«DIVIDERSI, COMPAGNI! NON C’È ALTRA CURA»
Parla Riccardo Terzi, 44 anni, riformista confesso. Sabato riunito il PCI. Solo Ingrao all’opposizione? Chissà, s’ode a destra uno squillo di tromba....
Intervista di Piero Dall’Ora a Riccardo Terzi
Riccardo Terzi ha 44 anni; ha diretto la più potente federazione del PCI, quella di Milano, dal ‘75 all’81; ora è uno dei segretari dalla CGIL lombarda. Per molti anni Terzi, a cui anche gli avversari più accaniti riconoscono coraggio e intelligenza politica, ha condotto una battaglia piuttosto solitaria per modificare la linea di Berlinguer. Ancora in pieno clima di unità nazionale, l’allora segretario di Milano sosteneva che il “craxismo” era un fenomeno nuovo della vita politica italiana, che lo schiacciamento del PSI tra le due grandi forze popolari cattolica e comunista era un dato negativo con cui si sarebbero dovuti fare i conti, che il futuro della politica comunista avrebbe dovuto coincidere con una scelta per l’unità a sinistra in un quadro di deciso rinnovamento ideologico e di stile politico.
Come le pare che stia andando la discussione precongressuale del PCI?
«Spero di sbagliarmi, e non escludo di sbagliarmi, ma temo anch’io, come Borghini, che le posizioni diverse già ampiamente manifestatesi nei mesi scorsi vengano riassorbite in una mediazione timida e, soprattutto, prematura.»
Da sabato in avanti si riunisce il parlamento comunista per discutere le “tesi”. Borghini è stato finora l’unico a parlare (Reporter dell’altro ieri), anzi l’unico a firmare per nome e cognome il suo pensiero. Per il resto, a pezzi e bocconi, una indiscrezione al giorno, dalle Botteghe Oscure filtrano “segnali” anonimi. L’intervista di Borghini non sarebbe piaciuta (cosi ha confidato un “anonimo” al Messaggero e alla Stampa), il documento contiene un attacco al sindacato il cui obiettivo sarebbe Lama (di due versioni dell’attacco, quella passata sarebbe la meno aspra), il voto segreto lo si dà per scontato o si suggerisce il sistema della lista aperta (per evitare il metodo delle cancellature), Ingrao sarebbe rimasto l’unico a ritenersi fuori dalla mediazione di Natta e si spingerebbe fino a sollevare una pregiudiziale su tutto il documento, rifiutandolo come piattaforma comune, mentre la destra sarebbe divisa tra chi vuole accucciarsi sotto le ali dal segretario generale, facendo al massimo una battaglia di condizionamento, e chi vuole impedire che la discussione si chiuda ancor prima di essersi aperta. Borghini e Terzi sono senz’altro tra questi ultimi. Terzi non è, come altri quarantenni del PCI, un quadro di “risulta”, uno di quei giovani del centro politico anagrafico che procedono solenni nel silenzio dell’alta burocrazia o che spendono il meglio della loro intelligenza in una estenuante e petulante ripetitività. Non ha aspettato le sconfitte della primavera scorsa per dichiararsi contrario alle logica del “comando burocratico”. Lui, Terzi, a quel comando ha disobbedito prima. Ma i comandanti l’hanno ripagato in moneta sonante, e siccome il Terzi non era l’ultimo venuto né un intellettuale puro bensì un leader dei comunisti nella città più operaia e industriale d’Italia, lo scontro fu di quelli drammatici, roba seria. Le sue idee non sono mai state così forti e lui mai così debole come oggi. Per questo vale la pena di sentirlo.
Lei quindi pone una questione preliminare, di metodo.
«Sì, io non faccio parte, per incompatibilità con la carica sindacale che ricopro, degli organi dirigenti. Non so come sia andata esattamente fra i 77, ma quello che dice Borghini mi pare giusto: ora la discussione va aperta, non chiusa. E una mediazione preventiva su tutto va assolutamente evitata.»
