DEMOCRAZIA IN NOME DELLA LEGGE

«Diritti, sfida anche per i sindacati»

Intervista di Michele Urbano a Riccardo Terzi – Segretario regionale aggiunto della CGIL

Magistrati, giuristi, intellettuali discutono la crisi di rappresentanza. Due progetti legislativi per dare più garanzie ai lavoratori.

 

Che garanzie ha oggi il lavoratore rispetto alle decisioni del sindacato? Una risposta univoca non esiste. Dipende da molti fattori: dal rapporto di forze interno alla fabbrica, dal grado di sindacalizzazione etc. Eppure la domanda è tutt’altro che astratta. Un esempio. La firma di un nuovo contratto non significa solo soldi in più. Anzi, ha sempre riflessi immediati sulla sfera individuale dei lavoratori: incide insomma sulla qualità della vita, sugli spazi, anche quelli più intimi, di libertà. Il problema è: come può il lavoratore sentirsi tutelato rispetto alle decisioni del sindacato? Di tutto questo si è parlato alla Casa della cultura di fronte a una platea attenta che non era formata solo da sindacalisti e lavoratori ma anche da magistrati, giuristi, intellettuali. Ad aprire il dibattito sono stati il presidente della commissione Lavoro del Senato, Gino Giugni, e Giorgio Ghezzi, ordinario di diritto del lavoro all’università di Bologna e vicepresidente della commissione Lavoro alla Camera. Il primo ha già messo a punto un progetto di legge proprio su questi temi; il secondo vi sta lavorando. Nella discussione – durata tutto il giorno – sono intervenuti protagonisti del movimento sindacale come Antonio Lettieri, Mario Colombo e Riccardo Terzi ed esponenti della cultura giuridica come Carlo Smuraglia. Quali i punti scottanti del dibattito? Quali i dissensi? Quali esigenze giustificano una legge a tutela della democrazia sindacale? Al termine del dibattito ne abbiamo parlato con il segretario regionale aggiunto della CGIL, Riccardo Terzi.

 

Cosa pensa la CGIL di una legge che precisi i diritti del lavoratori rispetto alle scelte del sindacato? Non è un modo per sancire la crisi dei sindacato?

«Andiamo per ordine. Noi questa proposta di legge la riteniamo una iniziativa opportuna proprio perché viviamo una situazione di crisi dei meccanismi di rappresentatività delle organizzazioni sindacali. E non solo in alcuni settori dove sono nati i COBAS. Il dato è più generale: è entrato i crisi il meccanismo base del funzionamento della democrazia sindacale.»

 

Perché? O meglio, quali sono state le cause di questa crisi ora affiorata così evidente?

«Il modello sindacale in Italia è sempre stato molto centralizzato. E rispetto a quello della democrazia si sono poste sempre esigenze come quella della solidarietà e dell’unità. In questi ultimi anni, invece, da parte dei lavoratori c’è maggiore attenzione ai propri diritti e, di conseguenza, un rifiuto verso le direzioni autoritarie. C’è poi da dire, per delineare lo sfondo del fenomeno, che oggi siamo in presenza di forze sociali che richiedono risposte più articolate e quindi una maggiore flessibilità del sindacato. Inoltre, non dimentichiamo che è entrato in crisi il vincolo unitario tra le tre confederazioni.»

 

Ma qual è in concreto il rischio che corrono i lavoratori?

«Che una minoranza possa firmare accordi che poi valgono per la maggioranza. La legge può mettere ordine definendo alcuni criteri di valutazione circa la rappresentatività reale delle organizzazioni sindacali. Può tradursi in un’azione di sostegno per la costruzione di organismi rappresentativi eletti dai lavoratori che – va pure detto – in parte già esistono. La legge insomma può spingere nella direzione di una maggiore democrazia prevedendo, per esempio, la possibilità del ricorso al referendum come momento di garanzia per i lavoratori.»

