DIRETTIVA SEVESO

Convegno Associazione Ambiente e Lavoro - novembre 1987

Introduzione di Riccardo Terzi – Presidente Associazione Ambiente e Lavoro

Posso limitarmi a poche considerazioni introduttive, lasciando a Rino Pavanello il compito di illustrare le proposte dell’associazione Ambiente e Lavoro per il recepimento della direttiva Seveso nella legislazione nazionale.

Il fatto che questa ormai famosa direttiva della CEE, emanata dopo il grave incidente dell’ICMESA di Seveso, non sia stata ancora applicata in Italia, a quasi quattro anni dalla scadenza prevista, è un segno emblematico della gravissima inerzia che ha caratterizzato l’azione governativa nel nostro Paese nel campo della politica ambientale.

Come l’incidente di Seveso più di dieci anni or sono, ha segnato simbolicamente l’inizio di una nuova fase, nella quale i problemi del rischio ambientale e della sicurezza hanno fatto improvvisa irruzione nel dibattito politico e scientifico, così analogamente la cosiddetta “direttiva Seveso” ha assunto il valore di una pietra di paragone dell’impegno dei governi e delle forze politiche.

Il bilancio, a tutt’oggi, è scandalosamente negativo. Non si può parlare solo di un ritardo connaturato alla lentezza dei processi decisionali nel nostro sistema politico, ma di un errore grave di valutazione, in quanto i problemi della politica ambientale sono stati considerati problemi settoriali, e non invece, come oggi è indispensabile fare, come elemento discriminante nella definizione del modello di sviluppo.

Si continua a parlare di sviluppo, di crescita economica, di “modernità”, in termini solo quantitativi e senza consapevolezza critica.

Per questo è importante il referendum che si è tenuto sulla questione dell’energia nucleare ed è di grande valore il successo nettissimo dei Sì, che non può essere ridimensionato dalle ridicole contorsioni interpretative in cui si sono cimentati alcuni organi di stampa.

Il successo del movimento antinucleare costringe tutti a rivedere i propri parametri di giudizio, a ridefinire i contenuti costitutivi dell’idea di sviluppo e di progresso.

Di fronte al rischio di un’irreversibile compromissione dell’equilibrio ecologico, si rende indispensabile un impegno convergente di tutte le forze politiche e sociali, al di là dei conflitti che le dividono. Insomma, il tema della difesa dell’ambiente deve divenire un valore impegnativo per tutti, così come è via via diventato, nella coscienza universale, il tema della pace. Ma occorrono, al di là delle dichiarazioni di principio, impegni concreti, decisioni efficaci, atti di governo e scelte politiche conseguenti.

Noi oggi chiediamo un confronto di merito su una questione politica concreta e di grande rilievo: la legislazione sui grandi rischi industriali.

Occorre una strumentazione efficace che consenta il controllo, l’informazione, la prevenzione, l’adozione di tutte le misure di sicurezza, In assenza di ciò può determinarsi una situazione di conflitto insanabile che contrappone le esigenze dell’attività industriale ai bisogni di sicurezza dei cittadini, come è accaduto con il referendum di Massa.

Se non c’è una politica capace di risolvere preventivamente le contraddizioni, ci possiamo trovare, di fronte ad una completa scissione tra industria e ambiente, ad una spaccatura della società italiana, ad una rottura anche dentro la sinistra tra movimento operaio e movimento ambientalista.

Ma il rimedio a questo rischio non è il restringimento degli spazi di democrazia, non è il modello burocratico autoritario, ma all’inverso uno sviluppo della democrazia e della conoscenza, per governare i processi, per decidere responsabilmente sulle scelte di politica industriale, il che comporta necessariamente da parte delle imprese una disponibilità al confronto, ad un rapporto nuovo con le istituzioni pubbliche e con le organizzazioni sindacali, superando l’idea sempre più chiaramente inaccettabile di una “centralità” dell’impresa, di una sua autonomia che consiste nell’obbedire esclusivamente alle necessità del mercato senza nessuna considerazione degli effetti sociali.

L’associazione Ambiente e Lavoro, che si è costituita meno di un anno fa proprio per affrontare questi problemi, per analizzare criticamente il rapporto tra ambiente e sviluppo, vuole con questo convegno offrire a tutti gli interlocutori, forze politiche, organizzazioni imprenditoriali, sindacati, associazioni ambientaliste, la sede di un confronto, che ci auguriamo esplicito, non diplomatico, non generico.

Dall’iniziativa dello scorso anno, in cui abbiamo ufficialmente presentato gli scopi dell’associazione e il suo programma di lavoro, abbiamo lavorato con impegno, e mi sembra che possiamo essere relativamente soddisfatti di alcuni primi risultati.