Perché evitare una mediazione, se ne esistessero le condizioni?
«Precisamente perché, a mio avviso, non ne esistono le condizioni. Basta leggere i giornali, compresa L’Unita con il suo lungo dibattito estivo, e si vede che posizioni anche diversissime sono tutte in campo. Si va da posizioni specifiche, ma con implicazioni politiche decisive, come il nucleare o le riforme istituzionali, fino a questioni dell’identità comunista, questioni di strategia. Liquidarle, assorbirle, incorporarle surrettiziamente in un documento generico che chiuda la discussione vorrebbe dire che i comunisti si avviano a un congresso di ratifica delle scelte del gruppo dirigente, apprestandosi al massimo a una correzione tattica dalla politica seguita finora.»
Lei sa che il centralismo democratico è anche una regola non scritta che presuppone un valore guida, l’unità dal partito…
«Ma io sono per rompere il centralismo democratico.»
Nel documento si dice che il dissenso è un valore, che si può dissentire anche dalle decisioni della maggioranza dopo che sono state prese, insomma si presenta l’incarnazione più duttile e laica possibile dei centralismo democratico. Però il centralismo democratico resta lì a fare la guardia.
«Non so, non ho letto ii documento. Secondo me la formulazione andrebbe cancellata. So benissimo che, per certi aspetti, il PCI è un partito molto democratico, e che il modello stalinista di centralismo non vi è mai stato applicato. O almeno ha rivestito forme anche molto duttili. Però quella espressione fa parte di una storia, vuoi dire una cosa precisa. Meglio correggerla.»
Ma con che cosa sostituirla lei lo sa, ne ha un’idea?
«No, ma bisogna cominciare a muoversi, con gradualità, senza restare prigionieri dell’ossessione dell’unità preventiva, bisogna dar voce e rappresentanza a un PCI che è già pluralista. La sintesi si fa dopo.»
Lei vuole che il congresso dica: abbiamo sbagliato sulla scala mobile, su Craxi, sul referendum, e ora buttiamo a mare anche un tratto distintivo della diversità come il centralismo?
«No, non mi interessa l’autocritica formale, mi interessa che si prenda atto delle conseguenze di ciò che e avvenuto. C’è stata una scelta, dopo un dibattito. La scelta è stata quella della contrapposizione frontale con il PSI, in un quadro di progressivo isolamento politico. Si è giudicato il craxismo come un fenomeno deteriore, destinato a bruciarsi in tempi brevi, un fenomeno persino pericoloso per il quadro democratico. Ora, questo quadro di analisi e di atti politici conseguenti non ha retto alla prova dei fatti. Un mutamento di linea è già in corso. Dunque ci si può limitare a correzioni tattiche oppure si può avviare un ripensamento di fondo, per aprire una pagina interamente nuova. Sono per la seconda soluzione. E comunque sono perché si discuta chiaramente delle due soluzioni possibili. Soltanto così si possono liberare forze, energie, intelligenze che nel PCI ci sono.»
Ma il problema del PCI è proprio quello, Berlino Craxi?
«Il nome non importa, importa il senso di ciò che è oggi, o può essere, la sinistra, e il problema riguarda anche i socialisti: piuttosto di star fermi o di andare dietro alle mode più effimere, non è meglio cercare di ridefinire i fini, gli obiettivi delle forze politiche di tradizione comunista e socialista, magari in rapporto con quanto cambia in Italia, in Europa, nel mondo? La vecchia idea di socialismo non serve più a molto. Lo scontro di classe resta, ma assume caratteristiche interamente nuove. Il discrimine tra progressisti e conservatori passa per il tema della democratizzazione del potere di decisione: è ipotizzabile e giusta una redistribuzione democratica del potere o no? Vogliamo cominciare a discuterne a sinistra o vogliamo continuare il gioco delle risse e degli ammiccamenti?»
Busta: 8
Estremi cronologici: 1985, 5 dicembre
Autore: Piero Dall’Ora
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Interviste/Dibattiti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “Reporter”, 5 dicembre 1985