 28 novembre 1980, la Direzione del PCI ripudia sia il compromesso storico che la sua versione parlamentare della solidarietà nazionale e lancia la linea dell’alternativa democratica. Con chi verrà costruita? Risponde la Direzione: con «le energie migliori della democrazia italiana, con uomini capaci ed onesti dei vari partiti e anche al di fuori di essi». Il PSI, in quel documento, non è nominato nemmeno per sbaglio. Eccoci al comitato centrale che discute la svolta. Terzi dice: la linea dell’alternativa mi va benissimo, però come ci arriviamo, quali sono le tappe intermedie? Io credo, continua Terzi, che la presidenza socialista possa rappresentare una fase di passaggio utile, che vale la pena di percorrere. Ma ancora una volta Berlinguer dice no. Anzi, replica a Terzi: questa tua è un’altra linea, non la linea del partito. Poco convinto, nella votazione finale Terzi s’astiene.

«In quel momento – ricorda Terzi – io non ero più segretario di Milano›.

Ormai in odore di filosocialismo, l’ostinato Riccardo viene mandato a Roma, al dipartimento economico, perché si occupi di tecnici e quadri. Una punizione? «Ma no! Era un buon lavoro, che il PCI aveva sempre svolto poco. E poi potevo anche partecipare all’attività generale del dipartimento».

Ma Terzi non si limita a partecipare. Dietro quella sua aria un po’ trasognata, nasconde un carattere difficile da smontare. Così ripete le sue idee alla fine del 1981, al congresso lombardo del PCI. In un intervento che L’Unità definisce «fortemente critico». Eppure, l’idea centrale è così semplice da sembrare banale. Dice Terzi: non ha senso parlare di alternativa se non si «costruisce una nuova dimensione unitaria della sinistra», se non si fa «uno sforzo tenace in questa direzione cogliendo tutte le possibilità, tutte le occasioni, tutti gli spiragli anche parziali e limitati, che possano far crescere l’idea e la realtà di una moderna sinistra democratica. Noi comunisti ci siamo mossi così in quest’ultimo anno? No – risponde Terzi – perché nel PCI sono state prevalenti altre spinte e si è accumulato un potenziale pericoloso di ostilità ed intolleranza verso il Partito socialista. E non si tratta solo di un elementare settarismo di parte. In larga parte dei gruppi dirigenti del partito c’è un giudizio sull’attuale PSI come parte integrante di un disegno di restaurazione conservatrice. C’è l’idea del craxismo come nuova e aggiornata incarnazione dello spirito del capitalismo. Ma allora, se la pensiamo così, a che si riduce la politica dell’alternativa?».

È un grido d’allarme, ma senza fortuna. I due fratelli separati della sinistra stanno per passare alle armi, anzi, sono già ai materassi. Eppure Terzi non dispera. All’inizio del 1983, quasi alla vigilia del congresso nazionale comunista, dice a Nuova Società: è vero, l’alternativa è una prospettiva politica che «i socialisti hanno accantonato, almeno per il momento». Ma non gettiamo tutta la colpa su di loro: «La credibilità dell’alternativa dipende molto anche dalla capacità nostra di elaborare una cultura di governo».

Nel febbraio 1983, al primo congresso provinciale di Milano, Terzi coglie un successo inaspettato: l’elezione dei delegati, che si svolge con voto segreto, lo vede terzo, dopo Gianni Cervetti e Roberto Vitali. Come mai? Forse dipende dal tasto che Terzi ha battuto e ribattuto nel suo intervento, la democrazia nel partito. «Era un tema molto sentito, allora come oggi. E da allora ad oggi mutamenti vistosi purtroppo non ce ne sono stati. Eppure il PCI è un organismo complesso, con una pluralità interna di voci, di posizioni, di culture. A questo PCI l’abito in cui è cresciuto ormai va stretto. Le regole del centralismo hanno bisogno d’essere ridefinite. No, nessuno chiede le correnti. Ma è fortissima l’esigenza di democrazia reale, di confronto esplicito delle posizioni, di trasparenza del dibattito». Queste e altre cose Terzi vorrebbe dirle al congresso nazionale del PCI. Ma al Palasport di Milano lui non riesce a parlare. Ostilità programmata o effetto del caso? Una sua protesta, rilanciata dall’agenzia Adn-Kronos gli vale una risposta acida de L’Unità. Anche per questo, Terzi rientra nel Comitato Centrale solo per il rotto della cuffia: «Degli uscenti, forse sono stato quello che ha avuto più voti contrari e astensioni. Per forza, molti compagni che non mi conoscevano si saranno fatti l’idea che ero un rompicoglioni…».