In occasione della campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento abbiamo proposto ai candidati delle diverse liste politiche un “patto di impegno ambientale”, che comportava una personale assunzione di responsabilità finalizzata ad alcuni precisi obiettivi. Tra gli eletti, vi sono 42 parlamentari che hanno sottoscritto questo patto, appartenenti a diversi gruppi politici.

Pensiamo che ciò non debba essere un fatto episodico, ma essere l’occasione per la costruzione di un rapporto permanente, che è necessario proprio per il peso che hanno gli atti politici, per l’assoluta urgenza di una nuova e organica legislazione, per la necessita di segnare in questo campo una svolta rispetto ai comportamenti del passato. Ci sono oggi, mi sembra, condizioni più favorevoli, che vanno pienamente sfruttate. Lo dimostrano la maggiore attenzione di tutti i partiti ai temi dell’ambiente, la presenza in Parlamento del gruppo dei “verdi”, l’impegno più qualificato del ministro dell’ambiente, che ringraziamo vivamente per la sua presenza anche a questo nostro convegno.

Il patto di impegno ambientale ha avuto una sua prima applicazione pratica con la presentazione, nei due rami del Parlamento, di un disegno di legge sul riconoscimento del sindacato come parte civile nei processi che hanno attinenza con le condizioni di lavoro e di sicurezza dei lavoratori. Si tratta ora di operare perché questa proposta di legge venga esaminata nelle commissioni parlamentari e possa giungere rapidamente ad una deliberazione legislativa.

Il secondo impegno che abbiamo chiesto ai firmatari dell’appello è quello di cui oggi discutiamo, il recepimento della direttiva Seveso.

Consideriamo questo, per tutte le ragioni politiche fin qui illustrate, un impegno urgente, che deve e può avere tempi rapidi di applicazione.

Per questa ragione, perché in primo luogo c’è la necessità di impedire ulteriori dilazioni, ulteriori temporeggiamenti, abbiamo cercato di costruire una proposta che tiene conto del lavoro fin qui svolto, e che si attiene il più fedelmente possibile al testo della direttiva comunitaria, lasciando a successivi provvedimenti legislativi il compito di risolvere i problemi che restano aperti e per i quali non c’è ancora una sufficiente maturazione.

Per questo abbiamo lavorato cercando di costruire uno schieramento largo di consenso, rivolgendoci a tutte le forze politiche, senza esclusioni pregiudiziali, e ritenendo necessario un confronto e una ricerca di accordo anche con le associazioni imprenditoriali, seguendo una linea che non vuole essere di parte, unilaterale o punitiva, ma che si prefigge di trovare una sintesi politica efficace e praticabile. Non è certo casuale che venga da qui, dalla Lombardia, la sollecitazione a risolvere questi problemi, perché abbiamo qui, nella nostra Regione, la più forte concentrazione di attività industriale, e il numero più consistente di aziende a rischio rilevante.

C’è una situazione potenzialmente esplosiva, di cui ancora non conosciamo nella misura sufficiente tutto il potenziale di rischio, e che non è sotto controllo. Abbiamo già denunciato, in occasioni precedenti, la carenza degli strumenti di prevenzione, di cui è un esempio illuminante il gravissimo sottodimensionamento degli organici degli addetti alla prevenzione nelle USSL.

Voglio qui ribadire la necessita di una politica sanitaria che si muova in una direzione ben diversa da quella contro riformatrice ipotizzata dal ministro Donat Cattin (abbiamo in proposito lanciato un appello che sta raccogliendo adesioni qualificate negli ambienti scientifici e adesioni di massa nel movimento sindacale e tra i lavoratori).

Ciò ha una precisa attinenza con il problema dei grandi rischi e della direttiva Seveso, perché, quale che sia la soluzione che si adotterà circa la natura e i compiti dell’autorità centrale, resterà comunque decisiva l’esistenza di una rete efficiente di controllo a livello di base; resta essenziale cioè’ una scelta politica non centralizzatrice, non burocratica, ma volta a valorizzare tutto il tessuto dei poteri democratici diffusi, tutto il patrimonio delle competenze che sono disponibili a livello locale.

Possiamo ora, dopo questi cenni orientativi, passare ad una più diretta illustrazione delle nostre proposte. Ringrazio tutti quelli che hanno accolto il nostro invito. Credo che qui, in questo convegno, e in occasioni successive di confronto e di lavoro, potremo dare insieme un contributo politico e fattivo per la realizzazione di una politica nuova, all’altezza dei tempi e all’altezza della sensibilità che c’è oggi nella società italiana.



Numero progressivo: A44
Busta: 1
Estremi cronologici: 1987, novembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Dossier ambiente”, novembre 1987, pp. 1-2