 

Tutto questo vale per le aziende dove lo statuto dei lavoratori è legge. Ma in quelle piccolissime imprese dove non c’è alcuna garanzia?

«Per loro ci sono altre proposte di legge. Sono ovviamente d’accordo che bisogna cominciare ad affrontare il problema dei diritti sindacali anche nelle piccole imprese. E pure in quelle artigiane.»

 

Ma una legge sulla democrazia sindacale non sembra sia accettata da tutte le confederazioni. Mario Colombo, vicesegretario nazionale della CISL, intervenendo al dibattito lo ha fatto capire molto chiaramente. E allora?

«La posizione della CISL si può sintetizzare così: spetta alle organizzazioni sindacali risolvere il problema. Una legge rischia di essere una interferenza all’autonomia sindacale. Questa era la posizione classica assolutamente prevalente all’interno di tutto il movimento sindacale. Adesso però molti stanno cambiando opinione.»

 

E qual è il motivo di questo ripensamento?

«Le organizzazioni sindacali hanno in realtà dato scarsa dimostrazione quanto a capacità di autoregolazione. Certo, si sono fatti, nel corso di questi anni, numerosi protocolli d’intesa per il funzionamento degli organismi di rappresentanza quali ad esempio i consigli di fabbrica. Ma qual è la verità? Che l’intesa regge finché regge. Non si è superata insomma la situazione di arbitrio e di incertezza. Da qui l’esigenza di avere una sponda legislativa. È ovviò che una legge di questa natura deve essere condivisa dai sindacati. Questo è abbastanza evidente. Così come si è fatto per quella che regola gli scioperi nei pubblici servizi. La CGIL sta aprendo un dialogo molto intenso con i giuristi. Anche se non ci nascondiamo che oggi la difficoltà maggiore sta proprio in questa posizione di riluttanza della CISL ad affrontare il problema. Ma va detto che siamo ancora alle prime battute.»

 

Un progetto di legge sulla democrazia sindacale a cosa deve ispirarsi?

«Deve partire dall’esigenza di tutelare i diritti anche individuali dei lavoratori. D’altra parte che cos’è il sindacato? È un’associazione volontaria al quale può aderire anche solo una minoranza di lavoratori. Gli effetti delle sue decisioni hanno però valore universale, riguardano anche i non iscritti. Oggi il lavoratore che aderisce al sindacato può discuterne all’interno della sua organizzazione. Ma un non iscritto dove può andare per manifestare le sue critiche?»

 

La legge potrebbe dare il suo contributo ma è chiaro che un problema come quello della democrazia e della rappresentatività va al cuore del sindacato. Se la situazione rimane quella di oggi la legge non servirà a molto.

«La crisi del sindacato c’è. Il movimento sindacale sta attraversando un passaggio critico. È naturale che esso va affrontato discutendo e rimettendo in discussione strategie, politiche e strumenti organizzativi. Certo la legge non basta e non deve bastare. Essa sarebbe solo un punto d’appoggio che non eviterebbe affatto la necessità per il sindacato di affrontare altri due nodi: quello di puntare a un sistema decente di relazioni sindacali da contrattare con le organizzazioni imprenditoriali che proprio per questo non dipende solo da noi e quello di mettere sul tappeto il problema della qualità della democrazia interna alle organizzazioni sindacali.»

 

Quali sono i punti su cui occorre intervenire per correggere lo scollamento, per superare la dimensione di sfiducia che troppo spesso si è venuta a creare tra organizzazione sindacale e lavoratori?

«Bisogna innanzitutto correggere una struttura eccessivamente centralizzata facendo funzionare meglio gli strumenti sindacali sui luoghi di lavoro. Per noi che abbiamo fatto la scelta della contrattazione articolata non ci sono altre scorciatoie.»



Numero progressivo: B38
Busta: 2
Estremi cronologici: 1989, 19 febbraio
Autore: Michele Urbano
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Interviste/Dibattiti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “L’Unità”, 19 febbraio 1989