 

«IL DIALOGO CON LA SINISTRA EUROPEA»

Dopo il congresso, Terzi non vuole più tornare al dipartimento economico, la considera un’esperienza chiusa. Il suo futuro è avvolto dalla nebbia: nel PCI, come altrove, dissentire è bello ma scomodo. Chi gli dà una mano è Lama, riformista in pectore almeno quanto lui. Così, ecco Terzi al capolinea del metrò di Sesto, nella sua nuova trincea. Una trincea «con un clima interno buono, più aperto di quello del partito. Anche perché – osserva – nel sindacato la presenza di opinioni diverse è strutturale, fisiologica».

E da Sesto che cosa ci dice oggi Terzi? In questi anni ha cambiato molto le sue idee sul nuovo corso socialista? «No non molto. Intanto, questo mutamento del PSI è un processo in qualche modo naturale e irreversibile. Il PSI o si rassegnava al suo declino definitivo oppure cercava un rilancio verso nuovi strati della società italiana. E poi io ritengo che una più marcata caratterizzazione del PSI verso il centro, e il suo tentativo di sfondare in questo settore, sia utile alla sinistra. Dà un colpo alla centralità democristiana. Mette in moto i vecchi equilibri politici. Offre più concretezza all’ipotesi di alternativa».

«Così, oggi, il problema nostro del PCI, è di avere un’iniziativa che utilizzi i movimenti del PSI. Capisco che non è facile, dopo quanto è successo negli ultimi mesi. Stiamo constatando tutti che la sinistra non può giocare su tavoli tanto diversi e poi ritrovare una posizione unitaria. “Marciare divisi e colpire uniti” diventa sempre più complicato. Anche perché i rapporti tra PCI e PSI si sono terribilmente inaspriti per colpa di entrambe le parti…».

Dico a Terzi: vediamo le colpe del PCI, in giro si dice che il PCI è diviso su tutto, tranne che su Craxi, un Craxi da abbattere ad ogni costo… Terzi sorride: «Se è per questo, siamo divisi anche su Craxi. Ad ogni modo, le nostre colpe le vedo così. Primo: c’è un eccesso di diffidenza pregiudiziale verso il PSI. Secondo: c’è la convinzione che il craxismo sia un fenomeno dalle basi fragili, con il fiato corto e destinato a fallire. La somma di questi due atteggiamenti spinge il gruppo dirigente del PCI a tenere una posizione molto dura e a pensare che, una volta liquefattosi il craxismo, sarà il PCI a guidare tutta la sinistra e a fare in prima persona il riformismo. Io non condivido questa analisi – dice Terzi – ma capisco come può esser questa a spingere il gruppo dirigente del partito sulle posizioni di oggi. Attento, non è una linea di arroccamento, alla Marchais. Basta vedere il dialogo che il PCI ha con la socialdemocrazia tedesca e le altre forme della sinistra europea. Però è una linea che parte da un presupposto sbagliato. No, non credo che il craxismo sia così fragile e destinato al fallimento…».

Perché?

«Ma perché in Italia Craxi ha ancora spazio per consolidarsi. Basta pensare agli strati sociali nuovi, alla piccola borghesia urbana che, in una fase di appannamento della DC, può cercare un nuovo ancoraggio politico. E poi un suo fiuto Craxi ce l’ha. Certe sue cose che irritano noi comunisti o gli operai, mica irritano tutti. D’accordo, c’è anche del fumo e molta capacità di propaganda. Però lui ha saputo cogliere alcuni umori della gente. Quindi, io dico: andiamoci adagio.»

«Ma i guai della sinistra nascono anche da errori del PSI. E sono parecchi. Nell’azione concreta di governo, c’è ben poco di progetti innovativi. Poi la ricerca di spazi politici al centro è diventata in Craxi talmente ossessiva da portare il PSI, in alcuni casi, su posizioni conservatrici. Il decreto sulla scala mobile, per esempio: ecco un errore. Ma un errore ancora più grave del PSI è di restringere tutta la sua politica al sostegno della presidenza socialista. Così quella capacità di analisi e di proposta che si era intravista alla Conferenza di Rimini s’è un po’ perduta».

«Questa autoriduzione del proprio compito a puntello di Palazzo Chigi – continua Terzi – è fonte di guai a non finire per molti dirigenti socialisti. Guardi Tognoli che a Milano deve gridare a tutti i costi: viva il decreto! Guardi i sindacalisti socialisti, che non se la sentono di fare i sindacalisti fino in fondo. Come andrà a finire? Non lo so. Può darsi che il mio giudizio sulla tenuta del craxismo sia troppo ottimistica perché ho sott’occhio da sempre la situazione di Milano. E poi al centro la concorrenza è forte, e chissà come ne uscirà il PSI. Infine, la presidenza socialista si sta svolgendo in un contesto diverso da quello immaginato qualche anno fa. Ma forse questo avviene perché i rapporti a sinistra si erano guastati già da prima…».

È vero, Terzi, i rapporti a sinistra non potrebbero essere peggiori. Una cosa, però, non capisco: perché Craxi è diventato il Grande Incubo di voi comunisti?

Terzi sorride: «Per prima cosa, il modo di ragionare di Craxi è molto diverso da quello del comunista medio, il quale s’infuria assai di più che se le stesse cose le dicesse un dici o un liberale. Ma la ragione vera è un’altra: Craxi vuole, sì, sfondare al centro, però ha aperto anche una sfida a sinistra contro di noi, e lavora per un’evoluzione della vicenda politica che emargini il PCI. È logico che noi comunisti si reagisca. Resta da vedere qual è la reazione giusta.»

 

«NON SONO STATI PREZZI TANTO ALTI»

Ecco il punto: le sembra giusto il modo in cui reagisce il PCI? Terzi pesa le parole: «È difficile rispondere. Oggi nel PCI ci sono spinte diverse e contraddittorie. L’immagine del PCI arroccato o dell’Elefante Rosso in retromarcia non corrisponde alla realtà di tutto il partito. È solo una delle tendenze che operano all’interno dei PCI e tutte convivono in un quadro complessivo. Per parlare delle spinte positive, guardi alla politica internazionale del PCI e al suo sforzo di aggiornamento e di elaborazione nella politica economica.»

Ma da queste spinte e controspinte che cosa esce? «Purtroppo esce una nostra linea un po’ incerta, una discussione interna che non è andata a fondo di tutte le questioni. Prendiamo la battaglia sul decreto per la scala mobile. È una battaglia giusta. Si può discutere sul modo in cui l’abbiamo data, ma andava data. Adesso, però, si tratta di vedere se questa è una linea di pura difesa o se, mentre si dice no al decreto, si progettano anche soluzioni nuove: la riforma del salario, la riforma delle politiche economiche».

Lei parla di linea incerta del PCI. Ma ancora più incerto, anzi oscuro, è lo sbocco di questa linea. Dove vi porta la vostra guerra santa di queste settimane? Terzi riflette: «Certo, rischi di guasti gravi ci sono. Basta vedere il clima del Parlamento e del sindacato. E allora dico soltanto che noi comunisti dobbiamo essere molto preoccupati del clima che si è creato e che è nostro dovere contribuire a migliorarlo. Non è pensabile andare avanti così. Dobbiamo trovare una strada per uscire da questo vicolo cieco.»

Nel suo ufficio al capolinea dei metrò, Terzi discorre tranquillo: si sente emarginato? «Ma no, che cosa dice!» Beh, questa sua carriera a ritroso… Lui sorride ironico: «No, non mi sento un perseguitato politico. Anzi; sono soddisfatto della scelta di lavorare nel sindacato e non la misuro con il metro del potere. Campo per fare un’esperienza vera e per confrontarmi con i problemi della trasformazione economica di questo paese. Per il resto, ho dato una certa battaglia politica e ho pagato qualche prezzo…».

Terzi s’interrompe, poi conclude: «E comunque non sono stati nemmeno dei prezzi tanto alti. Alla lunga, in termini di prestigio politico personale, rende di più questo modo di comportarsi che avere delle timidezze e dei conformismi in vista di vantaggi ipotetici. Ci siamo capiti?»



Numero progressivo: H100
Busta: 8
Estremi cronologici: 1984, 17 aprile
Autore: Giampaolo Pansa
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Interviste/Dibattiti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “La Repubblica”, 17 aprile 1984